E’ il primo ottobre del 1970. Ho da poco compiuto quattordici anni e adesso sono davanti alla scuola, l’istituto tecnico agrario, che ho scelto, dopo le medie. Mia madre non avrebbe voluto, ci ha fatto quasi una malattia: Ma fai ragioneria, fai le magistrali.
Ma io niente: Faccio l’agrario perché poi tornerò a Cortona, comprerò un podere e un cavallo, avrò un cane o forse più, andrò a caccia e farò il contadino.
Mia madre però sospettava che c’entrasse anche una ragazzina cortonese di nome Teresa che, durante una battitura del grano, aveva dichiarato solennemente che il suo ragazzo era di Vercelli.
Aveva trecce e grandi occhioni neri, Teresa.
Comunque. Stavolta sono davanti alla scuola che ho scelto. E di ragazze belle come Teresa ce ne sono. Una in particolare. Avrà, penso, due, tre anni più di me. E’ tanto, penso ancora, carina: capelli biondi a caschetta, profilo affilato, poi è simpatica, sorride a tutti senza fare l’oca (a differenza di altre).
Mi metto non distante da lei, guardandola di sottecchi. Poi mi metto a parlare con qualcuno, anzi no: qualcuno si mette a parlare con me e probabilmente mi dice anche cose interessante dal momento che mi dimentico completamente della ragazza bionda.
Mancano pochi minuti, poi si apriranno i cancelli.
Mi sento toccare il braccio. Mi volto, ché sto ancora parlando: e chi mi ha toccato il braccio è proprio lei, la ragazza bionda alla quale mi ero avvicinato per poi dimenticarmene.
Mi chiamo Carmen, mi dice, e poi aggiunge: Ma lo sai che hai proprio una bella voce? Dài parla, mi piace sentirti.
Mi sentii come denudato, la mia lingua – mai successo prima – era paralizzata.
Il giorno dopo, secondo giorno di scuola, la guardai: ma da lontano.
Carmen, già. Il primo ottobre, Teresa. Mia madre…