Ogni giorno vorrei mettermi a scrivere, ma.
Scrivere significherebbe due cose: stare meglio, andare lontano con la testa.
Ci provo, scrivo qualcosa, ma poi non continuo. Ho centinaia di file con incipit e romanzi appena abbozzati, nella, però, che mi abbia convinto a continuare.
E son cose che dimentico di averle scritte.
Ieri per esempio ho trovato un racconto incompleto. Si intitola Lo strano.
C’è qualcosa di buono e qualcosa che non va in questa bozza di racconto.
La cosa che va. Rileggendolo mi sono chiesto: ma l’ho scritto io? È una storia che non ricordo… E questo è positivo: quando scrivi qualcosa e poi ti sorprendi potresti essere sulla strada giusta.
La cosa che non va. Non mi convince al punto di continuare.
Insomma, il letargo prosegue.
Del resto un lungo letargo l’ho già vissuto.
Tra il primo libro che scrissi, era il 1995 (Il quaderno delle voci rubate, ora ripubblicato con il titolo Il bar delle voci rubate), al secondo, era il 2003 (Dicono di Clelia) passarono otto anni.
Per sette, otto anni continuavo a chiedermi: ma tu sei sicuro di essere uno scrittore?