Qualcosa è cambiato, anche se non sembra.
Oggi, conferenza stampa del nuovo allenatore della Pro Vercelli: l’ho seguita, ho scritto il pezzo.
Domani seguirò la partita.
Mi piace il calcio, sono anche un po’ tifoso: della Fiorentina, della Pro Vercelli, del bel gioco. Quest’anno tiferò anche per il Crotone di Francesco Modesto, grande allenatore, e amico.
Sono un po’ tifoso, dicevo: ma chi tifa per un’altra squadra non è un mio avversario, e allo stadio, di solito, guardo e taccio.
Poi.
Sto rivedendo il giallo “La suora”, che uscirà per Golem a novembre.
A settembre, invece, ho due appuntamenti: sabato 11 sarò a Cattolica, a ritirare il primo premio letterario “Città di Cattolica” (ex equo con Antonia Avati, figlia di Pupi Avati) per il romanzo “Forse non morirò di giovedì”. Mai successo nella mia vita di scrittore di vincere un primo premio.
Sempre a settembre sarò ospite della rassegna “Giallo in collina”, a Portacumaro, un piccolo centro dell’Astigiano, dove andrò a parlare di Forse non morirò di giovedì.
Insomma, sarà un autunno apparentemente come gli altri: seguirò la Pro Vercelli (e altro) per la mia testata on line (Infovercelli24), e, di notte, riscriverò “La suora”.
C’è una novità, però, nella mia mente e nel mio vivere quotidiano.
Per anni, ho vissuto le mie giornale aspettando la notte. Per pensare, leggere, scrivere, cazzeggiare. La notte mi rilassa. Se dormo 8 ore, mi sveglio male. Se vivo la notte come intendo io – veglia per 4 ore e poi 4 ore di sonno – mi sveglio bene, mi sveglio meglio.
Da due anni a questa parte leggo ancora libri, certo, ma tutte le notti leggo di Covid e basta. E ho smesso di scrivere.
Ho sempre scritto qualcosa, da venticinque anni a questa parte.
Ora non ho più nulla da raccontare e da raccontarmi.
E durante il giorno non aspetto più la notte. Penso ad altro. Sogno di vivere in un paese di montagna isolato, o in un piccolo borgo davanti al mare.
Qualcosa è cambiato.
Mese: agosto 2021
Le piccole cose di un buon giornale
Nel romanzo “Forse non morirò di giovedì” parlo di giornalismo e della storia di un direttore di giornale che interpreta il giornalismo come un servizio.
Essere utili agli altri, insomma, come primo comandamento.
Il libro non è autobiografico, nel senso che fatti e personaggi non sono ispirati al mio passato.
Ma al mio modo di intendere il giornalismo sì.
Nel 2005, quando assunsi la direzione del giornale La Sesia, al personale riunito (due segretarie, tre grafiche, otto giornalisti) diedi alcune indicazioni.
Pensai alle telefonate. I giornali son bombardati. Proteste, suggerimenti, insulti. Cose intelligente e no. Però succede questo, in genere. Se chiama una personalità, un colonnello dei carabinieri, un parlamentare, lo si capisce subito dal tono di voce e dalla parole che usa il giornalista nel rispondere. «Ma si figuri… grazie della telefonata… buona giornata… a presto».
«Quando in redazione arriva una “qualsiasi” telefonata» (il “qualsiasi” era la parola più importante), dissi, «anche se abbiamo fretta (nei giornale si ha sempre fretta), anche se siamo pieni di lavoro (a volte succede, mica sempre) invece di dire “La Sesia, buongiorno” (o peggio, solo “La Sesia”) noi, da questo momento, risponderemo dicendo: “La Sesia buongiorno, sono Remo Bassini, mi dica”.
Non apprezzarono solo i lettori. Col tempo, anche la redazione.
E comunque: Antonio Sovesci, direttore-protagonista di “Forse non morirò di giovedì” crede che al primo posto un buon giornale debba mettere i lettori.


Ferragosto con La donna di picche (e chi se l’aspettava?)
La donna di picche è un mio giallo uscito due anni fa. Credo che sia un buon giallo, perché non è solo un giallo, ma che ha un doppio finale da libro giallo (penso il miglior finale di tutti i miei gialli: ho passato notti insonni per scrivere l’ultima pagina…).
Sta di fatto che il libro ha venduto poco.
Inutile, su questo punto, perdersi in piagnistei che non portano da nessuna parte.
Ha venduto poco. Punto.
E la vita, intanto, è continuata: a febbraio è uscito (con buoni riscontri di vendite) “Forse non morirò di giovedì” e a dicembre, stessa casa editrice (Golem), uscirà “La suora”.
Torno a La donna di picche.
A ferragosto, che per me è uno dei giorni più odiosi dell’anno perché non sopporto le calche e le feste imposte dal calendario, una bella sorpresa.
Copio incollo quel che ho scritto sulla mia pagina facebook.
