A 4mani, 2° racconto: A caccia di arcobaleni

Le inafferrabili sensazioni che drappeggiano l’aria come echi di voci lontane, ma chiare, tangenti, desiderate, creano l’atmosfera di attesa frenetica carica di stimolazioni di effetto positivo.
I tuoni si allontanano rimbalzando ancora nei solchi lasciati aperti e colmi di umori. Il loro eco si fa sempre più lieve fino a svanire in altri pensieri ed altri orizzonti.
Il cielo si apre, sorride timido al sole che sbadiglia e dichiara una momentanea tregua per riscaldare i corpi e gli spiriti affranti.
Fuggire, anche solo per un giorno, per afferrare arcobaleni nascosti e scoprire i misteri di realtà offuscate e rifiutate.

Desiderose di attimi solo per noi, per capirci e aiutarci cercando di trovare non solo le parole giuste, ma anche il momento propizio per dirle, ci incamminiamo per il sentiero ormai vetusto per noi.
Il fiume è lì nella sua perenne vitalità, nascosto, quasi fuggito dalle vicissitudini del mondo e protetto solamente dalle sue difese naturali. Le custodisce e le tramanda come segreti antichi sempre più preziosi.
Un vento leggero rinfresca il nostro cammino e spettina i nostri pensieri, i nostri problemi e li deposita sulle ali delle prime farfalle che li rotolano nelle mille piccole cascate e fuggono lontano fino a raggiungere l’ultima spiaggia.
Tra i fitti rami del bosco i raggi dell’arcobaleno danzano in un carillon mimetizzato dal frusciare musicale del fiume e gli uccelli cessano, al nostro passaggio, il loro brioso canto. Sono sorpresi, ma non impauriti.
Poi riprendono il loro melodico concerto ed il bosco vibra per tutti i sentimenti che esplodono e prendono vita.
Canticchiamo un motivetto partecipi al complotto che si sta creando.
Affondiamo, con gli stivali, nell’acqua fredda che rigenera spingendo in tutto il corpo quell’energia vitale che sta per esaurirsi.
Il piccolo gioiello, che, in sordina, oltrepassa ogni realtà si lascia accarezzare, cullare e saltella gioioso tra le pietre che scolpisce togliendo le spigolature per non ferire ciò che vuole passare e vivere.
Camminiamo per ore tra il bosco ed il fiume. Lo abbiamo attraversato dieci, venti, trenta volte.
Parliamo sottovoce, ma è sufficiente un semplice sguardo per capirci e intendersi.

Lui si snoda come un serpente e non riusciamo a trovarne la testa o la coda.
L’arcobaleno è sempre lì con le sue sfumature cangianti, ed è cavalcato dai sogni proibiti da afferrare al volo per il terrore della loro fugacità.
Spia, tra le fronde, i suoi inseguitori, brilla, non teme e si lascia ammirare.
La contemplazione è tale da dare le vertigini e gli occhi, all’inizio, si abituano male alle ombre ed ai colori che si intrecciano, danzano e come tanti folletti ci saltellano intorno e non vogliono farsi prendere.
Poi la vista impara, si adatta e tutto è più facile e si possono vedere le cose nella loro vera realtà. Si capisce il valore che è insito in loro e la scoperta rende felici e consapevoli di gioie nate dal nulla, da piccoli incontri, ma grandi ed arricchiti di una saggezza nuova che ha aperto le barriere ad una conoscenza che vaglia ed è armata di buona volontà e di una carica di ottimismo.
Sono ore che camminiamo, ma non siamo stanche.
L’inseguimento ci attira e si vorrebbe trovare il luogo dove muore l’arcobaleno perché narra la leggenda che lì c’è nascosto un tesoro.
La nostra corsa, però, ci riporta sempre sulle nostre orme ed, allora, ci rendiamo consapevoli che il tesoro lo possiamo trovare ovunque. Sarà sufficiente avere sempre fiducia in noi stesse ed in quello che facciamo.

Usciamo correndo dal bosco, accarezziamo le gelide acque e già il fiume è lontano.

Ci avventuriamo nella realtà di sempre portando con noi le magiche sensazioni di una natura fresca, sincera che aiuta a capire, sognare ed a camminare.
Abbiamo imparato che possiamo trovare ovunque un arcobaleno ed un piccolo gioiello che permetta di apprezzare quei momenti nei quali di vorrebbe fuggire.

