Le vedo da lontano, sono le otto di mattina passate da pochi minuti. Ci son solo loro due, una ragazza sui trent’anni e una signora sulla cinquantina, e io, per strada.
Loro son ferme davanti al negozio della signora cinquantenne, io avanzo lentamente, la strada è in salita, sto fumando la pipa, ho appena preso il secondo caffè.
Quando mi avvicino sento che la ragazz dice: Ma come? Ma mi spiace, non dài.
E l’altra: No guarda, ho bell’e che deciso da tempo, io a capodanno sto da sola perché voglio stare da sola.
Passo, non badano a me. Vedo che si sorridono.
E mi lasciano la sensazione che ci sia dell’affetto tra loro.
E proseguendo mi immagino come va a finire il capodanno della signora.
Da quando scrivo – bene, male, così, non importa: scrivo- vivo così: vedo qualcosa che spesso resta, e poi la storia prosegue nella mia testa.
(No, dapprima ho pensato: per dire “Voglio stare da sola” – e in modo sereno, pacato e sorridente – vuol dire che la signora sta bene con se stessa, ché quando non si sta bene il modo migliore di far passare il tempo è far baldoria.
Poi no…: la storia è continuata in un altro modo mentre giravo per la piazza).