Poi arrivò l’ultimo sogno

Una birra Moretti, va bene sì, anche se avrei preferito una Trappe, pensò.
Poi il vecchio lentissimo pc, ne avrebbe preferito e voluto un altro, ma, pensò – pensava molto quella sera – è già un miracolo che ogni sera si accenda.
Mentre il vecchio pc gorgogliava prima guardò l’ora, cazzo non sono nemmeno le dieci, poi la finestra: oltre c’era una sera tiepida, illuminata da un lampione.
Oltre, c’erano solo i rumori della tangenziale e finestre illuminate, ma troppo lontane.
Addentò il panino mozzarella pomodoro, la sua cena; ma aveva lo stomaca chiuso, sicché andò di birra, e mentre scolava la lattina in un unico sorso assetato pensava che quella era l’ultima birra, ché in tasca aveva rimasto 20 centesimi e in frigorifero c’era solo della stupida acqua e in casa aveva una stupidissima bottiglia di Amaretto di Saronno comprata la sera prima, in un povero discount. L’aveva vista tra gli scaffali e l’aveva afferrata: sorridendo al ricordo dei giorni spensierati della sua infanzia quando, col fratello più piccolo, Marco, andava a rubarne un po’, di nascosto. A casa, poi, si sarebbe dato del coglione: non era meglio se ti compravi quattro uova e tre scatole di carne Simmenthal-mente-buona, questi cazzi di ricordi infantili, aveva sbottato.
La sera prima.
Poi questa sera.
Adesso è mattino.
L’ha bevuta tutta tutta la bottiglia di Amaretto, insieme a quel che aveva trovato nel cassetto in bagno: aspirine, tavor, aulin, tachipirine scadute, simplex, antibiotici e antidoloranti, anche un collirio al cortisone, anche una medicinale, questo non scaduto, che aveva dato al suo cane, prima che morisse.

Tutte quelle pastiglie di diverso colore e dimensioni galleggiavano e si stavano sciogliendo dentro di lui, insieme all’Amaretto.
Aveva pensato molto, mentre ingoiava e beveva, beveva e ingoiava: ma non aveva trovato un solo motivo per smettere di bere e ingoiare.
Spero che bastino, era stato l’ultimo pensiero.
(Il penultimo era stato: tra tutte queste cazzo di pastiglie non ci sono quelle che prendo da una vita.)
(Il terzultimo pensiero era stato per Lillo, il suo cane. Arrivo era stata l’ultima parole che, qualche ragno e una mosca disattenti, sentirono, o forse no.)
Poi era inizato il sogno, quello più lungo.
Sul pc c’erano solo due messaggi di posta elettronica non letti.
Aveva fatto in tempo a vederli, lui.
Ma non vale la pene leggerli, aveva pensato, pensando poi ad altro.

Quando Gianni e Cristina entrarono nel mini appartamento, la porta della cucina, videro, si chiudeva a fatica, c’era, sotto, qualcosa che faceva attrito.
Con un fermaglio per capelli acquistato in Messico, Cristina, a fatica, riuscì a liberarla, quella benedetta porta, quanto schifo c’era sotto. Avvolta dalla schifo, una moneta da venti centesimi.
Raccontami una storia, disse Cristina lavandola.


8 pensieri su “Poi arrivò l’ultimo sogno

  1. l ho letto alle 8 e 20 del mattino e ha fatto “male”.
    l ho letto ora alle 14.46 e il risultato non cambia.
    l amaretto va a braccetto con l amarezza che lascia.

    ps. ha ragione Ladypazz… facebook non ha atmosfera.

  2. respirare atmosfere è un buon metodo. se si respirano bene, poi si possono ‘rendere’ a chi legge.
    bel racconto.

    anch’io preferisco il blog.

  3. sn ritornata qui per rileggerlo questo racconto ed ho fatto bene, perché facebook nn sarà mai un blog. perché l’atmosfera che si respira qui è come quella che ci può essere attorno a un fuoco in spiaggia. è tutto molto più caldo, molto più intimo, sembra quasi che le parole abbiano un senso più profondo.
    bello, bello, bello.

  4. dannella, ho respirato l’atmosfera di alcuni suicidi notturni, e mi son sempre chiesto, immaginando.
    cristina: il ragno scrittre onniscente (in fondo è scritta coi piedi… da ragno).
    monia, ogni storia continua, infatti, può continuare.

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