Forse non lo sapete ma per scrivere occorrono delle lenti, oltre alla propria vista.
Allora, prendiamo una storia.
Più o meno tutti sanno raccontare una storia.
Il primo problema è che questa storia si incrocia con altre storie che, a loro volta, si incrociano con altre storie.
Ogni storia, chiaro che sì, ha un suo contesto (si svolge qui o qui), un tempo (in cui si svolge), un passato (ad accezione della storia di Adamo ed Eva), dei personaggi.
Poi una storia può avere balbettamenti, può avere ricordi, punti chiari e punti oscuri ma,
ma,
torniamo al punto di partenza.
Dobbiamo raccontare una storia.
Allora, c’è l’incipit che può essere o meno bello: ma l’incipit segna il punto di inizio, e questo vuol dire scegliere.
Parto dall’inizio, dalla metà, dalla fine o da niente?
Poi, comunque parto, e racconto una storia.
Chiaro che sì: io di questa storia, mentre scrivo, dovrò, a un certo punto, sapere non tutto, ma tutto tutto.
Solo quando saprò tutto, ma tutto tutto, potrò avviarmi alla stesura definitiva.
C’è un ma, a questo punto: non posso raccontare tutto tutto, devo scegliere.
Magari scelgo, e, scrivendo, forse nemmeno me ne accorgo che sto scegliendo.
Alcune cose le descriverò come le vedono i miei occhi, altre le salterò a piè pari, altri le descriverò con vista miope, altre da lontano, da molto lontano, sfumerò insomma.
Altre cose, invece, le descriverò con accuratezza, quasi come avessi una lente di ingrandimento.
E così farò per le storie che si incrociano con la mia storia, con i personaggi, le strade e i lampioni e le stagioni e i gatti randagi oppure no.
Scrivere è semplicemente (semplicemente?) scegliere.
Consapevolmente oppure no.
Poi dovrò usare le parole giuste e, per far questo, dovrò fare un’altra scelta: usare il mio vocabolario o usare invece quello che intendono i più?
Dite, che mi interessa.
Appunto, raccontare.
Raccontare viene prima di scrivere, l’oralità viene prima della scrittura.
Arte che sembrava persa, l’oralità, con l’avvento degli accrocchi tecnologici, dalla lavagna luminosa in poi. Parlare in pubblico, per essere più chiaro.
Arte difficile, molti hanno creduto di farcela con gli accrocchi. Ma non è così: annoiavano prima, annoiano tuttora.
Perché dico questo? Perché lo scrivere, più somiglia al racontare a voce meglio è. Senza compensatori ricami preliminari. Senza bellurie dal respiro corto. Ci sarà tempo dopo: oggi, con la scrittura in rete, si può cambiare ogni volta che ci si legge. Ma perché raccontare una storia? Si può raccontare tutto: un film, un quadro, una bestia, una cosa. Seguendo il principio del proprio piacere, piacere necessitato, altro che grafomane!
Se il movente è fare soldi o altro, si scrive male, a parte che i soldi non si fanno, auguri agli speranzosi…
grazie Remo e saluti a tutti
P.S. Grandi esempi di oralità che ho visto e sentito: La Pira, Ernesto Balducci, Pasolini, Zeri
Oggi: Galimberti, Cacciari, Riccomini.
Parlare come respirare, parlare è respirare.
direi a questo punto che scrivere sia un po’ come vivere: fare delle scelte, lasciare qualcosa, tenere qualcosa d’altro… Bello ripassare di qua, ciao Remo.
Io non la farei così difficile.
Se, prima di iniziare a scrivere, ci si pone tutte le domande (a cui si tenta di dare una risposta, cercando poi che sia quella giusta o, almeno la più corretta, ecc.. ec…) allora temo non si riesca nemmeno a partire.
Non so se il mio ragionamento possa valere anche per chi scrivere è un mestiere: io lo faccio solo per passione e, penso, la cosa faccia una gran differenza.
Ad ogni modo, non pressata da scadenze o da necessità, l’immaginazione trova un terreno più fertile perchè ha la possibilità di uscire a piacimento.
