A 4 mani, 11° racconto: Istantanee d’anniversario

Luciana arrivò in sala da pranzo, una mano premuta sulla bocca.
Poi tirò su un sospiro, come a raccogliere coraggio, e tutto d’un fiato disse:
«È arrivato. Aspetta in stazione. È solo. Dice che mamma non è voluta partire.»
Per un attimo nessuno reagì, poi presero a parlare tutti insieme, fino a che Dante sbatté un pugno sulla tavola, appropriandosi del suo ruolo di fratello maggiore.
«State zitti!», urlò « Cosa significa che non è voluta partire?»
Luciana rispose come tra sé e sé:
«Non me l’ ha detto, il motivo. Ma deve essere qualcosa di serio. Non sarebbe mai venuto da solo.»
Fu a questo punto che Milena, la più giovane dei nipoti, si alzò da tavola e corse in camera sua. Si buttò sul letto e scoppiò in singhiozzi.
Amava tanto sua nonna. Fin da bambina aveva sentito in lei una vitalità di solito estranea alle persone di quell’età.
Da lei aveva appreso a essere forte, a non lasciarsi intimidire dalle compagne più prepotenti, a non giudicare, a rispettare ogni diversità.
Ora capiva che doveva aver avuto dei motivi veramente seri per non essere partita.
Aveva intuito, dai discorsi che ultimamente le faceva sua nonna, che qualcosa era cambiato in lei. Quando erano andati a trovarla, a Pasqua, le era anche sembrato che fosse mutato il suo approccio con gli altri famigliari: l’aveva osservata mentre ascoltava le recriminazioni ora dell’uno ora dell’altro, le lamentele per il lavoro, per il carovita, per le vacanze saltate, per la disubbidienza dei rispettivi figli. Sembrava che non li udisse veramente, come fosse assorta in altri pensieri. Rispondeva con cenni del capo, brevi commenti, sorrisi di comprensione. Ma soprattutto taceva.

«Mi hanno stancata tutti», prese a dire, come se ci fosse qualcuno ad ascoltarla. E intanto chiudeva la valigia, e controllava ancora una volta che il biglietto aereo fosse nella borsetta, e fermava le persiane.
«Mi ha stancata lui, con i suoi ridicoli tradimenti, con il suo paternalismo, con le sue recriminazioni. Te ne ho date, di cose, in questi cinquant’anni, mi ha detto ieri. Mi hanno stancato i figli, e i nipoti, egoisti, opportunisti, capaci solo di arrivare qui in massa, per le feste, e solamente perché in città i divertimenti non mancano. Mai a chiedermi mamma, hai bisogno. O a dirmi: nonna, ti voglio bene. Ma tutti: fai, devi, dammi. So bene che è stata Luciana a organizzare la festa. Per ammansirmi, sperando che io dica sì, te li do io i soldi per il negozio che vuoi aprire. Ma io, queste nozze d’oro, non le festeggerò. Che sono d’oro matto, queste nozze.»
Prima di lasciare la casa, le cadde lo sguardo sulla foto che ritraeva lei e Milena. Un groppo le strinse la gola. Milena, che era diversa da tutti loro.

Il caffé gli bruciò il palato. Imprecò fra i denti, e sbatté la tazzina sul banco. Il cameriere lo guardò sollevando le sopracciglia, poi riprese ad asciugare i bicchieri. Cazzo hai da guardare, ringhiò Umberto in silenzio. Almeno arrivassero presto, pensò. Che lo sappiano subito che la madre non vuole più né me, né loro.
La rabbia gli premeva dietro le costole, e spingeva per uscire e lacerargli la carne.
Dopo cinquant’anni sua moglie gli ha aveva detto: ti lascio. Così, di punto in bianco, ti lascio, gli aveva detto, poi se n’era andata in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei. Pensò alle donne che aveva lasciato, per lei. Avventure, ma anche storie importanti. Pensò ai figli che le aveva permesso di avere, per quella sua stupida voglia di maternità. Fosse stato per lui, uno sarebbe stato più che sufficiente. Solo un fastidio, i figli. Pensò alle ore di straordinario, fatte per racimolare qualche soldo in più, per la casa, e le vacanze, e gli studi dei figli. Ti lascio, gli aveva detto.
«Chissà cosa farà, adesso, senza di me. Ho fatto sempre tutto io, in cinquant’anni», masticò fra i denti, dirigendosi in bagno.
Lo specchio sopra il lavandino gli rimandò l’immagine consumata di un viso grigio di stanchezza. Gli salì un tremito, dentro, e la rabbia lo abbandonò di colpo, lasciandogli un buco fra il cuore e la pancia. Un vecchio cane abbandonato, gli venne da pensare.
Poi scoppiò a piangere, con dei singhiozzi raschianti, che si annodavano in gola.

