sveglia

Nei letti dell’ospedale, in questo reparto, ci sono soprattutto vecchi. Ottant’anni verso i novanta, Che son brutti – brutti tanto – da vedere: ti fan vedere quel che sarai-saremo tutti un giorno.

Posso avere la padella, non so se mi scappa, ma preferirei averla, dice una vecchia con la vergogna di essere vecchia, con la vergogna di dover chiedere la padella, con la vergogna d’essere malata.
L’infermiera la guarda e dice: Se non è sicura perché la vuole?

Perché quando ho la senzazione di dover cagare io vado al cesso e mi tiro giù i calzoni, anche se poi magari non cago, avrei dovuto dire io.
Ho detto niente, invece, non sarebbe servito.

E prendo l’autobus, e ci sto dentro 40 minuti a guardare la mia città. E vedo gente e ascolto gente.
E intanto rifletto sull’ignoranza: da ragazzino ho conosciuto contadini analfabeti ma laureati in gentilezza.
E c’è una ragazza non distante da me, che dorme. Ha un passeggino con un bimbo di pochi mesi, che la guarda. Sì, il bimbo, col ciuccio in bocca, guarda la mamma che dorme, ed è quasi mezzogiorno.
Dorme di brutto: quando l’autobus frena rischia di cadere, però no, ce la fa ad aggrapparsi all’ultimo decimo di secondo, poi guarda il bimbo, poi si riaddormenta: di nuovo.
La osservano in tre, scuotendo il capo. Dicono, Ma che roba, non si può. Ma varda ti (ma guarda te). I tre, due donne e un uomo, scendono. Lui però, prima, fa in tempo a gridare alla ragazza, Sveglia, sveglia, sveglia, tre volte, così la ragazza si sveglia e le altre due ridacchiano.
Mi chiede l’ora, la ragazza col passeggino con dentro il bimbo che la guarda, buono.
Non ce l’ho mi spiace.
Domanda a una ragazza negra, dietro di me, molto bella, che gentilmente le dice che è quasi mezzogiorno e mezzo.
La ragazza col passeggino mi dice: Sono stravolta, non ce la faccio più a lavorare di notte, lui poverino – mi fa indicandomi il bambino – mi vede sempre così: stravolta. Non ce la faccio più.
Ma il bimbo la guarda: tranquillo.
Scendono, si accende una sigaretta, lei, Poi si avvia verso casa: una casa popolare, di quelle brutte, brutte, brutte.

7 pensieri su “sveglia

  1. Quello che mi piace di te è che sai vedere. Guardi e vedi, e poi racconti. E la vita è lì, nelle tue parole, meraviglioso Remo. Grazie.

  2. non a lei, povera donna, ma a tanti cittadini verrebbe proprio da strillare sveglia, sveglia, sveglia.

  3. Pietas.
    Una parola antica che comprendeva molte cose: il rispetto e l’amore verso gli dei, la patria, la terra, la famiglia. Compassione. Senso della dignità.
    L’essere pius per gli antichi significava tutto questo.
    Quando non c’è pietas tutto diventa possibile.

  4. La gente e la realtà che ci gira intorno a volte è veramente così brutta che si fa fatica a svegliarsi e scendere a prendere un altro tram che è sempre los tesso.

  5. Forse quelli che dovrebbero svegliarsi veramente, a questo mondo, sono quelli che gridano “Sveglia”. Quanto poco basta per ferire il prossimo e quanto poco basterebbe invece per tirarlo su. Allungare una padella magari con un sorriso (anche se si è stanche), rispettare una mamma, e così via. Proprio poco. Ciao Remo :-)

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