Scrivere sulla sabbia… Prime pagine del nuovo romanzo, forse

Ho scritto quasi 10mila e 260 battute di un romanzo che non so se porterò a termine, non so nemmeno se queste prima pagine verranno stravolte, tagliate, ampliate. Non ho scritto per scrivere un libro, ho scritto per tornare a scrivere.
Ho scritto un po’, ma poco, nel le pause che ho avuto nel pomeriggio. La parte che c’è sotto, insomma. Poi sono andato avanti (senza bere caffè e fumando una sola sigaretta) da mezzanotte alle due e mezzo. Ora (sono le 2,45) e forse domattina rileggo, correggo, e quando correggo ripenso a Fenoglio (La mia miglior pagina esce spensierata dopo decine e decine di penosi rifacimenti) e non penso a un manoscritto che diventerà un libro da proporre a un editore.
Scrivere un libro (vedi il post di ieri) è un po’ come scrivere sulla sabbia…
Poi. Ho scritto due libri (Lo scommettitore, edito da Fernandel e Bastardo posto, da Perdisa Pop) senza l’uso delle virgolette.
Marina disse: Sei un vecchio bastardo.
Marina disse: «Sei un vecchio bastardo».
Giorgio Pozzi (Fernandel) e Luigi Bernardi (Perdisa) convennero con me: è la stessa cosa. E nessuno, poi, mi scrisse o disse che senza virgolette non si capiva. Stessa cosa sto facendo, ora, scrivendo questa cosa qui.

Anche se è un bel giorno di primavera, e oggi lo è, percorrere questa strada che porta alla piazza senza nome mi fa male, a volte ho fitte al basso ventre, a volte provo una forte nausea. Però ho solo loro per cercarti, amico mio: la strada che porta agli orti e alla tangenziale e lo slargo che avresti voluto che fosse intitolato a un prete di questo pezzo di città, il peggiore. Tu, ateo e sboccato, a quel prete avevi voluto bene, e come segno di protesta avevi cambiato nome e insegna del bar, che era ed è, anche adesso, con le vetrine talmente impolverate da non vedere nulla dentro, “Il bar della piazza senza nome”. Se sei fuggito non credo che tornerai, se invece sei morto ho sempre paura che qualcuno scriva un biglietto o metta una tua foto davanti al bar, oppure che lasci un fiore di campo, magari un papavero, se è qualcuno che ti conosce bene.
Nelle belle giornate di primavera come queste, dicevi sempre che ti dava energia guardare prima il rosso dei papaveri sugli argini delle risaie e poi le cime innevate delle Alpi, in lontananza, quando alla buon’ora, prima di alzare la serranda e di bere il tuo primo caffè, facevi un giro in bicicletta appena fuori città (ma non ho mai capito dove). Comunque no, non sei morto, più di una volta avevi detto che saresti fuggito senza lasciare traccia né biglietti, e tu non sei uno che dice tanto per dire. Però quando vengo qui la paura che tu sia morto mi fa stare male, e la paura e il battiicuore aumentano ogni passo che faccio, sempre più, sempre più, mentre mi avvicino al bar, pensa che a volte, amico mio, soprattutto i primi tempi dopo la tua fuga, a volte non ce l’ho fatta e son tornato sui miei passi, sconfitto, pensando: è morto, è morto. No: sei vivo, lo so.


Al momento questo è l’incipit. Da rivedere, correggere, eventualmente da eliminare.

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