Mi piace come scrive Vitaliano Trevisan. Ritengo che sia una delle voci più interessanti della narrativa italiana.
Il primo suo libro che ho letto si intitola Il ponte.
Lo lessi anni fa. Nelle prime pagine, a un certo punto Trevisan scrive che i giornali (vado a memoria non ricordo bene la frase), che i giornali, dicevo, sono scritti male.
Mi restò impressa quella frase. Un po’ aveva ragione e un po’ no.
Sul mio nuovo libro (Forse non morirò di giovedì) un po’ gli rispondo.
La buona scrittura ha bisogno di tempo, spesso di revisioni. Ma tanti pezzi, specialmente di cronaca nera, magari scritti quando il giornale sta chiudendo, sono scritti in fretta e furia. Magari sono dettati al telefono. I pochi minuti tremila battute. Magari con ripetizioni, con qualche refuso. Ma ci sta, ci sta.
I giornali, locali, poi son quelli messi peggio.
Al Corriere della Sera, per esempio, c’è più attenzione.
Un estratto del libro.
Adesso il ragazzo gli sta raccontando che la notte, spesso, i clienti della pensione scendono e gli raccontano la loro vita, e magari si confidano. Anche cose intime. Qualcuno arriva al punto di piangere. E lui, adesso, vorrebbe rielaborare quelle storie scrivendoci un romanzo.
Lo leggerebbe, mi darebbe qualche consiglio?» «Guarda che sono solo un giornalista di provincia.»
Ascolta le storie del ragazzo dal volto emaciato e affilato, intanto dalle campane della chiesetta giungono tre rintocchi. Augusto si alza, va a preparare due panini con la mortadella di Bologna, ci bevono su due birre, poi un caffè e poi un secondo caffè. Parlando.
Augusto bombarda Sovesci di domande sul giornalismo, sul lavoro in redazione.
«Hai presente Dino Buzzati, sai chi era Buzzati?» gli domanda Sovesci.
Ho letto Buzzati, ma il mio scrittore preferito è Pavese.»
«Bene, leggi, leggi più che puoi. Ti dicevo di Buzzati. Lavorava al Corriere della Sera, senti come. Il cronista di nera andava nei commissariati, oppure dov’era successo un crimine. Tornava in redazione, scriveva in fretta e poi passava il suo pezzo a Buzzati. Diciamo che il cronista scriveva la brutta copia e che Buzzati scriveva la bella copia; la firma, però, era quella del cronista. Buzzati insomma faceva un lavoro importantissimo ma oscuro. Ed è anche quello che faccio io. Rivedo e spesso riscrivo pezzi, faccio titoli, ma ho tanti altri compiti. Per esempio, devo fare in modo che ogni mattino il giornale arrivi puntuale in edicola.»
Poi. Domani sera, prima presentazione, naturalmente on line, di Forse non morirò di giovedì. LEGGI QUI