Scrivere non significa solo raccontare. Scrivendo, spiegava Giuseppe Pontiggia, esploriamo noi stessi.
(Per scrittura intendo la prima stesura. Qello che ci dice di scrivere la mente. e magari non solo).
Ho un esempio. Mio. Una dozzina d’anni fa. Dirigevo un giornale, di notte scrivevo quasi tutti i giorni su un blog la prima cosa che mi veniva in mente, oppure altro (e, sempre di notte, leggevo).
Al giornale dedicavo le mie energie dalle 11 del mattino fino a sera, al blog, alla lettura e alla scrittura quattro ore, da mezzonattore alle 4. Mi svegliavo verso le 9,30, leggevo la posta elettronica bevendo il prima caffè, poi via al giornale.
Del giornale ho questo ricordo: entro, mi dirigo alla macchinetta per il secondo caffè della giornata, sento i telefoni che squillano. Succedeva spesso e sembrava fatto apposta sentire “Remo vogliono te” mentre bevevo il caffè. Del resto me l’ero voluta io. “Se un lettore vuole parlare con me passatemelo”, avevo detto anni prima.
Un giorno, anzi no una notte mi metto davanti al pc per scrivere un post. Ma la formula magica, “scrivi la prima cosa che ti viene in mente”, quella volta non funzionava. Allora mi misi a rileggere vecchi post. Arrivai così a un post che avevo scritto un anno prima.
Raccontavo di un impiegato stressato dal lavoro e che di notte dormiva non bene perché aveva l’impressione che il telefono del lavoro squillasse. Un giorno questo tipo dice: voglio regalarmi una pausa. Così rispolvera la vecchia bicicletta, e al mattino, prima di andare a lavorare, col cellulare spento fa un giro tra la periferia e la campagna. Un’ora di libera uscita dallo stress, insomma.
Lo capii solo un anno dopo, rileggendo. L’avevo scritto per me quel post, solo che non me ne ero accorto, non l’avevo capito.
Scrivendo, a volte, diciamo cose che i pensieri non dicono.
L’ha ripubblicato su lementelettriche.