Ricordo un bicchiere di latte tiepido che mi guardava, al Bar Marchesi. Era con gli amici nella stanzetta piccola, dove c’era il joke-box.
Perché non mi hai dato uno schiaffo?, pensavo.
Perché di schiaffi, il babbo, a differenza della mamma (che me le suonava col battipanni) non me aveva dati mai.
Oggi ha 93 anni, il babbo. Ce l’ha col mondo e anche con me, spesso. E parla, parla. Quando vado a trovarlo mi bombarda di parole e io non vedo l’ora di uscire.
Si è fatto noioso, si lamenta troppo.
Ma è lo stesso babbo di quella sera.
Avevo 18 anni e qualche mese, ero fresco di patente, Eravamo in cinque: il babbo e la mamma, io, mio sorella Silvia, che di anni ne aveva nove, e Moreno, che era appena arrivato.
Il babbo era in cassa integrazione a zero ore. Si tirava avanti con dignità. La mamma faceva la donna di servizio, il babbo aveva un orto e faceva mille lavoretti.
Ha mai letto un libro mio padre. Terza elementare, legge i giornale guarda la tele. Ma ha mani particolari. È un contadino, quindi dategli qualcosa di verde e lui farà miracoli. Già, i miracoli. Sembra che le sue mani siano scollegate dal cervello. Sa nulla lui di elettricità, però le sue mani hanno dimestichezza con i fili e impianti elettrici, con i motori delle auto, con le tapparelle. Le sue mani, dicevo, non sanno dare schiaffi. Nemmeno carezze, per la verità.
Avevo 18 anni, e il babbo era andato a Cortona con il treno. I suoi fratelli avevano ammazzato il maiale, lo avevano chiamato e lui era andato.
E mi aveva affidato la sua Fiat 127 gialla. Stai attento, però, mi aveva detto.
Ma io non ero stato attento. Mentre il babbo era in treno e stava tornando con qualche salsiccia e qualche sanguinaccio, appena fuori città, con un amico a bordo avevo fatto lo scemo. Con il fondostrada bagnato dalla pioggia, mi ero messo a fare lo spericolato, avevo così perso il controllo dell’auto che era finita in un fosso. Tettuccio schiacciato, danni non da poco.
Ed eravamo in cinque, e lui era in cassa integrazione a zero ore. E io e mia sorella andavamo a scuola.
L’auto schiacciata viene parcheggiata sottocasa dal carro attrezzi. Il babbo non è ancora arrivato. Vai ad aspettarlo, devi dirglielo prima che veda la macchina, altrimenti si spaventa, dice mia madre. Aspetto, ma non lo vedo arrivare. Salgo in casa, penso: il treno sarà in ritardo. No, era già arrivato.
Mi guarda, lo guardo. Non so che dire. Parla lui.
Dice: «Ti sei fatto niente?»
«No, ma la macchina…»
«La macchina fregala, dai mangia.»
C’erano le salsicce cucinate al tegame, col vino bianco. Non riuscii a mangiarle.
Uscii, poi, Bar Marchesi, con gli amici, che mi chiedevano come avevo fatto. Guardavo il mio bicchiere di latte tiepido, io.
Perché non mi hai dato uno schiaffo?, pensavo.