Il nove novembre esce Vicolo del precipizio, il mio sesto romanzo.
E’ la prima volta che pubblico un libro con una casa editrice che mi aveva già pubblicato un libro (per Perdisa Pop, un anno fa usciva Bastardo posto).
E’ la prima volta che ho scritto dei ringraziamenti.
Eccoli.
Alcuni ringraziamenti, e per motivi diversi (lettura, consulenze, consigli,
approvazioni, critiche), vanno a Chiara Granocchia, a Laura Bosio, a Luigi Bernardi, a Marco Marcellini e alle quattro “mie lettrici di sempre”, Zena Roncada, Stefania Mola, Mariapia Massa, Francesca Rivano.
Il ringraziamento più grande va a mia madre Nella e mio padre Franco,
mezzadri che hanno fatto solo la terza elementare, e che mi hanno cresciuto tra storie, canzoni e olio buono, di Cortona. Ringrazio poi Antonio Paolacci, direttore editoriale di Perdisa Pop ed editor, per la pazienza e il buon lavoro.
Questo libro è dedicato a Cortona, a mia figlia Sonia, e al mio portafor-
tuna, il piccolo Federico Libero: ho iniziato a scrivere Vicolo del Precipizio quando lui era nella pancia di Francesca; durante l’ultima revisione – Cortona a fine giugno 2011 – c’era lui che mi sgambettava attorno.
La copertina è questa (accanto a quella di Bastardo posto).
L’incipit del libro eccolo qua.
La tazza è quella del latte, dei biscotti e della voce spazien-
tita della mamma: «Sbrigati, Tiziano, sei sempre l’ultimo,
guarda che chiudon la scuola».
Sta sorseggiando il suo caffè forte e amaro, è in piedi, è
sul terrazzino. Quando avrà finito di bere, porterà la tazza in
cucina, la laverà e la asciugherà con cura, quindi si metterà a
scrivere, fino all’alba, fino allo sfinimento. La tazza è sorretta
con la sinistra; la destra è sotto, per precauzione, metti che
caschi. Non è un gesto di sempre: è di stasera. Stasera, per la
prima volta ha pensato che questa vecchia tazza bianca con
il manico nero lo ha seguito, sempre. Dovrebbe essere nata
prima di lui, dalle mani di un cocciaio.
Fa caldo a Torino. Sono le dieci e venti, ogni tanto arriva
qualche brezza di vento. Si è appena lavato la testa. Un rito:
se non ha i capelli lavati non riesce a scrivere, né per altri né
tanto meno per sé. Stasera e stanotte scriverà di nuovo per
sé, dopo anni. Ha tutto quel che gli serve, qui sul terrazzi-
no. Il computer portatile, due sigari Toscani accuratamente
tagliati in quattro mezzi, la compagnia discreta e silenziosa
di Giada, la gatta che gli si sta strofinando tra le gambe, la
fotografia che suo padre il mese scorso ha scattato di nascosto
alla mamma che spalancava la finestra della camera da letto,
al risveglio.
L’ha fotografata di spalle, babbo Felice. Oltre la vesta-
glia nera della mamma e i suoi capelli bianchi, s’intravedono
alcuni rami dell’ulivo che salgono dal campo, sotto casa, e
poderi lontani, verso la pianura della Valdichiana.
Il suo vecchio, quella foto gliel’ha regalata quando Tizia-
no è tornato al paese per la solita visita veloce, due giorni e
due notti, con partenza al risveglio. Gliel’ha allungata prima
dei saluti, incorniciata, senza dir nulla. Trattenendo le lacri-
me a stento, ché la Stefania non è più la Stefania.
Con la tazza del caffè ormai vuota e il cielo di Torino
illuminato dalla luna piena, sta risentendo la voce del suo
vecchio, ora. Gli sta raccontando di quel giorno di maggio,
un lunedì, quando nella basilica di Santa Margherita sposò la
Stefania. Alla cerimonia c’erano anche i genitori di Tito con
Tito che, avrà avuto quattordici anni, ne combinò una delle
sue. Proprio quando il prete, solennemente, diceva: «Felice,
vuoi prendere questa donna come tua legittima sposa?» lui
tirò fuori dalla tasca un’armonica a bocca – ma il suo stru-
mento diventerà la fisarmonica – per un omaggio musicale
non richiesto. Lo bloccarono appena iniziò a suonare.
«E pensare che sembra ieri», ha aggiunto suo padre. Una
delle sue ricorrenti frasi fatte, dette ciondolando la testa. Sta-
volta però Felice, guardando severo il figlio, ha voluto sotto-
linearlo con altre parole, quel pensiero.
E ha detto, ma senza muovere il capo, fermo come una
guardia del corpo all’alzabandiera: «A un certo punto della
vita, voltandoti indietro, vedi che restano solo i ricordi».
me l’annoto subito, eh, auguri Remo!
sabato 26 novembre
ore 19.00
Libreria Linea 451, via Santa Giulia 40
ciao e.l.e.n,a
a quando a torino?
Remo non ama i complimenti e non gliene farò. Ma mi costa fatica. E’ molto bello. Come gli altri, del resto. Gianna
Non vedo l’ora di avere il libro. Anche questo non può nè deve mancarmi.