Undici minuti: omaggio a Franzoj e Salgari, anche

Un giorno, dovesse tornare la voglia di scrivere ancora, vorrei cimentarmi in un romanzo storico dedicato ad Augusto Franzoj. Questa cosa qui la scrissi credo nel 2001, o forse nel 2002. Di sicuro la scrissi in 11 minuti. (Questo post – non è un racconto è un post – è contenuto, con altri post, nella raccolta Tamarri, Historica)

Manca un’ora. Più dodici minuti.
L’ultima ora sarà tutta per mio figlio, questi dodici minuti, invece, per te caro Emilio.
Ma dimmi, sei ancora vivo?
Io sì, per un’ora, undici minuti e una manciata di secondi. Poi due rette, uguali e contrarie, si scontreranno: per la grande scintilla.

Non sono schiavo di nessuno, io, nemmeno della libertà.
Gliel’ho detto, sai?, ai socialisti che mi vorrebbero arruolare. Il rosso mi piace, accidenti, ma le loro facce no.
L’Augusto è più libero del vento.
E’ libero come un berbero, l’Augusto.
Ed è più libero di te, caro amico dai piccoli occhi furbi, che sanno immaginare tutto.
Quante cose mi hai rubato. Poi ci salutavamo, dopo cinque, sei, sette bicchieri di vino.

Rubavi le mie storie, e andavi a imprigionarti per scriverle, e sognare la gloria che invece, questi bastardi, hanno regalato a D’Annunzio, facendoti morire di rabbia e povertà.
Povero amico mio, schiavo di soldi e della fama.
Io no, tu lo sai.

Ricordi Rimbaud? Mi scrisse tempo fa, ma a te, di quel giovane, sconosciuto poeta, non importava nulla.
Tu volevi le mie storie d’Africa, i miei mille duelli, le mie donne, che mi hai sempre invidiato.
Ne ho una sola, ora, proprio come te. E un figlio, che non mi somiglia e a cui non so parlare.
Povero amico, che per respirare il profumo che emanano le femmine vogliose hai dovuto, di notte, dare vita alla favorita del Mahdi, alla regina dei Caraibi, alla Perla di Labuan. Marianna, la tua preferita. Il tuo grande amore segreto.
Che io non ho avuto: ho collezionato spedizioni in terra d’Africa, io, duelli, io, e mogli di altri: le più calde erano quelle degli ufficiali torinesi.

Caro amico, mancano, ormai, tre minuti. Tre. Come gli atlanti che ho disegnato, come le spedizioni che mi hanno seccato il cuore, come le mie pistole.
Ne userò solo due, per la grande scintilla.
Ho pensato solo a te, oggi.
Perché tu, come me, sei una grande vittima: di questo secolo. Che sia maledetto il Novecento e che, quando arriverà il Duemila, porti via questa follia chiamata progresso.
Evviva Mompracem, evviva Sambigliong, il tuo eroe più silenzioso.
Caro Emilio, il tuo tempo è scaduto.
Anche il mio.
Devo dire a mio figlio qualcosa, che non so trovare.Un giorno mi dicesti: Ma nelle carte che hai disegnato la tua firma non c’è, nessuno si ricorderà di te.
Avevi ragione, è bello essere ricordati. Mi pento di non avere lasciato segni.
E’ per questo che scriverò a mio figlio.

Mancano 58 minuti.
Poi arriveranno due rette, uguali, potenti e contrarie. E la scintilla. Così tutti, tutti, si ricorderanno dell’Augusto.

Augusto Franzoj (San Germano Vercellese 1848; San Mauro Torinese, 1911), scapigliato, esploratore (Africa e Amazzonia), mazziniano, collezionista di donne e duelli.
In Africa, durante una spedizione verso i laghi equatoriali, conobbe Rimbaud. In Italia, durante un convegno, Salgari. Morì suicida, premendo contemporaneamente il grilletto di due pistole puntate alle tempie. Piaceva a Carducci. Non si sa se Carducci piacesse a Franzoj.