26 pensieri su “A 4mani, 2° racconto: A caccia di arcobaleni

  1. Nessuna storia, un mero esercizio di stile; in stile ridondante, effettistico e pesante, però.

  2. dopo la lettura ho la stessa impressione che mi ha lasciato il film “Gli amori di Astrea e Celadon” di Rohmer… arcadico e forse un po’ sorpassato, no?

  3. L’ho letto due volte, cercando di capire se ci fosse qualcosa da capire. Secondo me non c’era. Quindi non mi è piaciuto. E’ quello che chiamerei semplicemente esercizio di stile, dove lo stile comunque è, come ha detto qualcuno, decisamente infantile.
    Se si partecipa a un gioco, se ne accettano le regole. E la regola del deve piacere per forza, almeno qui, non è ancora entrata in vigore. Giusto?

  4. Io non ho diritto al voto perché (per un pelo) non partecipo al “concorso”, ma essendo incuriosita dal suo svolgimento e passando di qua a leggere da fuori racconti e commenti, non posso che dare assoluta ragione a Sterno.

    Questo racconto è illeggibile, tremendo. Non vedo perché non dirlo in modo chiaro.
    Se io mi cimentassi a suonare il pianoforte e qualcuno mi dicesse che suono da schifo e che è meglio che prima di partecipare a una qualunque gara musicale sarebbe meglio che studiassi musica o che mi esercitassi per i prossimi venti anni con le scale o il solfeggio o cosa diavolo si fa quando si studia pianoforte, sarei molto più contenta, che se qualcuno mi dicesse: “sì, insomma, non male, coraggio, ci sono delle idee da sviluppare”. Almeno saprei che strada devo prendere, che lavoro devo fare per migliorarmi, magari capirei che è il caso di dedicarmi alla ceramica invece che alla musica.

    Ma perché avere paura di dire le cose come sono? Perché, come a scuola, bisogna promuovere tutti perché si ha paura di causare traumi irreversibili e ferire sensibilità ?
    E perché non riderne sopra e concedersi una battuta?
    Diamine, e poi per piacere non parliamo di “coraggio” e di’ “ammirazione” per il fatto di partecipare ad una gara di racconti. Termini come coraggio e ammirazione li destinerei ad altro.

  5. Non ci credo. Non credo a molti dei commenti lasciati a questo racconto. Sono commenti trattenuti. Contenuti. Diplomatici. Non positivi, è vero, eppure non del tutto sinceri. Credo in realtà che chiunque abbia trovato questo racconto non classificabile, illeggibile, inconcludente e assolutamente privo di contenuto, tecnica, stile, lessico, metodo e visione di insieme. Neanche una rilettura gli è stata concessa. Ora questo si può dire o non dire. E nel non dire includo anche la possibilità di ricamarci una battuta, è stata la mia prima scelta (prontamente contestata. e dire che cominciavo a credere che non accadesse). E tuttavia avrei potuto non farla, è vero e scegliere di essere più diretto, conscio come sono, in fondo, che un giudizio sincero possa, fare del bene soprattutto all’autore.

  6. concordo con il commento di stefania mola anch’io. concordo sul fatto che una battuta ci sta ecchediamine ;-) (faccinefaccine).

  7. Cominciamo bene! Siamo solo al secondo racconto e già fioriscono le polemiche :)
    Per fortuna non ho ancora scritto nulla, così mi do una regolata.
    Venendo agli arcobaleni: è un testo che non mi è piaciuto. Già al primo periodo ero scoraggiata e ho faticato ad arrivare in fondo. Ma questo è un parere personale e come tale va preso: amo la scrittura asciutta, un po’ di tensione e un finale degno di tale nome. Tutto questo non c’era e quindi mi ha lasciata insoddisfatta.
    Il “lui” ho pensato fosse il fiume tanto era improvviso e senza riferimenti. Ma non ne sono sicura.

  8. @ Stefania,
    ma certo! le faccine sono ben accette, come qualsivoglia altro pensiero diverso dal mio. Facciamo a gara di pippolozzi? ;)
    Personalmente non avevo trovato nella battuta (dichiarata tra l altro) di Sterno nessuna idea di offesa. Come sinceramente non vedo cosa ci sia di male o meglio “niente di utile” nel dire “l idea era buona”.
    Ad ogni modo, convengo con te, che ogni persona racchiude in sè le proprie fragilità e su quelle giostra i propri parametri.
    Probabilmente io ho una “soglia del dolore” molto alta (tesi per altro non condivisa dal mio dentista! ça vas sans dire ;) ) e quindi su quella misuro il mio “modo commentare”.
    Sai, sono anch io in gioco e penso anche a quando sarà il “mio” lavoro sotto gli occhi altrui e pensavo a come reagirò quando…
    Ecco, io preferisco la parola in più piuttosto che il silenzio, che potrebbe (non essendoci tono filtro emotivo ecc…) spacciarsi per indifferenza.
    Bene, ora che ho assunto ufficialmente il ruolo della spaccamaroni la chiudo qui! : )
    Piacere di conoscerti!

