eh già

al giornale, ci sono abituato, ricevo tante lettere anonime.
quell’appalto è truccato, quel concorso pure.
oppure: tizio è l’amante di tizia.
oppure, dirette a me: dirigi un giornale che fa schifo.
poi anche: fascista.
e anche: bastardo comunista.

eppoi ricevo lettere.
una (tenterò di riassumerla), arrivata nei giorni scorsi, mi invita a un uso più corretto della lingua italiana, ché evidentemente il mio è contaminato.
nel catenaccio di un titolo ho scritto (titolo di prima pagina, fatto quindi da me medesimo).
… perché i rifiuti già ci sono.
il già è in neretto nella lettera.
è un già contaminato, mi scrive il signore, da un modo di dire e di scrivere del centro italia e del sud italia, poi, fa lo spiritoso e aggiunge, isole comprese.
lui vuole e pretende… perché i rifiuti ci sono già.

Bene, buona domenica, bella giornata, oggi

Il verde più verde

Se cerco di non pensare, e rilassarmi, da un po’ di tempo penso sempre e solo al mare: a quello del Salento; a quello di Boccadasse (Genova); a quello di Follonica.
Oppure m’immagino di essere qua, nel paese dove son nato, Cortona. Fuori dale mura e oltre la porta più importante e imponente, Porta Colonia. C’è un piazzale, questo è il limite.
Da qui guardando a sinistra

si vede questo panorama. La chiesa si chiama Santa Maria Nuova, mia madre e quelli che ven di fretta dicono Santamarinova.

Sono colori invernali, questi, e le foto son fatte con l’iPhone.
Tra qualche mese il verde sarà più verde e il cielo più cielo.
E buone cose a tutti

effetto notte

allora, effetto notte – o effetto cinema – in questo blog, da adesso
poi.
dal momento che sono insoddisfatto di quel che ho scritto fin’ora (un libro pubblicato in loco, tre pubblicati da case editrici vere, due in attesa di pubblicazione) sto ipotizzando due nuovi libri.
anzi no, sto pure scribacchiando qualcosa.
per ora ho solo scritto e distrutto scritto e distrutto.
scritto e distrutto.
20mila battute in una notte: via.
a volte vorrei quasi che mi venisse la nausea, basta scrivere, fai altro: ché lo scrivere diventa quasi un’ossessione.
di giorno aspetto che arrivi la notte: per scrivere.
è l’insoddisfazione di quello che ho scritto finora a farmi scrivere ancora e poi ancora?
risposta: probabilmente sì.

poi, passo ad altro.
al mio lavoro quotidiano, quello del giornalista.
allora dirigo un giornale locale e mi confronto, sempre, con i lettori e con le vendite.
se vendo poco il giornale va kappaò, e son’io il responsabile delle buste paga dei miei colleghi.
però cerco di fare il giornale comunque a modo mio e mediando anche: cercando cioè di interpretare i desideri dei lettori.
anni fa lessi di un’indagine istat.
la gente vorrebbe leggere di salute (primo posto), lavoro (secondo).
ma la gente, lo sanno bene quelli che lavorano nei giornali, magari dice una cosa, quando c’è un sondaggio telefonico, ma di sicuro nei giornali ne cerca un’altra di cosa: la notizia morbosa.
siamo come becchini, noi giornalisti, spesso: si vende tanto quando c’è cronaca nera, quando c’è sangue e morte.
noncisoncazzi.
ma un giornale fidelizza i propri lettori anche con altro.
pagine particolari, per esempio.
e a me, ogni tanto, piace riproporre cose dimenticate, anche vecchie pagine del giornale.
serve il raffronto col passato.
comunque.
ho appena fatto riproporre dei vecchi episodi di cronaca (non necessariamente nera; ci sarà anche quella ma ci sarà, per esempio, anche spazio per lo sport).
allora, succede questo.
ospedale di Vercelli, due infermiere commentano il giornale.
non mi conoscono.
una dice all’altra, Hai visto cosa hanno pubblicato, una cosa del 1970! Si vede proprio che non hanno una cippa da scrivere.
anni fa, anzi, era agosto del 2005,e io ero direttore da pochi mesi.
vado in pizzeria.
accanto a me un tavolo di persone, parlano del giornale.
io avevo scritto una lettera (sottolineo: lettera) per la morte di mio fratello.
una donna disse: Si vede proprio che non hanno un cazzo da scrivere, e chissenefrega che è morto tuo fratello.
(ricordo il tono di voce, il silenzio degli altri due, ricordo la seconda persona usata: e chissenefrega…; non reagii, mi interrogai, quella sera, anche dopo: avevo abusato dalla mia posizione? No, perché pubblico sempre e il giornale ha sempre pubblicato lettere commemorative. La mia inoltre diceva cose anche scomode, era sincera, credo).
tanti e tanti anni fa, invece.
mia figlia faceva le elementari.
va a fare una gita, in un castello. mentre aspettano la guida sente due maestre che parlano di me, che allora facevo il giornalista.
una dice: mi piace come scrive.
l’altra: a me no, e mi sta pure antipatico.
mia figlia mi raccontò.
le spiegai che avevo scritto cose non proprio carine sul padre di quella maestra, dirigente di una municipalizzata.
ci restò comunque male, la bambina.
ci si resta male, a volte.
già.