Io, attualmente, ho due romanzi in lavorazione. Sono molto diversi l’uno dall’altro e questo mi permette di scrivere seguendo l’umore del momento.
Ho iniziato scrivendo a fiume, ma talvolta sposto, copio-incollo alcuni brani, ripristino, risistemo… ad ogni lettura successiva cambio qualcosa.
Ma la storia da narrare è dentro di me. Fa parte di me. E finchè non sento di averla riversta tutta sul foglio continuo a scrivere.
Sicuramente l’inizio del romanzo è quello che deve avere la capacità di interessare il lettore e portarlo dentro alla storia legandolo alle pagine successive. Per questo cerco di scegliere con cura, spesso variando, finchè non mi sento convinta. Cercando la qualità. Senza fretta.
Ma, come ho già detto, io non ho tempi da rispettare. Inoltre, probabilmente non sono nemmeno una vera scrittrice. Per adesso (?).
La dote di narrare deve essere innata, affinarla è sicuramente importante, ma il valore aggiunto ritengo sia la capacità di uno scrittore di comunicare emozioni.
Susanna
Be’, per il vocabolario, non dovresti usare il linguaggio di quei personaggi lì? Né il tuo né quello dei più… :-)
scrivere non è affatto facile.
Scrivere ancora meno.
per me scrivere ultimamente è molto complicato.
dopo questo post, penso di darmi al punto croce.
;) ciao Remo
SensE and sensibility!
Quandi studiavo linguistica i professori e i saggi insistevano su questi due aspetti: SELEZIONE e COMBINAZIONE.
Per lanciare un messaggio di qualsiasi tipo – e il testo letterario è un messaggio, una forma di comunicazione – è necessario scegliere tra le forme che abbiamo a disposizione per enunciarlo.
Nel caso della letteratura la cosa naturalmente si complica.
Sono d’accordo con Charlus. La scrittura è come l’amore. Un misto di abbandono e calcolo, di riflessione e passione, di sensa and sensibility come direbbe la mia cara Jane Austen.
Se la storia è un viaggio in linea di massima io devo portarmi la valigia giusta – starò fuori due giorni o due mesi? Sono ai Caraibi o in Siberia? – , mi compro le guide, mi leggo gli scrittori che hanno parlato nei loro libri delle tappe che mi interessano, imparo la cucina locale, un’infarinatura di lingua… ma il viaggio mi riserverà delle sorprese. Alcune belle altre meno, ma è questo il bello della scrittura.
Un progetto come il romanzo non è come la poesia: prende e occupa inevitabilmente larghe fette della nostra vita, rielabora il nostro subconscio, filtra il nostro passato, le nostre esperienze attuali e le prospettive future.
E della vita non possiamo sapere tutto tutto.
Vanno bene gli schemi, le ricerche, le domande sulla vce narrante, il taglio, il registro… io che ho scritto un romanzo storico lo so.
Concordo con Enrico: poi ci vuole il necessario distacco. Io per due mesi non ho riaperto il file – per paura, vigliaccheria, terrore della delusione e degli errori – ma adesso lo sto riguardando più clinicamente.
Scrivi, Remo.
Non si chiede il permesso né per scrivere né per amare.
però, per rispondere semplicemente alla domanda che fa da titolo al post: no, scrivere non è cosa facile.
Nello scrivere mi piace fare come fosse un dipinto, cioè suggerire, il dire non detto, in modo che anche chi legge si senta partecipe, si ponga delle domande, sia incuriosito a continuare.
Dicevi del linguaggio, bella domanda, una di quelle tipo c’era prima l’uovo o la gallina.
Direi che se si scrive in rete, o si pubblica quello che si scrive, lo si fa con l’intento (desiderio, speranza) di essere letti. Ma, a meno di essere uno scienziato munito di vocabolario specialistico, forse non è giusto porsela, questa domanda:ogni scrittore ha la sua voce, e incontra i suoi lettori. E’ una questione di “sentire” tra le righe, di affinità, di ritrovarcisi, leggendo.
E poi, Remo, proprio uno che scrive “come si legge”, con un’eccezionale immediatezza, per me sei proprio tu.
