E’ un pomeriggio d’estate. In una casa di riposo del vercellese vedono arrivare una signora in taxi. E’ una donna ricca, è vedova, arriva dal nord est.
Avrà ottantantacinque anni, portati benissimo.
E’ arrivata lì per rivedere il suo perduto amore che di anni ne ha novanta ma è come se ne avesse duecento, o forse più.
Sono giovani. Vent’anni lui, nemmeno sedici lei. Lui è di buona famiglia, lei è figlia di gente che lavora i campi. Del loro amore le rispettive famiglie nemmeno lo sanno.
Lui è a rischio-cartolina, e in effetti arriva la chiamata dell’esercito italiano.
L’addio – come migliaia di altri addii – è tra lacrime e promesse d’amore eterno.
Per un po’ l’attesa della ragazza è l’attesa di una lettera: che arriva, puntuale, per essere baciata, letta e riletta, conservata con cura sotto il cuscino.
Finché ne arriva una, dolce come le altra ma destinata ad essere diversa: è l’ultima lettera.
La ragazza pazienta, prega, timidamente chiede.
Nessuno sa dirle nulla.
Finché un giorno un amico della famiglia l’avvicina e le dice che il suo amore è disperso, come tanti.
Ricomincia l’attesa, paziente e testarda. Ma poi finisce la guerra e di lui non resta che quell’ultima lettera che non doveva essere l’ultima.
La ragazza si rassegna, lascia il paese, va nel nord est, conosce un uomo facoltoso, si sposano.
E quando, ormai ottantenne, rimane vedova, ripensa al suo perduto amore di quando aveva sedici, diciassette anni.
Ha soldi, e quindi può permettersi di cercarlo. Si affida a un avvocato, l’avvocato si affida a un investigatore privato.
Dopo qualche ricerca, alla signora arriva l’esito della ricerca, che è… positivo: il suo perduto amore è ancora vivo.
Da militare non si era comportato da uomo: lo avevano infatti congedato come un inetto, una femminuccia che ha paura di morire e della guerra. E, tornato a casa, i familiari si erano talmente vergognati di lui che lo avevano rinchiuso.
Si sono rivisti, due anni fa. Gli occhi lucidi della donna e quelli spenti di lui, forse per un attimo, si sono incontrati.
(Questa è una storia vera al novanta per cento. L’inizio e la fine son veri; in mezzo mi son preso delle libertà).
La libertà presa nel mezzo è forse quella di un uomo che mostra la sua fragilità?. Ci hanno insegnato a essere “uomini ad ogni costo” celando la propria fragilità, ignorando però che proprio nell’ostentare sicurezza, si mostra tutta la fragilità umana.
Mi viene da dire: Maledetta la guerra, che spezza i sogni, l’innocenza e brucia la giovinezza. Ma forse non uccide l’amore. Storie così, solo tu le sai raccontare come vanno raccontate. Credo sia questione di sguardo.
Ne faccia un romanzo. C’è dentro il mondo intero.