Fabrizio: un libro (vero) che non so se scriverò

Di un mio libro, Vicolo del precipizio (storie contadine ambientate a Cortona e narrate da un ghostwriter) ho un ricordo carino. Prima di proporlo a Luigi Bernardi e a Perdisa lo proposi anche a due altri editori.
Uno mi rispose che la storia era bella, mail finale era da riscrivere e ripensare, l’altro mi scrisse che il libro non era convincente, eccetto il finale, davvero bello.
Succede. Chi legge in una casa editrice non è Dio in terra. Fa valutazioni sue, punto (lo spiega bene Pontiggia in un suo racconto).
Ma la editor che elogiò il mio finale scrisse anche un’altra cosa: che la mia biografia (scuola, poi fabbrica, poi studente lavoratore, poi disoccupato, poi portiere di notte, poi giornalista( era interessantissima.
Forse dovrei usare parte della mia mia biografia, e magari poi prestarla a un personaggio. Magari a uno scrittore che per campare fa il cameriere.

Ecco cosa ho scritto stanotte.

Sto piangendo mentre mangio un Buondì Motta. Sono a scuola, frequento la seconda elementare. Non è un giorno qualunque.
Il maestro, severissimo, oggi mi ha dato il permesso di mangiare il mio Buondì prima dell’intervallo. L’ha fatto perché poche ore fa è morto mio fratello Fabrizio, che aveva solo dieci mesi.
Quando mamma mi ha svegliato mi fa: Remo, devo dirti una cosa.
Allora non sapevo che Fabrizio era malato, però quando mamma pronuncia quelle parole – Remo, devo dirti una cosa – capisco che a Fabrizio è successo qualcosa di brutto.
Piansi ininterrottamente, quel giorno, prima a scuola e poi a casa. Ero attaccatissimo a Fabrizio. Quando mamma si assentava per fare la spesa badavo io a lui. Lo cullavo, gli facevo il solletico, qualche volta gli davo qualche “granellino” di parmigiano grattugiato.
Tornato a casa da scuola, pensai: e se l”avessi ucciso io? Non avrei dovuto darglielo qual parmigiano, la mamma non avrebbe voluto.
Arrivò il fotografo, che abitava nel nostro stesso condominio: l’unica fotografia della breve vita di Fabrizio è la foto di Fabrizio che, tutto vestito di bianco, dorme per sempre.
Poi arrivarono le suore, maledette. Mi presero in giro, mi dissero che Fabrizio adesso era felice su una nuvola «guarda in cielo, è là», così io smisi di piangere, dissi «che bello, Fabrizio è là», nemmeno al funerale piansi.
Ma non dimentico. La bara bianca scende, le gambe di mamma non la tengono in piedi, sta per cadere, ci pensa mio padre a sorreggerla. Il peggio fu tornare a casa: non piangevo più, ma la casa senza Fabrizio non era più la stessa.

Anni dopo, sono da una psicologa. E’ molto bella, molto brava, molto sensibile. E io sono un soggetto molto interessante, per lei. Sgrana gli occhi quando le dico che…


(non so se continua)
(però accetto consigli)
(la foto di Fabrizio è incorniciata e appesa alla mia sinistra)