Il tassista sistemò le valige nel bagagliaio, poi chiese dove dovesse portarla.
Lei non rispose. Se ne stava assorta, e fu riportata alla realtà dalla voce che per la terza volta le chiedeva, stavolta perentoriamente: « Allora dove la porto, signora?»
«All’aeroporto”, rispose.
Mentre il taxi procedeva lentamente sulla strada intasata dal traffico, ebbe modo di riflettere, ripercorse molte delle tappe principali della sua vita di moglie, di madre, di nonna.
Scosse la testa come per scrollarsi da un insetto invisibile. Forse non era necessario andarsene, sarebbe stato troppo doloroso anche per lei, pensò. La raggiunse una consapevolezza mai avuta prima: avrebbe dovuto chiarire a tutti che non era più disponibile a richieste che non tenessero conto delle sue esigenze. Sapeva che le cose non sarebbero radicalmente cambiate, ma avrebbe parlato, oh sì, che avrebbe parlato!
Toccò la spalla del tassista:
«Scusi, non all’aeroporto, mi porti in stazione», disse
Promise a se stessa che non avrebbe più permesso a nessuno di disporre del suo tempo e che avrebbe preteso rispetto per ogni sua scelta. Da tutti. A cominciare da Umberto. Ci aveva tentato, in passato, ma poi si era arresa. Questa volta, però, sapeva di avere una grande determinazione.
Il biglietto aereo l’avrebbe conservato, per ricordarle la sua decisione. Non sarebbero stati soldi buttati. In fondo stava comunque intraprendendo un viaggio: verso una libertà ottenuta non con rivoluzione, ma con la riflessione.

Alla stazione, ad aspettarla, c’erano Umberto e Milena. Lui non le disse niente: si avvicinò e le fece una carezza sulla guancia. Lei lo guardò negli occhi, poi accolse fra le braccia Milena e sorrise.
Più tardi le avrebbe parlato. Ma sapeva che avrebbe avuto in lei un’ alleata formidabile.

15 pensieri su “A 4 mani, 11° racconto: Istantanee d’anniversario

  1. Mi perplimo, se consentite. Ci sono parti ben scritte, il ripensamento della nonna tutto sommato ci sta perché le donne hanno questa capacità di perdonare in zona cesarini. Però nel complesso non lo vedo degno delle parti alte della classifica. Mi perdonino gli autori.
    1) Take away
    2) Anni sereni
    3) Il primo figlio
    4) Antiferesi
    5) la casa del mais
    6) la confraternita della banacauda

    p.s. da adesso in poi posto solo i miei primi sei, visto che sono sei quelli che alla fine si dovranno votare.

  2. Beh, forse quel marito lì, si meritava proprio un bel ciao, addio per sempre… Ma il cuore delle donne (non tutte, per fortuna o sfortuna) sa anche perdonare.

    Milvia

  3. Avrei preferito che la nonna avesse preso l’aereo. Con la sua decisione finale si è smontato tutto il racconto, secondo me!

  4. ò: mai che una nonna mandi a quel paese fino in fondo le sanguisughe dei figli e dei nipoti e di quel vecchiaccio del marito, perché è un vecchiaccio, che oltretutto ha rinunciato, sentitelo, a un mucchio di donne. tsè. ma ndo vai, cioo sai si che sei un vecchio cane abbandonato! ma io te farebbi vede’ fino n fonno, antro che cambia’ programma pe tténe all’urtimo minuto! possi’ pijà m bène, ma beato te!
    caught caught! ehm…
    racconto gradevole, contenutisticamente non molto profondo, scritto da due paia di mani abbastanza evidenti per livello di dominio del mezzo. giudizio complessivamente positivo.

  5. ottima la descrizione della scena dell’uomo al bar, lascia immaginare qualcuna/o che di scrittura se ne intende.
    anche le prime riflessioni della donna.
    un po’ debole in qualche punto.
    nell’insieme non mi dispiace.

