La sveglia suona verso le 9. Solitamente ho dormito cinque ore, a volte di meno. Colazione, pc per contrallare la posta elettronica, lavoro in redazione, ritorno a casa, ancora redazione, a volte fino alle 18, a volte fino alle 23, dipende.
Poi passo più tempo possibile col bimbo (Federico Libero proprio oggi compie dieci mesi), faccio una passeggiata col cane, mi piazzo davanti al pc (suppergiù dalle 23 all’una), mi sposto in cucina a leggere (fino alle quattro).
Certo, faccio unlavoro che è fatto anche di incontri: gente che viene, e che mi racconta. Di tutto.
Qualcosa finisce sul giornale, tante cose no.
Quest’anno poi è stato un anno bastardo: son venuti in tanti da me a chiedere se sapevo di un lavoro. Ho visto gente piangere, insomma. Posso fare niente, io.
Ma ho come la sensazione che la vita scorra lontano da me.
Mi mancano le sale di aspetto della stazione, mi mancano i bar di periferia dove andavo a rintarnarmi con un libro, mi manca il girare a vuoto di notte in macchina, e poi, e poi: soprattutto mi manca la strada.
Senza la strada mi restano i ricordi che, va bene, sì, possono aiutarmi a scrivere uno, due libri, ed è quello che ho fatto fin’ora (che se si esclude Bastardo posto i miei romanzi son tutti romanzi di nostalgie, anche se non solo) ma senza la strada son niente, io, son vuoto, insomma.
E non è che in strada uno deve incontrare chissà che: basta vedere, basta respirarla la strada.