Ti ho dato buca, Primo

La tentazione di usare il pc solo per la posta elettronica è forte. Certo, grazie al blog ho conosciuto persone che sono diventate amiche.  Di più: è grazie al blog che approdai alla Newton compton, nel 2007.  Lessero che stavo scrivendo un libro, mentre ero in ferie in Spagna…

Si chiamava Primo. Primo Di Vitto, giornalista. Faceva altro nella vita ma le sua passione era il giornalismo storico-culturale e sportivo. Viveva a Borgosesia, in una frazione. Era un giornalista fuori dal tempo, improponibile, ché oggi i sistemi editoriali viaggiano perlomeno su posta elettronica. Lui niente, resisteva: solo la vecchia macchina da scrivere. L’ho conosciuto cinque anni fa, appunto a Borgosesia. Io, lui e Massimo Novelli passammo una giornata insieme, inseguendo e cercando notizie dal passato su “Lea Schiavi, la donna che sapeva troppo” (titolo del libro che scrisse Novelli). Poi, per due volte, Primo, prendendo l’autobus, venne da Borgosesia a Vercelli, a trovarmi. Si offrì di scrivere pezzi per la pagina di cultura, e io dissi di sì. Credo che Primo sia stato l’ultimo giornalista che mandava per posta ordinaria, ben imbustati, i suoi articoli scritti a mano. Mi piaceva quell’uomo da libro cuore (e in effetti, ho saputo che quando collaborava a Tuttosport gli avevano chiesto di scrivere delle cronache, e non dei resoconti da libro cuore, appunto), semplice, schietto. Poi ci eravamo sentiti per telefono, no, un attimo, era anche successo che lui mi avesse cercato, “C’è il signor Di Vitto in linea” e che io avessi detto: “Digli che lo richiamo”, una frase, questa, che ripeto chissà quante volte ogni giorno, maledicendo il tempo che non basta mai. E comunque. Gli avevo promesso che una sera sarei andato a trovarlo, a Borgosesia. Glielo avevo promesso e me l’ero ripromesso, anche solo pochi giorni fa. Lunedì un mio giornalista bussa alla mia porta. E’ morto Primo Di Vitto, mi dice. Merda. Scusami Primo, ho pensato.

il buio oltre la finestra

hai lavorato, cresciuto figli…
sembra passata un’eternità, sembra un sogno.
c’è il presente, ora.
una casa di riposo per non autosufficienti con poche risorse e le famiglie indaffarate con figli e altro.
ti cambiamo il pannolone quando si ricordano di te.
il tuo cazzo e il tuo culo sono degli ornamenti inutili, ormai.
ti danno da mangiare il “pappone”, frullano tutto insieme, minestrone e budino, cos’ loro non perdono tempo e così tu hai tutte le vitamine e quel che serve all’organismo, insomma, potrai continuare a campare ancora un po’: accontentadoti di guardare, ogni tanto, oltre la finestra.
il tuo vicino di letto ha l’alzheimer: sta meglio lui.

Leggendo questo post di Giulio Mozzi a me è venuto in mente tutt’altro.
Non potevo commentare, sarei andato OT.

voci rubate

La gatta, tigrata, occhi bellissimi e verdi, bada al sodo. Vuole i croccantini e quindi miagola, con insistenza.
Sto lavorando, non mi spiace lavorare la domenica in redazione, dopo un pranzo non pranzo (succo di pomodoro e taralli alla cipolla) e due, tre, quattro caffè.
La gatta, dicevo. Ci fa visita, ogni tanto, ci fa visita perché sa che la segretaria del giornale le dà le crocchette a comando: lei miagola, e la segretaria esce, e le versa il cibo in un piattino, nell’angolo del cortile. Quando la chiamo, perché o arrivo o esco, gira al largo.
Oggi però le vado bene anche io.
E comunque è preziosa, ché tieni lontani i topi e se ne vede li uccide e poi li porta in regalo alla sua padrona, mi han detto.
Oggi lavoro perché domani, lunedì, ho troppi appuntamenti, troppi casini.
Un paio d’ore nel silenzio della redazione (ci ho scrittodiversi capitoli del mio primo libro, in redazione, una quindicina di anni fa; ci ho trascorso notti, rincascasando quando gli altri si svegliavano).
Esco dall’ufficio che saranno le quindici, c’è poca gente in giro anche perché il cielo è grigio, non invoglia.
Sul corso principale della città c’è solo una coppia, sono giovani, sui trent’anni. Lui dice a lei che l’economia non va, perché son troppi i negozi che chiudono. Dietro a me due ragazzine. Che poi, parlando, mi superano.
Saranno sui tredici, massimo quattordici anni.
Una dice all’altra: Devo riflettere, perché il fatto che io stia bene con una persona solo quando la vedo poco è sinonimo di qualcosa che non va.
Poi entrano in un bar.

gente per bene: bastardo posto

Oggi ha fatto un gioco, Limara. Ha visto che domani il giornale esce con questo titolo in prima pagina, a caratteri cubitali: Gente per bene.
Il titolo giusto per un articolo che loda la città: laboriosa, tranquilla, vivace, con poca, ma proprio poca criminalità. Siamo lontani, leggeranno domani i lettori sulla prima pagina de «La Civetta», dalle grandi metropoli sempre più invivibili.
Limara ha preso quel
Gente per bene
e lo ha sostituito, scrivendo
Bastardo posto
Lui, ha pensato, il giornale lo farebbe uscire con questo titolo. Il numero di caratteri, spazi compresi, sarebbe uguale: sempre quattordici. Il contenuto dell’articolo no: quello che ha in mente sarebbe esplosivo.

da Bastardo posto, Perdisa Pop, 174 pagine 14 euro.