Mi piace molto quello che dice Remo, riguardo “le storie che si incrociano con la mia storia”. Penso che in ogni progetto di stesura, vi sia sempre aperta la variante imprevista del proprio plot privato e imprevedibile, che possa travolgere e scardinare in breve tutto quello che avevo in mente. Un esempio pratico attinto da un fatto vero, che mi è appena capitato: sto lavorando a un romanzo o a un racconto, cerco di dedicargli del tempo, soprattutto alla psicologia dei personaggi che contano e al loro particolare contesto di interazione. Questa mattina, durante la corsa in un parco, una ragazza mi chiede se avessi visto il suo coniglio. La guardo, credo di aver capito male, le chiedo di ripetere, un po’ stranito, ma lei è serissima: ha perso un coniglio nel parco, e me lo descrive, con minuzia di particolari e senza scomporsi. Dunque, penso che questa piccola esperienza, anche un tantino surreale -pensate invece se lo avesse cercato con le orecchie blu- potrebbe creare delle particolari varianti all’interno di una dinamica del mio lavoro, semmai già strutturata e alquanto scricchiolante per qualche motivo, o alleggerire una tensione solo per l’urgenza di inserirla, e di incastrarla in qualche modo, forse perché parte di una realtà che mi ha colpito e che ho avvertito in un modo particolare, e che forse è ancora più fantasiosa dell’immaginazione che avrei usato se quell’evento non mi fosse mai accaduto.
Tutto qui.
Ciao.
Condivido quanto detto da Enrico.
Scrivere è accompagnare il lettore in un mondo che non vede. A te decidere se usare la macchina o se accompagnarlo a piedi tenendolo per mano. Certo è che non è facile… ma siamo destinati, è il nostro essere.
I tuoi post sono sempre molto interessanti per una che, come la sottoscritta, ha la fissa della scrittura! Ti ho aggiunto come pref al mio blog!
Sandra
La scelta è la parte difficile del raccontare: cosa è meglio che io mostri ai lettori? Lui che si china a baciare lei o il modo in cui lei lo sta guardando?
Forse tutti e due in questo caso.
Ed è meglio che mostri i pensieri della moglie a casa mentre i due si baciano davanti al caminetto della casa in montagna, oppure no?
Dipende.
Dipende da cosa voglio dire dopo.
Tutto deve essere orchestrato e diretto alla perfezione.
La riscrittura mi prende ancora più tempo della scrittura. Scelgo parola per parola. L’incipit l’ho già rifatto completamente almeno quattro volte.
Credo sia vero che chi scrive deve sapere tutto. se non lo sa, sbaglia qualcosa.
Ma credo rimanga possibilità di manovra: ci sono eventi minori ma ugualmente interessanti che si decidono nel momento in cui si scrive. Personaggi che nascono così sul momento e che sono ‘minori’ solo nel tempo che occupano.
E a me capita che questi personaggi mi escano ‘perfetti’ da subito, mentre sui protagonisti ci lavoro mesi.
Penso sia naturale che sia così.
Ho letto da qualche parte che è una scelta pure decidere se il narratore è onniscente (ovvero racconta sapendo già come andranno certe cose, e quindi accennandole talvoltaprima che avvengano), oppure scoprendo le carte insieme ai protagonisti.
Ad ogni modo, dalla poca esperienza che ho, penso che per scrivere ci voglia anche tantissimo tempo e capacità di dedicarsi alla revisione con occhi “vergini”. Nel senso che, dopo aver riletto un bel po’ di volte quanto si è scritto, è difficile “vedere” gli errori o le incongruenze, ci si innamora persino di certe frasi che magari potrebbero essere tagliate o sostituite.
Io scrivo di solito di getto, come viene, per superare la sindrome del foglio bianco e poi vado per approssimazioni successive. Risultato: la revisione prende lo stesso tempo della stesura.
Il post credo riassuma un po’ le convinzioni del nostro Remo: fondamentale per raccontare una storia è il “dosaggio” e il documentarsi, per non scrivere “libri del cavolo”.