  6. Magari! Mi ero iscritta e successivamente ritirata dal concorso, comunque mi sono immedesimata.. non è stato poi difficile.. Riprendo il tuo “non si sa che dire” perchè in effetti, di fronte a tali scompigli sentimentali, si resta sempre un po’ così, senza parole..

  7. Boh, non so. L’ho letto, ok, è scorso senza troppi problemi..ma non lascia nulla, non si sa che dire.
    Netto lo stacco fra le 4 mani, concordo che quella al bar è la parte scritta meglio.
    Complimenti per tutti i particolari colti e spiegati da Dusca. E’ talmente informata da sembrare quasi l’abbia scritto lei….

  8. Dal racconto si capisce la stanchezza della domma, ma lo ama, ama tutti loro, ognuno in una maniera particolare. E’ attraverso la carezza e la nipotina che comprende.. Trovo molto realistica la scena del bar, a tal punto da averla quasi vissuta. Le riflessioni danno l’idea che nel distacco, seppur momentaneo, si possano scorgere i propri veri sentimenti, tematica a volte considerata banale, ma sicuramente attuale.
    Laddove l’amore viene sommerso da “altro” (sensazioni descritte nel racconto come l’egoismo ecc..) c’è il rischio che si perda di vista il nocciolo di un legame importante, che trova la ragione della sua esistenza nel ritorno e nell’accoglienza.
    Chiunque parte, volendo. Qualcuno ritorna.
    Complimenti agli autori. Le quattro mani? Dove..?

  9. Anche io ho avuto la stessa sensazione di eccesso di drammaticità all’inizio, infatto l’ho riletto per vedere se mi fosse sfuggito qualcosa che lo giustificasse maggiormente.
    Qui si sentono molto le quattro mani. L’unica scena davvero ben scritta è quella dell’uomo al bar, anche se certo non provoca empatia uno che pensa “mi lascia dopo tutto quello che ho fatto per lei, ho anche rinunciato alle tante amanti”.. Attendo accuse di misoginia che sono state fatte per meno.. ;-)
    Non è brutto ma non mi ha preso per niente, piuttosto scontato.

  10. L’ho letto con gli occhi della bambina sensibile che dalla nonna ha imparato a vedere le realtà quotidiane così come sono.
    La mano sulla bocca , e il pugno sul tavolo non sono poi così esagerati se avevi fatto piani e conti in precedenza.
    Le donne, le nonne soprattutto le incontro ogni mattina e parlo con loro, i discorsi sono spesso gli stessi : incomprensione, sottovalutazione , il tutto e sempre dovuto di chi sta a casa a fronte della fatica e impegno quotidiani di chi porta il salario.
    Non trovo esagerata la carezza del nonno in stazione, forse ha veramente paura di rimanere solo come un cane , lui che non sa dosare neanche la caffettiera per la colazione, ma mi piace pensare che sia stata Milena a prenderlo per mano, e quando un uomo ha per mano e davanti a sé gli occhi lucidi di un nipote a volte può riuscire a capire quello che una vita da perfetto egoista(ma forse solo uomo come tanti noi) non era riuscita a fargli capire.
    Complimenti agli autori , sicuramente non due uomini, forse un uomo e una donna, io dico due donne, loro queste cose le conoscono perchè le vivono.
    Il falconiere Marchetti Fausto

  11. Scrittura corretta, anche se il ritmo è un po’ lento. Ci sono locuzioni scontate da evitare, tipo “ripercorse le tappe della sua vita”.
    L’inizio l’ho trovato esageratamente drammatico, poco credibile. La mano premuta sulla bocca, il pugno sul tavolo..Tutto questo perchè la nonna ha deciso di non venire? Non sanno ancora nemmeno il perchè. Francamente eccessivo.
    Anche il finale non va. In tutto il racconto viene tratteggiata una donna forte, coraggiosa, determinata. E poi, dopo aver tagliato tutti i ponti, a un passo dall’aereo ci ripensa con la scontatissima domanda: “forse sarebbe stato troppo doloroso anche per lei?” Certo che sì, è ovvio in questi casi ma è la domanda che ci si pone subito, prima di decidere, non alla fine.
    Già non è una racconto avvincente, la poca credibilità finisce coll’abbassarne inevitabilmente il valore e il gradimento. Non è fra i peggiori, comunque.

  12. sono indecisa. mi piace ma sono perplessa sul finale.
    la scena di lui al bar è stupenda.
    la parte dopo sembra una svolta per evitare la tragedia. sarà perché a me non piace tornare indietro…

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