Il dubbio (su don Luisito Bianchi, ancora)

Su don Luisito Bianchi, ancora.
La prima volta che lo vidi, mentre stavamo mangiando (volle assaggiare la panissa vercellese), gli dissi, scherzosamente: Quando parli di Dio mi fai pensare che esita per davvero.
Non ebbe nessuna reazione a quella battuta da due soldi. Mi diede l’impressione di essere diventato pensieroso, era colpa, mi domandai, di quelle mie parole?

Anni dopo, siamo a Trino Vercellese, abbiamo presentato un suo libro (I miei amici. Diari) e abbiamo cenato, anche. Mi fa compagnia mentre fumo il mezzo toscano parlandomi della sua vita e di Dio. «Ho vissuto per lui… spero sia tutto vero.»

Scrivere libri con la penna stilografica, insomma don Luisito Bianchi

Sono due gli scrittori con cui ho avuto uno scambio epistolare intenso: Luisito Bianchi e Luigi Bernardi. Entrambi non ci sono più. Ma mentre di Luigi custodisco le mail , le lettere che mi scrisse don Luisito le ho perse (con altre a cui tenevo: è la mia specialità perdere cose a cui tengo). Ci scrivevamo usando la penna stilografica. Leggendo questo vecchio articolo (marzo 2006) capirete perché.

A voler scrivere di don Luisito Bianchi si rischia: di andar fuori strada, di non riuscire a spiegare chi sia veramente questo scrittore, classe 1927, prete anche e soprattutto: perché in primo luogo, nel parlare di di lui, occorre spiegare, o perlomeno provarci, che intende lui per questa parola, “prete”.


«Ma tu come hai fatto ad arrivare fino a me?» mi domanda.
E’ dicembre, io don Luisito e altre due persone parliamo del più e del meno in una pizzeria: ancora mezz’ora e poi – siamo in una città della Padania – ci sarà una presentazione dei suoi libri Sironi.
Sul Blog di Giulio Mozzi – gli rispondo – lessi che la Sironi stava per pubblicare “La messa dell’uomo disarmato”. Il passa-parola è partito da lì.
Mi ascolta incuriosito, anche un po’ divertito. Ti faccio ridere, vorrei dirgli, ma con affetto: come fai a non restare colpito da quest’omino che, con orgoglio, ti indica le sue scarpe e, con orgoglio, dice «Sono del 1968, me le regalò padre Escarré».
Sembrano nuove. In realtà sono solo curate con amore, tutti i giorni «Purtroppo la chiesa, noi preti e le suore, abbiamo perso l’abitudine alla manualità…», dice.
Ecco dove voleva arrivare don Luisito: che io abbia letto qualcosa su un blog è affare mio; che io e buona parte dell’umanità siamo ormai schiavi della posta elettronica e di internet a lui interessa relativamente: perché lui continuerà a passare con il panno, tutti i giorni, le scarpe che furono di padre Escarré, portandole, quando suola e tacco sono consunti, dal calzolaio.
E continuerà, don Luisito, a scrivere con carta e penna (stilografica) i suoi libri.

Scocca l’ora della presentazione. Una bella sala, la libraia con le pile de “La Messa dell’uomo disarmato” e “Come un atomo sulla bilancia”, cinquanta persone circa. Nessun sacerdote, nessun monsignore.
Non commenta don Luisto: se l’aspettava.
Parliamo dei suoi libri. Quando racconta, spiega, ha gli occhi socchiusi, concentrato come stesse pregando.
La gratuità è il punto centrale dell’esistenza di don Luisito ed è, al contempo, l’essenza del messaggio dei suoi libri.
Don Luisito non ha voluto mai percepire stipendi per predicare il Vangelo: Mi sono mantenuto, sull’esempio di san Paolo.Per un prete la gratuità assoluta è un obiettivo irrinunciabile. E non parlo del denaro offerto per la Messa, che ai miei occhi era sterco offerto al clero, ma dell’importanza di provvedere da soli al proprio sostentamento.
«Quando Gesù Cristo si è fatto uccidere in croce non l’ha fatto in cambio di uno stipendio… e quando i giovani partigiani andavano a combattere e a morire l’hanno fatto con gratuità…. io non li ho seguiti, non andai a combattere e mi spiace… ma cosa credete, un prete è anche un uomo e non è indifferente alla bellezza della donna: ecco, il mio primo atto come prete, la prima gratuità, fu rinunciare a questo….».