Regalar poesie

Questa poesia me la regalò mio figlia Sonia, una vita fa. Costa così poco regalare poesie… Lei la copiò e poi me la spedì per posta elettronica.

Una tigre morente – rantolava assetata
-Io cercai per tutta la sabbia –
colsi il gocciolare di una roccia
e glielo portai in mano
-I suoi grandi occhi – erano opachi nella morte –
ma cercando in essi – intravidi
una visione sulla retina
dell’acqua – e di me –
Non fu colpa mia – che corsi troppo piano –
non fu colpa sua – che mori’
mentre io stavo arrivando
-era – il fatto che fosse morta –

“La Dickinson è una poetessa dura, aspra, essenziale. Fatta di pietra e di quarzo. Non si fa illusioni. Non ne autorizza. Non crede nel paradiso in terra, non le piace (“I don’t like Paradise”).”(Beniamino Placido)

Distrazioni e dimenticanze

Una mia amica (si chiama Rossana Girotto, devo a lei la ristampa de La donna che parlava con i morti) ieri su facebook si è data della cogliona per essere rimasta senza benzina in autostrada.
Le ho risposto che a me è successo almeno dieci volte. Ricordo una notte, ero a Novara, non c’era anima viva. Cercai un contenitore dell’immondizia, recuperai una bottiglia di plastica e poi mi misi a cercare un distributore automatico. Arrivai a casa all’alba.
Sono distratto.

Dimentico di tutto e perdo di tutto.
Mi sono dimenticato di andare a prendere i miei figli a scuola: Sonia, una vita fa, e il piccolo Federico Libero, l’anno scorso.
Una volta ho dimenticato il cane in auto, per almeno tre ore. Era un mattino di primavera, successe nel mio cortile; quando gli ho aperto ha sbadigliato, scodinzolante.
Una volta ho fatto il prelievo con il bancomat e ho dimenticato di prendere i soldi. Li ho lasciati lì, fortuna che nessuno, passando, se li sia presi (la banca, quindi, me li ha restituiti).
A volte entro in un bar, ordino un caffè, lo bevo, esco senza pagare, poi torno e chiedo scusa…
Mi è successo, e non una volta sola, di comperare un libro che già avevo (non ricordo mai i titoli, io). Così adesso (visti i costi) me li sono scritti, a portata di mano sul telefonino…
Potrei continuare (ombrelli persi, strade sbagliate perché sovrappensiero e, anche, per mancanza assoluto di orientamento eccetera eccetera eccetera).

Non mi vanto, d’essere così.
Ho perso le lettere che mi furono inviate quando morì mio fratello Moreno, ho perso le lettere che mi scrisse don Luisito Bianchi. (su don Luisito, LEGGI QUI)
Lettere a cui tenevo, tanto. Però le ricordo…
(segue: a domani)

Il cappotto portafortuna

Una volta diceva: «Noi siamo gente che non festeggia i compleanni». Da un po’ di anni, invece, li festeggia. Tra qualche giorno andremo a cena, il babbo ne compie 94. Ci ha invitati lui. Dirà, e sono un po’ d’anni che lo dice, sorridendo però: «Oh, (pausa) questo è l’ultimo compleanno». E’ la sua frase portafortuna. Quando di anni ne aveva 60 (minchia, era più giovane di me, oggi) comprò un cappotto e disse: Oh, (pausa) questo è l’ultimo. Forse ce l’ha ancora, quel cappotto.

Quando si fa il carbone si diventa neri come il diavolo

Mia mamma, buonanima, credo abbia letto tutti i miei libri. Mio padre non credo. Per lui i libri son cose strane, che non capisce, non fanno parte del suo mondo. Bastano e avanzano i giornali. Ha fatto la terza elementare, ma a singhiozzo: un giorno a scuola e un giorno a fare il carbone.
In terza elementare, arrivò una maestra da Roma per gli esami finali. Il tema che diede fu un regalo per il babbo. Titolo: il carbone.
“Quando si fa il carbone si diventa neri come il diavolo”, scrisse.

L’estate scorsa sono tornato a Cortona, dove son nato. E’ venuto anche lui, con i suoi 93 (ora son 94) anni, i suoi acciacchi, i suoi ricordi.
Per una settimana abbiamo parlato dei vecchi tempi e della luna: che bisogna imbottigliare, seminare o tagliarsi i capelli solo con la luna piena. I travi di legno delle case toscane? Si tagliano con l’accetta. Se l’albero è stato abbattuto con la luna piena il trave, poi, è bello e liscio, se invece il taglio è stato fatto quando non bisogna ecco i tarli, i buchi, mi ha spiegato il mio vecchio. Mi guardava un po’ sconsolato: sa che corro dietro ai libri e ad altro, che ho imparato poco da lui.