Cinzia Pierangelini e Bobboti: segnalazioni

prima segnalazione; martedì 26 alle 18, alla Libreria Feltrinelli di Palermo, in Via Camillo Benso Conte di Cavour, 135 Angela Mannino (del Giornale di Sicilia) e Francesca Marceca (presidente Agedo Palermo) discuteranno con il pubblico e l’autrice il romanzo di Cinzia Pierangelini, ‘A jatta, edizioni GBM

seconda segnazione. un e-book
D’atemi s’intendu
datemi il tempo
17 testi di Gianni Cossu (che è noto ai blogger come Bobboti e che è, diciamo, noto pure a questo blog, perché partecipò all’iniziativa dei raccontiaquattromani).
il link dell’ebook lo trovate alla fine e nel titolo di questo post, sul blog di orasesta.

i primi tre del 2010

Dopo la poesia di… R. H. Ash

Là tali cose sono. Il giardino e l’albero
il serpente alla radice. il frutto d’oro
la donna tra l’ombra dei rami
lo scorrere dell’acqua e la luna erobosa.

ecco l’incipit

Il libro era nero e spesso e coperto di polvere. La copertina era incurvata e grinzosa; doveva essere stato maltrattato, ai suoi tempi. La costola non c’era più, o meglio sporgeva tra i fogli come un segnalibro voluminoso.

A. S. Byatt, Possessione, Einaudi.

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Le tre di notte. Margherita non poteva dormire. Un tremito le aveva preso mani e stomaco. L’aveva piegata all’improvviso e lei era caduta, in ginocchio. Per alzarsi si resse alla porta del frigo, che si aprì lentamente. Mentre cercava un ordine nel ricordo degli ultimi giorni, il fremito si spostò nella gola, e nelle ragioni, sempre le stesse. Doveva trovare Ninì, doveva trovare sua figlia.

Blanca, Patrizia Rinaldi, Dario Flaccovio editore, Palermo 2009.
206 pagine, euro 14
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Di mia madre mi era rimasta solo un’anfora intarsiata. Il suo era un mosaico di tessere acquachiara, turchese e cobalto, cosicché, da qualsiasi parte lo si guardasse, in ogni curva sembravano rifrangersi le onde di un mare ancestrale. Nel tavolo del mio salotto custodivo l’anfora come un idolo nel tempio. Finché l’idolo è impazzito. Allora ho afferrato il vaso e l’ho scagliato contro il muro.

Marilù Oliva, Repetita, Perdisa, Bologna 2009
pagine 170, 14 euro

insomma: i primi tre libri letti (oltre a  due manoscritti e cose varie in rete, e giornali del Novecento e biografie sfogliate, alla veloce) del 2010.
Allora, Possessione. Il più bel libro noioso e d’amore che io abbia letto; non solo d’amore: di ricerca storico letteraria, di psicologia, di occultismo. L’aveva iniziato due volte, anni fa, poi riposto: richiede (succede èper tanti libri) una dedizione particolare. Alla fine ci si affeziona. E resta impresso.