  9. @Sonia

    Posso? Posso usare qualche “faccina” per tentare di dare a noi, interlocutori al buio, una parvenza di “umanità”? :)
    Non ho niente da insegnare. Lo giuro. :D
    Concordo con te (e scusami il bisticcio di parole, necessario) sullo spirito “giocoso” che dovrebbe animare questo mettersi “in gioco”. Di più: questo mettersi “in gioco” coraggioso (gli autori hanno tutta la mia ammirazione) con il quale tacitamente si accetta di non prendersi poi così sul serio. Bellissima cosa che non riguarda solo coloro che scrivono, ma – credo – qualsiasi ruolo nella vita.

    Tuttavia… Ogni gioco ha le sue regole. E questo gioco – in particolare, e ricordando le passate edizioni – ha le sue fragilità, che sono principalmente le fragilità delle persone che si relazionano al buio: fragilità che si manifestano a causa di malintesi e fraintendimenti originati dal mezzo che usiamo. Ancora una volta la parola scritta.
    Senza tono, senza filtri emotivi, senza volto.
    Magari ti si immagina con un risolino sarcastico e invece stavi solo reclinando la testa o aggrottando silenziosamente le sopracciglia…

    T., con il suo intervento, non stava rimproverando nessuno. Mi piace pensarlo non perché la “conosca” ma per l’equilibrio e il ruolo che ha sempre avuto in questi “giochi” in passato. Nonché per la stima che per lei nutre il padrone di questa casa. :D

    T. ha chiesto di condividere con lei – noi che di qui passiamo, che leggiamo, che ci appassioniamo o che restiamo perplessi – la giusta distanza dai racconti e da chi li ha scritti: non solo quello che pensiamo (come giustamente tu chiedi di essere libera di fare) ma un modo per dirlo (che non c’entra con il politically correct né con lo sfondo didattico). Un modo che sia semplicemente il migliore possibile, almeno finché non ci si riesce a guardare in faccia. :)

    Personalmente mi sento di sottoscrivere quel “patto” proposto da T., proprio perché si tratta di un gioco. E so già che di fronte a un racconto che non mi convince, piuttosto che fronteggiare il rischio di una parola di troppo, magari preferirò scegliere il silenzio.

    Ciao, e scusa la logorrea… :D

  10. T. scusami, spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno avendo retto il gioco di Sterno con la sua battuta. Che non voleva assolutamente essere offensiva (perché una passione saffica lo sarebbe poi?)
    MA Se fosse così chiedo venia.
    PERO’, e scusami ancora ma il però mi scappa, facciamoci un piacere: non prendiamoCI così dannatamente sul serio!
    Andiamo!
    Stiamo giocando a scribacchiare tra una spremuta gelata e un ventilatore che fonde il motore.
    Niente da dire sul commento di Stefania, che sicuramente ha la competenza per dire certe cose, io leggo e imparo!
    Ma se io, penso che in fondo l idea non era affatto male, lo scrivo! perché per me che leggo, e nulla ho da insegnare sulla Scrittura, l idea non era affatto male!
    Logico che il buongusto (e il padrone di casa) non permetteranno (giustamente) commenti in cui ci siano insulti o offese, ma richiedere opinioni espresse in modo “politicamente corretto”, l’assenza di una battuta o un sorriso, o solo commenti a sfondo didattico mi sembra esagerato.
    di fatto si tratta di un “gioco”.
    pofberbacco!

  11. Mi è piaciuto molto l’intervento di Stefania Mola, sia per il tono che per il contenuto.
    Ho qualche perplessità circa il “rimprovero” – ricorrente nei commenti – per la mancanza di “storia”. E’ ben vero che il titolo del gioco è “Racconti a 4 mani” ma non ho pensato al termine ‘racconto’ in senso severamente limitante.
    In questo testo la “storia” – in qualunque modo intesa – si è persa o è nascosta nella esuberante vegetazione fluviale. Ma per me non sarebbe un problema “in sé”.
    Agli autori /alle autrici – non necessariamente alle prime armi con la scrittura, a mio avviso – non si fa cosa utile né con le pacche sulle spalle (“l’idea è buona. E anche la scrittura”) né con battute dal retrogusto di presa in giro (“erotismo saffico”). Sarebbe bello un patto, tra noi commentatori, di evitare quest’ultime per l’intera durata del “gioco”.