Gente strana gli editori

Gente strana, gli editori, soprattutto quando ti invitano a cena o a pranzo, per esempio.
Anni fa (tanti anni fa) un editore invitò me e altri scrittori, scelti non so in base a quale criterio, a un pranzo nella sua villa. Non andai. Non mi chiesero perché, me l’avessero chiesto avrei fornito la spiegazione, che è questa: tu, editore, non rispondi alle mia mail per tre, dico tre, anni, e poi pretendi che io corra da te?

Pochi anni fa, invece, un editore invita me e altri due scrittori a cena, dopo una fiera letteraria. Può venire anche sua moglie, mi scrive qualcuno, non ricordo chi, della casa editrice. Rispondo: bene, grazie, ma c’è anche mio figlio, che ha otto anni e che io mi porto sempre appresso quando vado in giro. Risposta dalla casa editrice: l’editore dice che l’invito vale solo per lei e la signora, ci spiace.
Provo a insistere, anche perché l’editore ha sempre risposto alla mia mail. Dico che mio figlio è buono, non scassa le palle, c’è abituato, lui, ad annoiarsi tra gli adulti.
Niente da fare: per l’editore la cena è una cosa seria, e seria, per lui, vuol dire: moglie sì, ma figli no. Amen.
Risposi gentilmente.
Non credo di essermi perso molto: né al pranzo di tanti anni fa né all’… ultima cena.

Tempi moderni

Dodici anni fa. Mi svegliavo verso le 9, dopo 4, 5 ore di sonno. E poi, tazzina di caffè e sigaretta a portata di mano, per un’ora circa stavo davanti al pc. Posta elettronica, poi facebook, poi questo blog, dove postavo la prima cosa che mi veniva in mente. Senza pensarci troppo.
Poi verso le dieci andavo al giornale, dopo una tappa al bar per il secondo caffè.
E dal momento che sono un collezionista di ricordi, ogni tanto ripensavo alle mie notti davanti alla Olivetti con la radio accesa, fino a tardi. E ne scrivevo.
Il mondo è cambiato, pensavo. Mi piacevano posta elettronica, facebook, blog.
In realtà il mondo stava iniziando a cambiare. I giorni del cambiamento – quello vero – sono arrivati. Ed è solo l’inizio.

Da La donna di picche a La suora

A proposito di alcuni miei libri.
Credo che il mio miglior giallo sia La donna di picche. Le vendite, però, non sono andate come speravamo io e l’editore Sergio Fanucci, che del libro era entusiasta.
Ora, sull’entusiasmo degli editori occorre andarci cauti. Ma tanto. Una volta mi successe questo. C’era un editore che attendeva un mio manoscritto. Dopo un paio di giorni da quando glielo inviai mi scrisse una mail, entusiasta, appunto. Non solo. Lo stesso giorno mi scrisse anche il direttore editoriale. entusiasta pure lui. E’ il mio momento, pensai.
Un anno dopo, al momento di andare in stampa, lo stesso editore mi scrive una mail, dispiaciuta: purtroppo non ci sono troppe prenotazione (circa 900) e quindi è meglio che l’uscita del “nostro” libro slitti di qualche mese. Finì male: finì che quel libro lo pubblicai, sì, ma con un altro editore…
Invece, l’entusiasmo di Sergio Fanucci per La donna di picche è stato qualcosa che ho toccato con mano, più volte. La sua prima mail. Quello che disse del libro davanti a tanta gente al Salone del libro. La testimonianza di una persona amica: Fanucci mi ha parlato molto bene del tuo libro… Ma, ripeto, le vendite non sono andate bene. Punto.

La donna di picche però mi ha bloccato per mesi e mesi.
“Sono la donna di picche, quella che non dimentichi”: IL VIDEO
Non riuscirò a scrivere un libro altrettanto bello, mi dicevo. E invece penso d’esserci riuscito. Anzi sono convinto che il mio prossimo libro, intitolato La suora
e che uscirà con Golem – l’editore che mi ha pubblicato Forse non morirò di giovedì – è una delle cose che mi sono riuscite meglio.
Ma torniamo a La donna di picche.
Guardo su Amazon, e vedo che il libro di carta costa meno dell’ebook. Non è strano?
Per me lo è. Io continuo a essere fedele alla carta. Continuo ad andare in libreria, insomma.

L’oste

Oggi non ha resistito, e ha aperto la serranda.
Sono ancora vivo, dentro però non potete entrare, dicono i suoi occhi alla gente che passa.
Cucina casalinga, si spendeva poco, non lavorava per diventare ricco.
Non riaprirò più, dice. Poi piange.
È vecchio. Stanco, Sconfitto.
Tovaglie bianche sui tavoli.
#vittimecovid