Allora, per non annoiare il prossimo.
Sunto veloce della puntate precedenti. Dopo aver pubblicato libri, Dicono di Clelia (Mursia, 2006) e Lo scommettitore (Fernandel 2006), la Newton Compton mi contatta e mi chiede un nuovo libro, che esce nel 2007: La donna che parlava con i morti (ora ristampata da Il vento antico).
2008, con la Newton Compton dovrebbe uscre (c’è tutto: contratto, editing, copertina) anche Bastardo posto, che considero il mio libro più bello (insieme ad altri due, di cui parlerò domani, nell’ultima puntata), ma proprio il giorno in cui libro deve andare in stampa mi avvisano che è tutto bloccato, causa le poche prenotazioni (circa 850). Rompo con la Newton e Bastardo Posto esce con Perdisa Pop nel 2011.
Fine del riassunto.
Quel che accade dal 2010 al 2015 è cosa di poco interesse, soprattutto per chi scrive.
Dopo la morte di Luigi Bernardi, pubblico ancora con Perdisa Pop un libro dedicato al mio paese, Cortona, (titolo: Vicolo del precipizio) e sempre in quegli anni pubblico altri romanzi e racconti con piccoli editori che mi conoscono (Historica, SenzaPatria che non c’è più).
Nel 2016 con la (bella) casa editrice Tlon pubblico un giallo, secondo libro con Anna Antichi protagonista.
Un giallo in cui parlo di medicina alternativa, di buona alimentazione, che è come una medicina. Credo sia un buon giallo, commetto però un errore, grave. Anzi, commettiamo due errori gravi: io sbagliando il titolo (Vegan, Le città di Dio: il Vegan è di troppo, sarebbe stato meglio Le città di Dio) e l’editore sbaglia la copertina e la quarta: la copertina, solo gialla, fa pensare a un saggio, e sulla quarta c’è scritto che il libro si richiama a The China study. In realtà – sia chiaro, sotto forma di giallo – i miei protagonisti parlano di quanto sia importante vivere lontani dallo stress e con un’alimentazione sana. Vegana? Anche, ma non solo. Se il latte fosse quello di una volta (senza ormoni e senza antibiotici) sarebbe un ottimo alimento, stessa cosa per la carne: il montone con cui si cibavano i pellerosse ha poco da spartire con le carni rosse che compriamo al supermercato e fanno male. Ma ripeto, è un giallo. Anche se il cattivo ha un nome e un cognome: è una piccola big pharma di provincia (con diramazioni francesi).
(Sotto, copio e incollo l’incipt del libro).
Sono anni, quelli che vanno dal 2011 al 2014, in cui perdo diversi contatti con l’editoria. Per due motivi.
Il primo: con Bastardo posto non ero riuscito – e ci speravo – a diventare uno scrittore di seria A o B. Cosa significava, per me, diventare uno scrittore di A o B. Significava vivere di scrittura, anche con poco. So vivere con poco, io.
Nel libro Lo scommettitore, che è la storia adi uno 007 politico pentito, racconto che il mio protagonista ricomincia una nuova esistenza in una nuova città e con pochi soldi in tasca. È un’esperienza che ho vissuto quando restai senza lavoro, disoccupato per due anni, dopo la fabbrica. Studiavo lettere e facevo di tutto, per vivere. Pulizie cantine, per esempio. Ecco, quando il protagonista de Lo scommettitore va al supermercato fa quello che facevo io in quegli anni. Acquistavo, calcolando. Ho 5mila lire, allora compro delle ali di pollo perché costano poco, fa 900 lire, mi restano 4100 lire, procediamo.
Fumavo esportazioni senza filtro, in quegli anni. A volte mi succedeva di entrare in un bar con l’intenzione di bere un caffè per poi uscire: avevo dimenticato che in tasca non avevo un soldo.
E comunque, torno alla mia biografia di scrittore.
Secondo motivo che mi fa allentare i rapporti con editori, editor, scrittori. Nel 2014 lascio la direzione del giornale La Sesia per candidarmi a sindaco di due liste, una di sinistra e una civica. Prendiamo il 7 per cento. Divento prima consigliere comunale e poi assessore all’ambiente. Per due anni scrivo poco e niente e leggo anche poco. Ma nel 2015 sbatto la porta, e mi dimetto, e, nauseato, lascio la politica. E torno a scrivere. Libri e su un giornale on line (Infovercelli24).
