Quando la vita è merda è merda che fa male.
L’ho visto ieri, è da qualche settimana che lo vedo: pesa la metà, trema quando cammina. Ieri barcollava, mangiando un gelato.
Non so di cosa sia malato, posso intuirlo, e so bene che è cosa che non riguarda solo lui. La malattia a la morte son passaggi obbligati, anche se tendiamo a rimuovere, dimenticare.
La sua vita però, lo so, è stata sempre merda: che fa male.
Mi ricordo quando era piccolo: cresciuto a schiaffi e calci in culo e urla. E pugni in testa, che poteva ricevere anche per strada… Erano cose che vedevamo, insomma: brutte interruzioni mentre si giocava a calcio, magari in un prato.
Mi ricordo la sua ribellione, scappare di casa, rifarsi una vita.
E mi ricordo poi la cosa più bella, col passare degli anni: la sua bontà, la sua generosità, la sua mitezza. Gli piaceva star da parte, gli piaceva il suo lavoro, gli piaceva camminare silenzioso, e quando lo vedevo camminare a testa bassa immaginavo che risentisse le urla e rivedesse i giorni di merda (che fa male) della sua infanzia e della sua adoloscenza.
Lo vedevo solitamente di sera, anni fa. Io col mio vecchio cane Barone, lui o da solo, soprattutto da solo, o con qualche amico, ma era raro.
Non credo abbia mai avuto famiglia; suppongo non abbia voluto, ricordando la sua.
Ieri l’ho rivisto, e son giorni che lo rivedo: stento a riconoscerlo, ché sembra un vecchio.
Non lo è.
So una cosa, ora di lui: che non l’ho mai visto né ridere né sorridere. E so che questa è cosa che non succederà. Perché, mi ripeto, quando la vita vuole essere merda che fa male è merda che fa male, e basta.
E vaffanculo, verrebbe da dire. Ma immagino che lui non lo direbbe, vaffanculo.
Starà cammimando, ora, a testa bassa. Barcollando. Senza imprecare. E questo, comunque, è un grande insegnamento.*
* storia verissima, camuffata appena appena; son sicuro che al protagonista ve bene quel che ho scritto.
Ilaria, sei fantastica.
Forse… potresti salutarlo, quando lo vedi, o fargli un sorriso, o probabilmente lo fai già anche se non lo hai scritto. Perché non gli cambierà niente, ma un pochino di bene lo fa vedere che c’è uno che ti vede e che sa. Sai infatti cosa mi è venuto in mente leggendoti? Questa frase di Pavese, dal suo diario: “Ti stupisci che gli altri ti passino accanto e non sappiano, quando tu passi accanto e non sai, non t’interessa, qual è la loro pena, il loro cancro segreto?”. Be’, tu invece lo sai e t’interessa, e gli hai dedicato un post pieno di empatia, per esempio :-)