Voglio, o vorrei, ché ci sto ancora pensando, raccontare, qui, a puntate (ma cose brevi, cinque, sei capitoletti) la storia dei miei libri, come sono nati, a chi li ho fatti leggere, gli editing e i non editing, i grandi mal di pancia, quanti soldi ho guadagnato e quanti soldi ci ho rimesso, alcuni retroscena.
Magari senza fare nomi, non per altro: ho già tante altre grane di mio e poi l’iportante, in alcuni casi, è il problema; dire un nome e un cognome, spesso, serve a niente.
Magari serve a chi vuole scrivere, magari interessa.
Parto da lontano.
E’ il 1979.
Ho ventitré anni. Mia moglie (ora ex, sono risposato) è incinta. Io ho qualche problema di salute. Lavoro in fabbrica. Sono un sindacalista Cisl (metalmeccanico, carnitiano. Ho messo da parte l’idea di lavorare e studiare.
Una domenica prendo la macchina da scrivere Olivetti e inizio a scrivere una storia che non ho mai finito.
A settembre, svegliarsi alle cinque del mattino non è più piacevole degli altri mesi dell’anno, ma questo viale lungo lungo che conduce all’entrata della fabbrica è così pieno di foglie secche che, quando le calpesti, non ti fanno passare il sonno ma, almeno, ti fanno apprezzare un po’ la vita. Chissà, forse sto pensando così perché sta albeggiando, e poi mi sento allegro perché oggi è giorno di paga, e poi mi piace guardare il cielo quando in cielo ci sono, insieme, ancora per un po’, il sole e la luna… ma meglio non esagerare con queste felicità mattutine: il cancello d’entrata della fabbrica ormai è vicino
…. sono undici cartelle, in tutto, spazio uno. Con correzioni a penna biro.
Non continuai, non ricordo perché lo misi da parte, quell’abbozzo di racconto, ma non ricordo nemmeno perché non lo distrussi, perché io, dai venti ai trentott’anni, quando iniziai a scrivere “Il quaderno delle voci rubate” non ho fatto altro che scrivere e distruggere, scrivere e distruggere.
Da ragazzo, e anche poi, avevo scritto poesie, orribili.
Una di queste è citata nel romanzo interrotto dei miei vent’anni.
Ma risaliva a tre anni prima, quando di anni ne avevo diciassette (siate benevoli, quindi).
I miei occhi hanno pianto e le mie mani tremavano
ma a loro questo non importava
ed hanno preso la mia valigia, ed hanno preso i miei ricordi.
Il mio cuore palpitava di rabbia
ma loro hanno riso
ed hanno letto per la strada, deridendole, le mie poesie.
Il mio biondo amore mi è passato vicino
ma non mi ha riconosciuto
ed ho implorato sette volte la morte.
Poi un mio compagno è accorso in mio aiuto
ma anche lui è stato umiliato
e dalle mia lacrime e dal suo sangue è nato un fiume.
E i miei occhi piangevano e le mie mani tremavano
e loro ridevano di noi
e ci hanno insultati, denudati, picchiati
Ma dal sangue nasce un pugno
che è giustizia, vendetta e amore
e nulla, nemmeno loro
lo fermeranno.
Insomma, in quel libro interrotto, scritto a vent’anni, avevo riesumato una poesia scritta a diciassette, nel mio momento “comunista”.
Ricordo ancora che la scrissi e poi andai al bar, frequentato da ragazzi che militavano nel Movimento studentesco (erano stalinisti, quindi; io no, sempre stato antistalinista).
Comunque.
Dissi loro.
Scommetto che non la conoscete questa, è di Pablo Neruda.
La lessi.
Bella cazzo, disse uno di loro, con cui litigavo spesso (io gli dicevo, Viva gli anarchici e i trotzkisti, abbasso Stalin).
Sorridendo, gli dissi: L’ho scritta io.
Gli piacque lo stesso.
A vent’anni, certe minchiate piacciono.
Stesso anno. Sono a Cortona. Ammazzano il maiale. E’ inverno, fa u freddo infame. Siamo tutti davanti al camino, che riscalda. A un certo punto mi bruciano gli occhi, così esco e vado in aperta campagna.
Fa freddo, sì, ma mi piace sentire il vento sulla faccia, e penso una cosa, che scriverò quel giorno stesso
Se il vento fosse nero, io l’amerei lo stesso
se invece fosse rosso, l’ammirerei per ore
se il vento fosse piccolo me lo porterei appresso
e se fosse una donna io ci farei l’amore.
Minchiate giovanili, insomma.
Di cui però ero consapevole.
Solo una ventina d’anni dopo, nel 1994, decido di provare a scrivere una storia.
Il quaderno delle voci rubate, insomma.
Il mio libro quasi fantasma, che è uscito solo a Vercelli.
Ma ne dirò tra qualche giorno, se interessa.