Poi Blanca poi Repetita, letti giorni fa.
Due bei romanzi di un’editoria che minore non è. Due libri che quindi consiglio.
E buone cose

scrivere è cosa facile?

Forse non lo sapete ma per scrivere occorrono delle lenti, oltre alla propria vista.
Allora, prendiamo una storia.
Più o meno tutti sanno raccontare una storia.
Il primo problema è che questa storia si incrocia con altre storie che, a loro volta, si incrociano con altre storie.
Ogni storia, chiaro che sì, ha un suo contesto (si svolge qui o qui), un tempo (in cui si svolge), un passato (ad accezione della storia di Adamo ed Eva), dei personaggi.
Poi una storia può avere balbettamenti, può avere ricordi, punti chiari e punti oscuri ma,
ma,
torniamo al punto di partenza.
Dobbiamo raccontare una storia.
Allora, c’è l’incipit che può essere o meno bello: ma l’incipit segna il punto di inizio, e questo vuol dire scegliere.
Parto dall’inizio, dalla metà, dalla fine o da niente?
Poi, comunque parto, e racconto una storia.
Chiaro che sì: io di questa storia, mentre scrivo, dovrò, a un certo punto, sapere non tutto, ma tutto tutto.
Solo quando saprò tutto, ma tutto tutto, potrò avviarmi alla stesura definitiva.
C’è un ma, a questo punto: non posso raccontare tutto tutto, devo scegliere.
Magari scelgo, e, scrivendo, forse nemmeno me ne accorgo che sto scegliendo.
Alcune cose le descriverò come le vedono i miei occhi, altre le salterò a piè pari, altri le descriverò con vista miope, altre da lontano, da molto lontano, sfumerò insomma.
Altre cose, invece, le descriverò con accuratezza, quasi come avessi una lente di ingrandimento.
E così farò per le storie che si incrociano con la mia storia, con i personaggi, le strade e i lampioni e le stagioni e i gatti randagi oppure no.
Scrivere è semplicemente (semplicemente?) scegliere.
Consapevolmente oppure no.

Poi dovrò usare le parole giuste e, per far questo, dovrò fare un’altra scelta: usare il mio vocabolario o usare invece quello che intendono i più?

Dite, che mi interessa.

ti abbraccio forte amica mia

un messaggio notturno, un sms.
il dolore di un’amica.
un grande dolore.
potessi, la raggiungerei.
le mando un grande abbraccio, da qui, mi sembra giusto farlo qui: perché è qui che ci siamo incontrati, la prima volta. sul mio blog.
se ci siamo visti davanti al suo mare, poi, dobbiamo dir grazie a questa cosa qui.
ora è tempo di silenzio, però.
ti abbraccio forte, amica mia.
(e ora, amica mia, spengo il computer, vado in cucina, mi preparo il caffè; e intanto guardo quella vecchia foto che mi inviasti; di te con Lui).

senza perdere la dignità

Su facebook Enrico Gregori, giornalista de Il messaggero, scrittore di gialli e blogger, ha scritto questa cosa qua sull’editoria. Titolo del suo pezzo è “Io non t’ho detto niente”.

Io non t’ho detto niente.

E’ la frase che i giornalisti si sentono dire spesso da una loro fonte. Tradotto: “se vuoi scrivi, perché le cose stanno così. ma io non t’ho detto nulla”.
E il giornalista, se sa fare il suo mestiere, o non pubblica oppure trova supporti d’altro tipo senza sputtanare la fonte. E poi pubblica.
Tutto questo, trasportato nella cronaca nera, è praticamente all’ordine del giorno e il giornalista si trova spesso al bivio se pubblicare oppure no.
Questa conformazione mentale ormai incancrenita, mi porta a rispettare la procedura anche in un settore che frequento solo per diletto, ossia l’editoria.
Uffici stampa, editor e quant’altri mi hanno spesso fatto delle confidenze alla conclusione delle quali scattava “ma ovviamente io non t’ho detto niente”.
Ci mancherebbe, per carità. Quindi mi diverto a riportare (garantendo l’anonimato dei protagonisti) alcune confidenze ricevute negli anni.