Ciao!
scrivere è scegliere, come d’altraparte parlare, leggere e tutto quello che ci mette in contatto con l’altro
e quindi parte dal decidere cosa si scrive e cosa no, cosa è bello da mettere lì e cosa invece guasta perché distrae, o è inutile (però siccome siamo nella nebbia, qualche cartello bello colorato io ce lo metto sempre)
e poi entra in gioco l’aritmetica della scrittura (la sottrazione e l’addizione)
perché se te scrivi una storia devi limare e raffinare e magari anche ripetere o insistere, ma come uno scultore che appiccica pezzi di creta o li raspa via
(e infine potrebbe anche darsi che tutto questo sia perfettamente inutile e uno scrive una storia così come beve l’acqua se ha sete, gli esce una cosa che ha un senso e bon)
Bellissimo! E totalmente condivisibile. Scrivere è un po’ come mettere un prisma davanti alla realtà, facendo in modo che il raggio di luce della stessa si scomponga nei colori della storia che vogliamo raccontare. Il raggio di luce è visibile a tutti, i colori sono quelli che appaiono (e che bisogna in qualche modo far apparire) quando chi scrive “ricrea” la realtà. Ecco, credo che gli occhi del lettore debbano vedere la realtà per come essa viene “ricreata” (non in senso artificioso, ma in senso de(s)crittivo) dalla parola scritta.
Henry Miller dice che il punto al quale bisogna tendere è la creazione di quell’equilibrio fra lo scrittore, che si crede un artista, e il lettore, che è un artista in potenza.
Hai ragione Stefania, l’importanza del tralasciare, del non detto è di estrema importanza.
la vera arte è togliere, diceva Ezio Taddei, che magari poco conoscono.
ma con parole diverse Virginia Wolf dice la stessa cosa nel suo diario.
Grazie Stefania, un grande abbraccio.
Charlus, mi hai preso in castagna.
Ho scritto di getto, come sempre; e quando si scrive di getto il “tutto tutto” non ci può essere: il “tutto tutto” c’è o negli autori (come Scott Fitzgerald) usano fare una scaletta e non sgarrare da quella oppure nella riscrittura.
Quando si scrive, è vero, si è circondati dalla nebbia.
Per cui correggo (anche nel post):
io di questa storia, mentre scrivo, dovrò, a un certo punto, sapere non tutto, ma tutto tutto.
Grazie ancora.
Su ciò che semplicemente sia scrivere, Claudio Magris – ne L’infinito viaggiare – è dalla tua parte:
Il viaggiatore procede, come nella vita, in una mescolanza di programma e casualità, mete prefissate e impreviste digressioni che portano altrove; sbaglia strada, torna indietro, salta fiumi e ruscelli; è incerto su cosa visitare e cosa trascurare, perché anche viaggiare, come scrivere e come vivere, è anzitutto tralasciare.
E trovo che tralasciare sia uno scegliere gravato da ulteriori difficoltà (e responsabilità).
Ciao Remo, un abbraccio.
Dirò la mia allora.
Lei si appresta , diciamo, a scrivere un racconto ambientato nel primo novecento.
Lei si documenterà. Leggerà testi, documenti, et cetera.
Si profilerà una vicenda, dei personaggi.
Ma come pensare di padroneggiare l’intera vicenda, inizio, svolgimento, intersecarsi di storie, fin dall’inizio?
Lei scrive che, per iniziare a scrivere, le occorra conoscere tutto, proprio tutto, già dall’inizio.
Ma, e lo dico sommessamente, la scrittura, nel suo dipanarsi, spesso impone altro, scantona dove non te l’aspetteresti.
Non potrebbe accadere che il personaggio concepito come Protagonista, non possa, via via perdere smalto?
Che altri personaggi, inizialmente concepiti come comprimari, non possano imporsi al progetto iniziale dello scrittore?
Che siano loro stessi ad esigere una “ribalta”?
Spesso per me l’autore è puramente un “medium”, mediatore fra il caos e la FORMA.
Penso che occorra rimanere aperti alla possibilità che il testo possa, per così dire, scriversi da solo.
Il difficile è assecondarlo.
Cordialità.