Uno anno fa contavo i giorni: si avvicinava l’uscita de La suora.
Da allora ho provato a scribacchiare qualcosa ma non ho partorito nulla. Avrò scritto l’incipit di una ventina di romanzi interrotti a due, tre massimo quattro pagine.
È la seconda volta che mi blocco.
La prima volta successe venticinque anni fa, dopo aver scritto il mio primo libro: Il quaderno delle voci rubate (ripubblicato e in gran parte riscritto con il titolo Il bar delle voci rubate).
Per anni, inviavo il manoscritto agli editori ricevendo o rifiuti (ho ancora in mente il primo: di Frassinelli) o nemmeno un rigo. E intanto mi dicevo: forse non sei uno scrittore.
Il secondo blocco è di pochi anni fa, dopo l’uscita de La donna di picche. Il mio editore (Fanucci) mi disse: il prossimo libro che scrivi deve essere bello almeno come La donna di picche.
È una parola, pensai.
Ma quando finii di scrivere La suora pensai: è bello come La donna di picche, forse di più.
La scommessa, adesso, sarebbe quella di scrivere un romanzo che – a mio avviso s’intende (ma sono severissimo con me stesso) sia all’altezza de La suora.
Dal momento che non ci sto riuscendo non mi resta che continuare a parlare in questo blog o di libri d’altri o di libri miei, de La suora in particolare.
A un anno di distanza un libro è dimenticato, sommerso dalle nuove uscite. Ma non mi arrendo, io.
Oddio, prima che uscisse una voce mi diceva: vedrai, farà la stessa fine dei libri a cui tieni di più (Bastardo posto e La donna di picche).
Ma voglio insistere, io. Magari comprerò un po’ di copie e poi andrò a venderle scontate in qualche posto lontano, con poco chiasso e magari il mare non lontano, perché mi ha sempre fatto bene guardare e respirare il mare.
Cosa c’entri il mare con La suora non lo so, però mi andava di scriverlo, tanto.