Ho in mente una storia. Un giallo che è anche una storia d’amore. Una storia che ho incontrato anni fa, quindi vera, ma che intendo manipolare. Ho in mente alcuni io narranti. Ipotesi uno: uno scrittore da poco. Ipotesi due; Anna Antichi che alla tenera età di cinquant’anni ha cominciato a fare l’avvocato. Ipotesi tre: il commissario Dallavita (ma anche questa non l’ho scritta).
Quelle che seguono sono le due ipoitesi che ho buttato già stanotte. Sono da riscrivere, ma prima devo decidere. E’ da luglio che provo a iniziare questa storia, che va trattata con i guanti,
IPOTESI 1
Sono uno scrittore, ma lo sanno in pochi. Ho cinquantadue anni, e se non ci fossero i milletrecento euro al mese della pensione di papà farei la fame. Togliendo bollette, affitto e spese condominiali resta poco per la spesa e il resto, però papà, attingendo dai risparmi di una vita, mi passa un mensile di cinquecento euro che mi bastano a malapena, nonostante io conduca una vita spartana. Non esco con donne, non vado a cena fuori, non vado al cinema o a teatro. I cinquecento euro vanno via per vestirmi, per i libri (che compro alle bancherelle dell’usato), per il (vecchio) cellulare, per il pc (rigorosamente usato), per la carta e la stampante (stampo poco e uso cartucce ricaricabili). Sotto il materasso ho settecento euro di scorta. Servono per il dentista, o per i prodotti naturali che uso per curare i miai malanni. Papà ha ancora la patente, io no, non l’ho rinnovata, ma non abbiamo l’auto, di cui sentiamo la mancanza solo perché l’orto (abusivo) di papà è lontano un paio di chilometri da casa nostra.
Le ferie, io e papà, le trascorriamo lì, all’orto che è a due passi dal fiume. Papà, che da giovane ha fatto anche il taglialegna, ha costruito una baracca di legno che sembra la casa nella prateria. Dentro, oltre agli attrezzi, ci sono un tavolo e cinque sedie in saggina, un fornello per preparare da mangiare, due vecchie poltrone, che sono vicine a un camino rudimentale e che hanno un uso prettamente invernale, e due sdraie per il periodo estivo. D’inverno no, non è mai accaduto, ma nelle notti afose d’estate succede spesso che io e papà si dorma lì. Io mi porto da leggere e se voglio scrivere uso un bloc notes, facendo luce con una pila. Papà si addormenta ascoltando la radiolina.
D’inverno e d’estate, nel primo pomeriggio c’è sempre l’appuntamento con la partita a carte. Scopone scientifico. Solitamente il tavolo è composto da me, da papà, dal vicino d’orto Giulio Novembre, che fu collega di fabbrica di papà, e da Giovanna Sensi, che è una mia ex compagna di scuola e che ora fa l’avvocato. Mi piace Giovanna, ma io non credo d’essere il suo tipo, certe cose si sentono. La mia vita sentimentale è una fonte di preoccupazione per papà. Parliamo poco, io e lui. E quando ci diciamo certe cose evitiamo di guardarci negli occhi.
Mesi fa, mi pare fosse gennaio, eravamo nella baracca, mi ha chiesto: Ti risulta che il figlio del Novembre sia… insomma.
Insomma cosa papà? risposi attizzando la legna. Omosessuale?
Papà non disse più nulla, io nemmeno.
Tempo addietro mi aveva chiesto se adesso con il viagra tutti potessero andare con le donne, anche quelli con problemi gravi. Gli risposi non lo sapevo, fine delle trasmissioni.
Insomma, papà sospetta che io sia gay o impotente o tutti e due. Del resto sa che sono cagionevole di salute e strano, da sempre. A scuola mi isolavo e venivo isolato. Alle superiori l’unica eccezione era stata Giovanna Sensi. Era diversa, tanto diversa, da tutti gli altri.
Ma è stato mio padre, che era amico del suo defunto, a invitarla a venire a giocare. Quando non lavora viene sempre. Oggi, però, lavora. E non c’è nemmeno Novembre, del resto ieri aveva una tosse brutta.
Oggi è il 28 di luglio e il mio telefono sta squillando. È Giovanna Sensi. Ha messo giù, ma mi ha lasciato un messaggio.
Prendi la bicicletta e raggiungimi di corsa, sono nel mio studio, e se sei senza bici chiama un taxi, paga una mia cliente che vuole parlare con te.
«Papà ci vediamo a casa, vado da Giovanna, sembra abbia bisogno di me.»
Ciao papà, gli ho detto guardandolo: perché lui risponde solo con un cenno della testa.