1- “certo, noi diciamo che leggiamo tutti i manoscritti. ma la maggior parte li buttiamo. e come si fa?”
2 – “leggiamo la prima pagina. se pare che funzioni andiamo avanti, sennò buttiamo tutto”
3 – “se il manoscritto fa schifo ma l’utore può funzionare come personaggio, qualcuno riscrive il manoscritto e tentiamo di creare il caso”
4 – (questa si trova proprio nel sito di una casa editrice): “non si ricevono manoscritti se non espressamente richiesti”.
ps: si presume che in questa casa editrice lavorino con gli elenchi telefonici di tutta Italia e chiamino a casaccio la gente per beccare qualcuno che, magari, ha voglia di sottoporre un manoscritto. In realtà, suppongo, questa sia solo una esplicitazione del punto successivo.
5 – “può pure capitare che il manoscritto dello sconosciuto venga preso in considerazione. ma di solito te lo presenta qualcuno, te lo caldeggiano”.
6 – “magari un manoscritto è bellissimo, ma non fa parte di un genere. non fa tendenza”.
7 – “una risposta classica per scoraggiare è dire che abbiamo programmato i nostri piani editoriali da qui fino ai prossimi tre anni e non c’è spazio per nessuno”.
ps: vorrei vedere se si presenta all’improvviso un Camilleri che decidesse di dare un manoscritto a questi tizi qua.
8 – “come scrittore sei troppo giovane”
9 – “come scrittore sei troppo anziano”
Nessuno mi ha ancora detto “abbiamo scartato quel manoscritto perché è bellissimo, ma l’ha scritto un frocio”.
Però non dispero.
Enrico Gregori

Io gli ho risposto: sempre su Facebook (e ora anche qua). Titolo di quel che ho scritto io è “Sì ma con dignità”.

argomento troppo complesso da trattare.
che poi: alcune cose le sappiamo, altre no.
c’è un meccanismo, comunque, che domina il panorama, una sorta di macchina mostruosa: da un lato l’anima commerciale degli editori (sempre più condizionati dal mercato e quindi dalla tv) e dall’altro la sovrapproduzione di manoscritti.
un piccolo editore (che a volte significa una persona sola che lavora a tempo pieno, più collaboratori) tempo per leggere ne ha davvero poco.
un bravo editore cerca di mediare: pubblicando libri che siano validi e al contempo vendibili….
io penso che qualche piccolo valido editore ci sia.
piuttosto.
manca una mediazione (come si fa, è impossibile) sulla lettura e valutazione dei manoscritti.
son tutti capolavori, i manoscritti, finché son vergini.
e son tutti in coda, che chiedono d’essere pubblicati; e da quel che ho letto (ma potrei sbagliarmi) il fenomeno dell’esercito di aspiranti scrittori è soprattutto italiano.
insomma: non è un bel panorama (soprattutto se nel panorama ci mettiamo anche chi farebbe o fa di tutto per essere pubblicato; c’è un esempio in rete: complimenti a go-go a questo scrittore o editor, o critico, che magari può mettere una parolina buona).
non resta che andare per la propria strada: cioé scrivere, a prescindere.
chiaro che sì: con qualche mal di pancia, ma con dignità.
remo bassini

Altra intervista. E poi: dolore e letturatura

Scrittrice (ha appena pubblicato un gran bel libro, Repetita, edizioni Perdisapop) e blogger, Marilù Oliva mi ha intervistato.

Poi. Luigi Bernardi, su Facebook, ha scritto:
credo che la buona letteratura nasca dal dolore e da una riflessione sulla sofferenza privata e/o ideale, da un io che sa diventare loro, mai dimenticando che loro siamo noi. Lo stesso vale per la buona letteratura di genere (per esempio Philip Dick, James Ballard, Theodore Sturgeon, Cornell Woolrich, Jim Thompson, David Goodis, J.-P. Manchette, James Crumley, H.P. Lovecraft, Stephen King, solo per citarne alcuni).

Io, che son stato tra quelli che ha commentato, ho scritto:
l’ho sempre pensato. con altre parole, altri esempi.
E Rosella Postorino, subito dopo ha aggiunto:
e a volte sembra quasi che non si possa dire, che è così