Ti continuo a leggere sempre, e sempre mi stupisco di quanto poco si parli della tua scrittura. Sono meccanismi strani che non capisco bene, ma da lettrice ho la presunzione di immaginare che molti e molti altri lettori vorrebbero leggere storie come le tue. Un saluto dalle Marche, Remo.
Sono due giorni che penso a queste tue poche righe, cara Monia, e vorrei poterti rispondere ma mi è difficile. Ti spiego: per risponderti vorrei avere a disposizioni almeno due bocche, ma forse tre sarebbero meglio, così da poter dire cose diverse ma vere, contemporaneamente.
Allora provo a risponderti con altro, cara Monia.
Il mio prossimo libro è sulla scrittura, per esempio, ma lo è ancora di più sul tempo e sui ricordi: sono l’unica cosa che ci resterà quando diremo addio a questo mondo.
I ricordi, e non i libri (anche se, io, ora, senza scrittura, senza lettura, senza libri non saprei vivere).
Sai Monia, c’è anche chi dice che io scriva schifezze. Alcuni ce l’hanno con me per partito preso, ma altri no, son sinceri.
Qui sul blog c’è un vecchio commento che incornicerei.
Una donna mi racconta di aver letto La donna che parlava con i morti, e mi ringraziava per averlo scritto. Ma il bello di quel commento era il modo in cui questa donna, di cui non so l’età e non ricordo il nome, so solo che vive a Genova, arrivò ad avere tra le mani il mio libro. Glielo avevo portato suo marito, che lavora in una discarica. Vedendolo galleggiare tra i rifiuti aveva pensato di avere una moglie che leggeva tanto e che forse avrebbe apprezzato.
Mi sono rimasti impressi tanto la storia del libro recuperato dalla discarica quanto questa donna, che dopo averlo letto mi aveva cercato su google, per scrivermi.
Ma non posso dimenticare nemmeno che qualcuno o qualcuna aveva pensato che quel mio libro meritava di galleggiare tra i rifiuti.
Quando si scrive, cara Monia, si soffre di depressione, perché ci si sente poco capiti, e si diventa dei frustrati. Sospettosi, anche.
Una volta (sempre a proposito de La donna che parlava con i morti) mi capita di ricevere una mail di una certa Silvia.
Diceva che il libro l’aveva stregata. Diceva che lei e sua sorella erano andate allo stand del salone del libro e ne avevano comperate due copie. Diceva altro quella mail, che io catalogai come scherzo di qualcuno (pensai, qui è qualcuno dei due tre che l’han con me e quando possono vanno in giro per la rete a dire che scrivo cazzate) così la archivia, ma non la distrussi.
C’è voluto facebook per capire che non era uno scherzo: quella Silvia esiste per davvero, e mi ha chiesto l’amicizia su facebook confermando quanto aveva scritto. Io non ho avuto il coraggio di dirle che aveva ipotizzato fosse uno scherzo.
Però son contento, cara Monia, quando tu e qualcun altro dite bene dei mie libri, chiaro. Mi va bene così, e mi basta così diceva Adriano Pappalardo in una sua canzone che ascoltavo al juke boxe quando ero ragazzo.
In fondo quando ero ragazzo io sognavo di scrivere un libro, mica altro. Ricordo un film, in bianco e nero: c’è uno scrittore che tutte le mattine aspetta che il postino gli porti buone nuove da qualche editore. Quello volevo, io: scrivere, attendere. Era meglio il sogno, ma non devo nemmeno lamentarmi.
La vita è bastarda e corre via, ho scritto nel quaderno delle voci rubate.
Ti abbraccio Monia, grazie.
PS Avrai tempo tra un mese a farmi da segretaria di redazione alla quarta edizione dei Racconti a quattro mani? E la signora T. che non sente da tempo farà ancora l’e-book?
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