IPOTESI 2
Faccio l’avvocato, faccio la fame. E sono ossessionata dai numeri; dal 39 e dal 50 e anche un po’ dal 10. Numeri negativi. Il 28, invece, è il mio numero fortunato e quel 28 luglio le cose andarono nel migliore dei modi. Il mio cliente tremava, sotto l’effetto degli psicofarmaci, il giovane pubblico ministero invece sbadigliava, perché sapeva che l’avrebbe vinta lui, non mi restava che lei, la giudice Dorina Barullo.
«Certo, il mio cliente ha avuto un comportamento deplorevole, ed è giusto che oggi debba rispondere di quello che ha fatto ed è giusto che paghi. Non si prende una ex fidanzata per le spalle e poi, una volta immobilizzata, non ci si dimena simulando un rapporto sessuale in mezzo alla strada, in pieno giorno. La ragazza giustamente si è ribellata urlando, altrettanto giustamente qualcuno ha chiamato le forze dell’ordine che, giustamente…»
«Avvocato Antichi, sulla ricostruzione è già stata detto tutto quello che c’era da dire, abbiamo perfino rivisto la scena grazie a una telecamera, concluda la sua arringa, grazie.»
«Mi scusi giudice, ha ragione, vorrei solo soffermarmi sull’ultima parola che ho pronunciato, e cioè giustamente, noi siamo qui per far sì che emerga tutto ciò che è giusto.»
«Avvocato Antichi, con la retorica da due soldi non si fanno i processi, proceda celermente per favore.»
«Giudice, ha detto celermente… Ecco, soffermiamoci solo un minuto su cosa avvenne dopo il fattaccio e sulla parola celermente. Celermente arrivarono i carabinieri che spintonarono e ammanettarono il mio cliente mentre era per terra, poi altrettanto celermente il mio cliente fu trasportato in ospedale dove arrivarono praticamente insieme, ambulanza e il TSO firmato quanto mai celermente dal sindaco di questa città… ecco, io mi domando e vi domano, se la vittima non fosse stata la figlia dell’avvocato più potente della città…»
«Avvocato Antichi, sta superando ogni limite.»
«E non è la prima volta…»
«Signor pubblico ministero, non si intrometta, per favore, avvocato Antichi, arrivi al dunque. Le ricordo che il suo cliente non deve rispondere solo quel singolo episodio…»
«Lo so, il mio cliente ha persona la testa per la sua ex fidanzata ed è accusato di stalking, ma restiamo a quel singolo episodio. Si fosse trattato di una commessa, al mio cliente avrebbero rotto il naso mentre veniva ammanettato? Si fosse trattato di una commessa…»
«Avvocato, sta esagerando…»
«… il mio cliente sarebbe stato sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio che sembra essere un avvertimento: avvinati ancora una volta alla tua ex e vedi cosa ti capita.»
«Sospendete la registrazione, mi ritiro in camera di consiglio, avvocato si avvicini.»
«Il mio cliente non ha già forse pagato per quello che ha fatto? Ma diamine…»
«Avvocato Anna Antichi si avvicini. Spegnete i microfoni, grazie.»
«Mi dica giudice.»
«Perché ha voluto complicare tutto? E parli a voce bassa, ci stanno osservando tutti.»
«Da donna a donna le dico: sono stufa delle mafiosità…»
«A cosa si riferisce?»
«Che ieri sera il signor pubblico ministero era ospite a cena dell’avvocato Forconi. E la cena non è durata poco»
«Cosa fa, spia le persone?»
«Sì giudice, ho pedinato l’avvocato Forconi perché so che controlla tutta la città. Per capire, mi è bastato nascondermi su un fosso munita di binocolo, e centro metri dalla sua villa.»
«Da donna a donna: il pubblico ministero è un gran paraculo e non ho bisogno delle tue lezioni per sapere chi è l’avvocato Forconi, ma il tuo cliente è uno spostato che sta rendendo un inferno la vita della vittima, e adesso sparisci, vedo che il signor pubblico ministero vuole conferire.»
«Si fotta.»
«Sparisci ho detto.»
Quel 28 luglio, mentre mangiavo la banana che mi ero portata dietro e attendevo che la giudice Barullo condannasse il mio cliente – non poteva che finire così – mi raggiunse un tizio.
«Sono l’ispettore Ghirlandina, mi segua, il procuratore vuole parlare.»
Pensai: in aula ho esagerato, adesso sentirò le mie. Fanculo a questo tribunale e a questa città. Mi venne voglia di fuggire, di dire Ho sbagliato tutto, scusate, non doveva fare l’avvocato, 39-10-50 sono i numeri dell’inferno.
Però era il 28 luglio, e io il 28 luglio avevo baciato il mio primo ragazzo, e il 28 luglio, a vent’anni, avevo sostenuto il primo esame a Lettere. E il 28 settembre è nato mio papà, Leone l’anarchico, quando parlano di lui, in questa città lo chiamano ancora così.
Ma mentre salivo le scale mi sentivo vecchia e inadeguata. Avevo il fiatone, avevo paura.