(quello sopra è stato uno dei brani interpretati da Federico Grassi, già allievo della Bottega di Gasman,; Grassi è un po’ l’anima della compagnia degli Anacoleti ).

Vediamo un po’ di riprendere…

Mai stato così assenteista dal blog, ma non perché sovraccarico di impegni: che di impegni son sempre sovraccarico e se non ne ho me ne vado a cercare.
Perché – sinceramente – non so più cosa scrivere.
Che io adesso vada in giro per l’Italia (stasera Alessandria, poi Roma, Livorno, Torino; poi a gennaio Martina Franca, a febbraio Sermide e ancora Torino) non è cosa interessante.
E’ pubblicità, è autopromozione.
Che nessuno parli del mio libro, invece, è A) un dato di fatto, B) un piagnisteo che preferisco evitare ed evitarmi.
Dei miei casini lavorativi, di come dirigo il giornale, dei problemi quotidiani che incontro, delle nuove tecnologie con cui la carta stampata deve e dovrà confrontarsi (l’altro giorno ho capito per la prima volta cosa è un iPad), delle querele che prendo, del fatto che spesso io pensi di cambiare mestiere, alla fine fin che interesse può avere per chi legge?
E di quel che penso io dell’editoria…. eccetera.
Magari son cose queste che a qualcuno potrebbero interessare: ma io ne dubito, che alla fin fine son sempre le solite cose che io tiro fuori dal mio cappello un po’ sgualcito.

Due cose però le racconto.
Ho presentato Bastardo posto a Vercelli, c’eran cento persone circa (per forza, giocavo in casa).
Mi è stato domandato: Ma perché hai usato un tema che oggi è tanto abusato come quello dei preti pedofili?
Pressappoco ho risposto così: Oggi ne parlano tutti, quando però io ho scritto Bastardo posto l’argomento era trattato poco o niente. Mi fu anche detto da gente del mestiere (una agente) che l’argomento non era poi così gradito alle case editrici. Se il mio libro fosse uscito – come era stato programmato e definito dal contratto – per il salone del libro del 2009 sarebbe stato uno dei primi (credo) a trattare l’argomento “pedofilia pretesca”. Che comunque: non è l’argomento principale del libro.
Poi.
Tra i cento che c’erano c’era anche il mio vecchio, defilato, in fondo. Non era mai successo che mio padre venisse a una mia presentazione. Chissà che avrà pensato sentendomi parlare, per esempio, del fatto che io mi sento in debito verso la tradizione contadino, ché son cresciuto, io, a pane olio (d’oliva buono)  e racconti, di mio padre e di mia madre, racconti che loro che avevano appreso davanti al camino, in un podere.

Infine.
Ho ricevuto una mail molto schietta, di una partecipante a un mio corso di scrittura che ho tenuto a Bologna, mesi fa.
Due giorni.
La ragazza (credo) mi dice: il primo giorno non mi sei piaciuto per niente, avevo quasi voglia di andare via, grazie invece per i consgli editoriali che ci hai dato il giorno successivo.
Ho ringraziato, ma attendo maggiori delucidazioni, così magari la prossima volta lo faccio meglio un corso se lo rifaccio.
E buona giornata a tutti

PS Oggi alle 18 presento Bastardo Posto alla libreria Mondadori di Alessandria

foto

Ho un bimbo di otto mesi, si chiama Federico Libero, gli avrò fatto trecento fotografie con l’Iphone.
Da quando c’è lui dormo di meno, leggo di meno, scrivo di meno ma in compenso ascolto più musica: perché Federico Libero, ogni risveglio è così, deve sentire le sue canzoni preferite.
Ho provato con Belle et Sebastian, Charlotte, Lady Oscar, Furia è il cavallo del west, Quarantaquattro gatti.
Niente, lui ha scelto Memory, cantata da Barbara Streinsand, cone canzone da sentire tutti i giorni. Fino a due mesi fa, per la veità, al posto di Memory c’era la verisone jazzata di Hasta siempre comandante, di Garbarek, che adesso è al secondo posto nella hit parade.
Al terzo c’è Per te, di Jovanotti e al quarto Bella ciao, versione dei Modena City Rambler.
Al quinto una vecchia canzone popolare: Mamma mia dammi cento lire.