  12. L’arcobaleno da noi nasce tra i boschi alle pendici del Mpnteorfano e muore tuffandosi nel lago d’Iseo, quindi non ho mai pensato di cercare il tesoro, perchè ne avevo paura pensando alle acque scure e fredde . Ho passato bellissimi momenti dove nasce l’arcobaleno, tra fiori selvatici, funghi e castagne ed era tutto più semplice e naturale. Purtroppo questo racconto non mi ha portato là.
    Non mi dispiace la scrittura l’avrei solo diluita in un lungo racconto.
    Fausto Marchetti il falconiere del bosco

  13. Il finale è scolastico, son poi d’accordo: dieci aggettivi sono di troppo. Ma l’idea è buona. E anche la scrittura, nonostante i nonostante.

  14. beh, un po’ di erotismo saffico c è davvero… più presente quello della “storia” pressoché assente.
    l’ idea di partenza (l importante è il viaggio non la meta) è buona, peccato ci si sia un po’ perse nelle immagini forzatamente “aggettivate” e un uso non sempre pertinente della virgola, che non aiuta la lettura, né la comprensione.

  15. che dire.
    ruscelli e sguardi d’intesa, uccelli sorpresi da prendere al volo e un Lui che si snoda fra sogni proibiti.

    erotismo saffico e campestre. io mi sono eccitato, ma io sono malato.
    (spero che le autrici siano autoironiche, in caso contrario chiedo scusa).

  16. Dispiace anche a me dover dire che, tranne qualche spunto un pò fiabesco, fresco e nature, non ci trovo molto altro.
    Ridondanze e alcune metafore molto dejà vu, non raggiungono lo scopo di comunicare in un linguaggio poetico.
    Si distinguono le due voci, e anche io, come Elys, non riesco a immedersimarmi nei protagonisti.

  17. Non mi è piaciuto. Troppi aggettivi appesantiscono la narrazione e in genere non amo le non storie, i brani dove emerge solo la forma e nient’altro. Per me la scrittura deve essere un compendio di parole, vicenda, emozioni. Quando leggo devo vederlo quello che succede e immedesimarmi nei protagonisti, dimenticando il mondo esterno. Qui non ho trovato nulla di tutto questo.

  18. Premetto che a me piacciono le storie-storie, quelle che si leggono e poi si possono raccontare. E qui una vera storia non c’è. Però non sarei così severa come le lettrici commentatrici che mi hanno preceduta. Avverto una certa magia, in questo racconto non racconto, non disprezzabile. Leggendolo ho sentito il fresco ristoratore del bosco. E, con il caldo di questi giorni, è stato un sollievo. Insomma, non tutte le immagini sono da scartare.
    A differenza del primo racconto pubblicato, in questo, la presenza di quattro mani, l’ho avvertita.

    Milvia

  19. Senza entrare nel merito della storia (che non c’è).
    Una cosa è la scrittura ricca, piena, cui basta la scelta della parola “giusta” per raccontare un mondo. Altra è la scrittura ridondante: purtroppo due aggettivi o tre sinonimi – usati sistematicamente – dicono molto meno di ciò che si vorrebbe, “distraendo” chi legge, non di rado irritandolo. Rendendo fumosa la sostanza e faticosa la scrittura.

    A mio modesto avviso sono ingenue (o scontate) anche le metafore e le similitudini usate. C’è da sfrondare con severità (da parte degli autori). C’è un po’ di lavoro da fare, a cominciare dal lessico. C’è da lavorare sulla propria “cifra”, abbandonando le forzature, imparando a “sentire” che nella scrittura è importante persino la posizione delle parole (penso a come un aggettivo – a seconda che preceda o segua il nome – può cambiare il senso e il peso di una frase).

    Poi le storie verranno da sé: in fondo, quando possiedono profondamente i mezzi e le parole si riesce a “dire” praticamente tutto (o meglio: riusciamo a “dire” al meglio solo ciò che conosciamo davvero).

    [Opinione personale, da lettrice. Spero di non aver irritato nessuno]

  20. E’ una scrittura acerba, piena di frasi … come dire … fatte? Stucchevoli? Mi pare scritto da persone alle prime armi. Non me ne vogliano gli scrittori/ci, di cui apprezzo la voglia di mettersi in gioco, ma il racconto non mi è piaciuto sia per come è scritto sia per la “storia” (quale?) che si racconta. Ciao Lucia

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