Anni novanta, senza internet e cellulare. Leggevo e studiavo in cucina. Macchina da scrivere, radio, Marlboro, la gatta che quando mi vedeva mangiare i Fonzies impazziva e miagolava come una matta, così dividevamo. Vivevo in cucina fino a notte tarda.La cucina era anche il luogo dell’attesa: magari domattina nella cassetta delle lettere trovo la lettere di un editore che mi pubblica. Feci incetta di rifiuti (che poi mi rovinavano la giornata).
Comunque.
Quando mi facevo un caffè per stare sveglio cambiavo stanza e lo sorseggiavo davanti alla finestra. Nello stabile, davanti a me, c’era una donna che viveva alla finestra. Guardava una strada con auto in sosta, qualche raro passante. Aveva un marito e una figlia, ma la finestra, quella finestra, era la finestra della sua cucina, era solo sua. Aveva orari diversi dai miei, perché io vivo di notte (ancora adesso). I miei caffè notturni, insomma, vedevano solo finestre senza luce. Certe sere o certe mattine i nostri sguardi si incrociavano, ma non ci siamo mai salutati, né alla finestra né, se per caso, ci incrociavamo. Uno sguardo veloce, forse d’intesa.
Una notte, però, la casa della donna alla finestra era tutta illuminata. Era morto il marito, ancora giovane, tra i quaranta e i cinquanta. Vidi del trambusto, tornai in cucina, poi, ogni tanto, tornavo a vedere. Quando la notte stava per diventare giorno la vidi alla finestra, seduta però, con la testa bassa. Fu l’ultima volta. Smise di passare ore e ore davanti alla finestra.
Quando passo ore su facebook ripenso alla cucina con radio, Olivetti, Marlboro e ripenso a lei: la donna alla finestra.
Ma grazie, e buona scrittura
L’empatia questa sconosciuta per molti ma viva nei tuoi scritti. Molto belli …