Dal 4 luglio e fino ai primi di settembre, nelle pagine dei Giorni d’estate di La Stampa (edizioni locali di Valle d’Aosta e Piemonte, tranne il torinese), Marina Maffei propone visite ad alcune città piemontesi, lasciandosi guidare da un romanzo.Oggi è toccato a Vercelli, e la “guida turistica” è il giallo La donna di picche.


Alcuni brevi estratti.
Micaela Ero spaccata in due: ero arrabbiata, ero estasiata da quel ‘non voglio perderti’. Volevo baciarti, volevo chiederti ancora di Lucilla, volevo scappare, volevo baciarti, fare l’amore con te, prenderti a pugni, piangere.
Saletta Saletta, un luogo di culto forse sorto su un tempio pagano e dedicato a San Sebastiano; abbandonato da decenni, il tempio e il cimitero annesso erano stati al centro di episodi di cronaca legati a presunte sette sataniche, «si trattava perlopiù di ragazzi e ragazze che non sapevano come ammazzare il tempo» ha dichiarato un rappresentante delle forze dell’ordine. Ma le storie del tempio di Saletta arrivavano anche dal passato: antiche credenze contadine tramandate oralmente parlavano di fantasmi, suicidi per amore, apparizioni, ritrovamenti di ossa.
Il commissario Dallavita «Quando ripenso alla casa in cui ho vissuto con Carmen e Giacomo ripenso al quadro della donna in bicicletta, avrei dovuto portarlo via, come ho fatto con il sacchetto delle conchiglie rotte… C’è una donna in bicicletta, sola. Piove, è buio. Dietro di lei s’intravede una coppia, sono sottobraccio, sono protetti da un ombrello, sono felici, s’intuisce. La donna in bicicletta guarda lontano, chissà dove andrà. È stupenda nella sua solitudine.»
La donna di picche Ripensa a noi. Io sono seduta su di te, tu che sei dentro di me, e i nostri movimenti sono lenti lenti, ci fermiamo, riprendiamo, e intanto tu mi stringi e mi fai male, ma io voglio così, stringimi ancora più forte, e tu mi capisci senza bisogno di parole, perché le tue mani sui miei fianchi sembrano morsi, perché ti piace sentire le mie unghie che affondano nelle tue spalle; e intanto la mia lingua è premuta sui tuoi denti, e abbiamo un unico respiro, un’unica saliva, e mentre facciamo l’amore con i nostri sessi e con le nostre bocche io penso, e lo penso anche adesso, e lo penso prima di addormentarmi, che quando morirò mi porterò dietro il ricordo dei nostri corpi, della nostra saliva, del nostro fiato, di te e di me che esplodiamo con lentezza, come un solo vulcano: e sarà l’ultima immagine.
Ispettore Tavoletti«… Arma dei carabinieri, polizia di Stato, guardia di finanza… siamo tutti uguali: al servizio del cittadino che… conta tanto, ecco cosa siamo.»
Coincidenze bestiali. Oppure segni, chissà
Uno esce col cane. Strada deserta, non c’è nessuno. Per terra, una banconota da 50 euro. Magari l’ha persa un poveraccio. Aspetti. Niente.
Giorno dopo, stessa strada. Due banconote. Una da venti e una da cinque…
Un paio di giorni dopo, un’altra strada, però: banconota da 5 euro.
È successo a me, a gennaio del 2020.
Sono superstizioso (il titolo del mio ultimo libro, Forse non morirò di giovedì, è ispirato a una superstizione), e quindi quei soldi (80 euro nell’arco di poche giorni) trovati per terra per me non erano un buon segno.
Anni e anni fa.
Un giorno raccogliendo una monetina per terra, dico a me stesso: mi porterà fortuna.
Succede altre volte, con altre monetine. Continuo a dire, ma con poca convinzione, che mi porteranno fortuna.
Sera del 20 agosto del 2005. Vedo una monetina per terra. La lasciai lì. A che mi serviva? Ero stato nominato direttore del giornale La Sesia, l’anno successivo sarebbero usciti i miei primi due libri (Dicono di Clelia, per Mursia; Lo scommettitore, per Fernandel.)
Quella sera morì mio fratello Moreno
Scrissi una lettera (si trova qui, Riposa in pace fratello fragile).
Avevo anche un libro in testa, ma lo lasciai da parte. Lo scrissi due anni dopo: parlava di una moneta…
Da allora ho raccolto tutte le monete che trovo portando a spasso il cane.
Un euro, ma le più son da 1 centesimo o 2.
Ho raccolto anche quelle tre banconote quando si cominciava a parlare di Covid. Quando trovai la prima, pensai: tanto la “reinvesto”. Vivo davanti alla Caritas, ho qualche cliente fisso… Ma quando, per altre due volte, trovai le altre banconote ricordo che, almeno un po’, mi preoccupai. Senza una ragione.
Coincidenze?
O forse segni.
Sono agnostico ma.