Dicevo delle foto.
Non le ho mai amate, nel senso che non mi piace farmi fotografare né mi piace fotografare.
Eccezion fatta per Federico Libero, già, ma non solo.

Nel 1980, quando nacque mia figlia Sonia e io lavoravo in fabbrica, comperai una Minolta. Le scattavo le foto mentre dormiva, al mattino presto, prima di andare a lavorare.

E nella mia testa le foto più belle sono due.
Io e Federico Libero al risveglio.
Sonia a Parigi, nel 1988, che mi guarda e sorride.

E buona giornata

 

 

 

 

 

 

 

 

Un libro difficile

Tra cinque-sei giorni esce (finalmente) Bastardo posto, casa editrice Perdisa Pop.
Finalmente perché il libro sarebbe dovuto uscire per il salone del libro 2009, con la Newton compton, ma è storia vecchia, questa.
Nel frattempo mi sono cimentato con altro, un racconto lungo (o romanzo breve) dal titolo “Il monastero della risaia”: una farsa anticlericale travestita da giallo che, presto, dovrebbe uscire per Senzapatria.
Ma in questi giorni ho terminato di riscrivere Di bestemmie e folli amori, il mio sesto romanzo.
Ho cambiato il titolo: Vicolo del Precipizio.
Allora, questo libro è il primo libro che mi viene rifiutato dalle case editrici.
E’ un libro che alterna due piani di lettura. Da un lato ci sono storie contadine toscane (il passato del protagonista), dall’altro c’è la storia di un uomo alle prese con la scrittura (il protagonista è un ghost writer che vive a Torino e che lavora per un agente).
Il finale è da libro giallo.
Le case editrici che lo hanno letto mi contestano soprattutto i discorsi legati alla scrittura (il presente del protagonista).
Il protagonista, infatti, ha un moto di repulsione verso l’editoria in genere, e, nello specifico, verso gli scrittori leccaculo, verso gli agenti che controllano il mercato, verse le case editrici, specie quelle grosse, che il protagonista ritiene incapaci di proporre prodotti editoriali seri: perché ragionano come ragiona un salvadanaio.
Il mio protagonista fa di peggio: mette in discussioine pure se stesso, la sua mente, i suoi tarli.
E questo succede mentre scrive i ricordi legati a Vicolo del precipizio, insomma alla sua infanzia toscana e ai ricordi tramandati, di storie vere e punto vere tramandate di padre in figlio.
Torno sui pareri delle case editrici che lo hanno letto (tre, su trenta invii, effettuati più di un anno fa).
Mi contestano che il mio protagonista contesti un mondo che poi, alla fin fine, sappiamo tutti come funziona.
Stringi stringi chi pubblica dice che l’editoria avrà i suoi lati negativi ma comunque funziona; chi non pubblica si sa quel che dice…
E poi: è anche vero che chi pubblica e vive di scrittura preferisce criticare Berlusconi.
Comunque: io ho scritto quel che mi sentivo di scrivere, senza condizionamenti.
Poi se il libro resta nel cassetto va bene così.

Giorgia, suo papà, il sole

La morte di un padre, il saluto della figlia.
Mesi fa è successo a una mia cara amica, che spesso lascia segni, qui, poi alla scrittrice Barbara Garlaschelli, e, giorni fa (credo) è successo a Giorgia.

Giorgia è bella, una bella famiglia, ama ciò che è bello, semplice.
Ama leggere, le passeggiate, il sole.
E’ una bella giornata, ci raggiungete?
Roma, cinque anni fa, mi pare. Appena sveglio, è una domenica, ricevo questo sms.
E’ una bella giornata, ci raggiungete?
E’ una bella giornata…
Conobbi Giorgia. Passammo una bella mattinata, di sole, prima a villa Pamphili, poi in un bar, mangiando panini.
Conoscevo già Giorgia: nel suo blog lei parla di quanto è bella la vita, nel suo blog lei parla anche del cancro, con cui combatte, da anni.

Ho ricevuto questa sua mail, da poco.
La copio incollo. Con affetto.

Care e cari tutti,
come molti di voi sanno mio padre mi ha lasciato domenica scorsa, proprio quando stavo per pubblicare il libro che ho scritto ormai da molto tempo. Avrei tanto voluto che lo leggesse: ma io ho tergiversato troppo, e la sua malattia invece si è messa a correre.

S’intitola “Come una funambola. Dieci anni in equilibrio sul cancro”, e ho deciso di stamparlo attraverso il sito di autopubblicazione Ilmiolibro, perché dei tortuosi percorsi editoriali mi sono stufata e avevo voglia che i miei diari di battaglia circolassero il prima possibile.

Potete acquistarlo attraverso il sito, dopo esservi registrati – consigliabile se non avete problemi a fare acquisti online e se potete dare un recapito sicuro per la spedizione tramite corriere (ci mette al massimo 5 giorni lavorativi) – oppure ordinarlo in qualunque libreria
Feltrinelli (tra qualche giorno).
Un abbraccio, e buona lettura


Giorgia