lettere al giornale

Vita di giornale (piccolo, 11, 12 mila copie di tiratura, combattivo, nato nel lontano 1871, il mio lavoro insomma).

Le lettere (o le mail) che arrivano con i “fà lo stesso” oppure con gli  “ò visto” sono il meno: si correggono e via.
L’errore più comune è comunque il c’era o c’ero o c’eravamo senza apostrofo.
Le lettere peggiori son quelle di chi pensa di saper scrivere bene e invece non sa scrivere e usa termini (che gli sembrano a effetto) impropri (che spesso fan ridere): quando il giornale esce e rilegge la propria lettera modificata solitamente telefona e dice, Non avete capito, perché mi avete storpiato la lettera?
E comunque. Ho iniziato a fare il giornalista nel 1986.
La gente, allora, scriveva a mano con la macchina da scrivere. Oggi il pc ha sostituito la macchina da scrivere ma, rispetto al 1986, ho una sensazione (ripeto: sensazione): c’è più ignoranza.
Aumentano quelli che vengono in redazione e ci chiedono di scrivere noi una lettera per loro, sotto dettatura ma con licenza di scrivere correttamente: ché loro non lo sanno fare. Però vedono la televisione: dicono che se il problema lamentato dalla lettera non verrà risolto loro non ci penseranno due volte a chiamare il Gabibbo che tutto risolve.
Non mi occupo direttamente di queste cose: me le riferisce la segretaria, o il giornalista che, a volte, si presta a scrivere (ché magari la lettera è una lettera denuncia, o di malasanità, o contro l’arroganza della burocrazia) e, durante la mia giornata lavorativa, ho altro a cui pensare.
Ma quando, di notte, vado un po’ a spasso per la rete e leggo certe discussioni mi chiedo se gli intellettuali, specie quelli di sinistra, le sanno queste cose.
Insomma, per me c’è più ignoranza e disattenzione, su tutto.

Poi – ma queste ci son sempre state – ci sono le lettere impubblicabili per il contenuto.
La giovane ragazza madre incazzata, per esempio, che scrive: Ho due figli e mi prostituisco per farli mangiare. Mi chiamo così e così, questo è il mio numero telefonico, disposta a far di tutto (ma non a tutelare la privacy dei propri figli in età scolare).
O quella del vecchietto di quasi cent’anni che ogni tanto mi scrive a proposito di stupri: tutta colpa, dice lui, di come si vestono oggi le donne.

Eppoi c’è il capitolo delle lettere anonime: l’ignoranza, qui, non c’entra.
C’entra la stupidità: tanta gente non si ricorda che deve morire e spreca il suo tempo, così, a vomitare sul prossimo.
(Comunque. Ogni tanto, ma è raro, l’anonimo scrive per segnalare un abuso ma non può esporsi perché teme ritorsioni. Un anonimo su venti, diciamo, non è un tarato mentale e ci chiede aiuto, se possiamo).