Dal 2015 a oggi ho pubblicato altri quattro libri, di cui parlerò nell’ultima puntata di questo “Quasi diario”, e grazie a due piccole case editrici pubblico anhe la ristampa di altri due libri, di cui ho già detto.
Prima di chiudere, ancora due cose.
In questi anni a volte ho letto manoscritti di scritttori esordienti. Causa problemi di tempo (lavoro, impegni vari a cominciare da mio figlio Cico, nato nel 2010) non ho mai detto di no a nessuno. Chiedo un primo capitolo, una sinossi, poi mi confronto con l’autore. Non solo. Per anni, su un blog che ho su Il Fatto quotidiano, ho pubblicato estratti di inediti (incipit, un secondo estratto, una ipotesi di quarta di copertina, una breve biografia). Bene, alcuni di queste proposte editoriali sono poi state pubblicate da piccoli ma seri editori.
Perché leggo estratti di inediti? Perché per i miei inzi fu importante la scrittrice ed editor Alessandra Buschi (una scoperta di Tondelli). Non mi conosceva, eppure lesse uno dei miei primi libri, Dicono di Clelia, dandomi dritte preziose e non solo: lei stessa lo propose a qualche editore.
Ho fatto mia questa sua generosità.
Come spero di aver imparato “cose” da Luigi Bernardi. Quello che mi ha insegnato, insieme a quel che appresi negli anni 2003 e 2004 dal blog di Giulio Mozzi (la rete serve), insieme alle puntate radiofoniche (si trovano in rete: sono preziosissime per migliorare la propria scrittura) che ho trascritto e imparate quasi a memorie di Dentro la sera (conversazioni sullo scrivere di Giuseppe Pontiggia) ho tenuto anche dei corsi di scrittura. Sempre gratis.
La gratuità, già. La insegna nei suoi libri don Luisito Bianchi, prete e scrittore di assoluto valore. (La messa dell’uomo disarmato, il suo libro più importante. Ne parlerò). In vita sua, Luisito face il prete rifiutando lo stipendio del sostentamento del clero perché, diceva, Gesù Cristo non è morto in croce in cambio di una paga, e nemmeno i giovani partigiani che andarono a combattere e morire lo fecero per denaro…
Sono contento di averlo conosciuto e di essere stato suo amico. Era del 1927, è morto da qualche anno. Ho scritto diverse volte su di lui e, quando posso, parlo di lui e dei suoi libri.
Insegnare è uno scambio, per me.
E un libro, sempre per me, è un incontro.
Alla prossima.
Da Vegan. Le città di Dio.
Incipit.
Un giorno mio padre mi disse che la voce di dio si sente solo quando la notte è fonda: è l’acqua del fiume che scorre.
La pioggia e il vento che fanno sbattere le finestre l’hanno svegliata. Sono le tre passate da quattro minuti. Luca si sarà addormentato davanti al computer. Deve svegliarlo, avrà la schiena a pezzi. Lo chiama. Niente.
Il computer è acceso, ma Luca non c’è. E non è in bagno, non è in cucina, né sul balcone a fumare una sigaretta di nascosto (ogni tanto lo fa, come se lei fosse fessa). Purtroppo non può essere nemmeno fuori con Fosca, pensa Andreina, ma è un pensiero da gettare via altrimenti piange, perché Fosca è stata soppressa; inutile quindi andare in balcone a controllare se c’è il guinzaglio. C’è. Quando va a stendere la biancheria non ha il coraggio di guardarlo. Rimarrà lì, crocefisso sul muro. “Il guinzaglio dell’unico cane della mia vita”.
E comunque. Non è da Luca uscire a quest’ora, senza un biglietto. Per essere uscito è uscito: mancano i jeans e le scarpe nere di cuoio, che alterna con quelle da ginnastica. Ha preso l’ombrello verde; diluvia, adesso. Prima pioggia di settembre.
Non sa che fare Andreina. Da tre, quattro mesi, Luca non è più Luca. Si è messo a rincorrere il fantasma del padre, che fino a qualche mese prima era un ricordo da due soldi.