Allora, è bene che io faccia una sorta di riassunto delle puntate precedenti.
Una sera del 1995 inizio a scrivere Il quaderno delle voci rubate.
Per la prima volta scrivo in modo diverso: forse perché scrivo sollecitato da una frase, che dico tra me e me.
Raccontami una storia.
Poi, nei giorni successivi vado avanti. Quattro capitoli. Poi metto nel cassetto, quasi dimentico, per diverse settimane. Finché un giorno rileggo: e – non erra mai accaduto prima – invece di distruggere penso di andare avanti.
Perché – è la prima volta che accade – quei quattro capitoli mi provocano qualcosa dentro, come se fossero scritti da un’altra persona.
Fine del riassunto delle precedenti puntate.
Allora, mi ritrovo con questi quattro capitoli e con la voglia di procedere. Fa da contraltare la voglia di sistemare i quattro capitoli.
E’ sempre quella domanda
…. raccontami una storia
che mi condiziona.
Provo a spiegare, ora.
Può sembrare banale ma c’è un abisso (almeno per me) tra il mettersi a scrivere e dire
ora racconto una storia
e mettersi a scrivere e dire
ora mi racconto una storia.
Praticamente diventi due persone: quello che scrive, quello che legge e fa domande.
Importantissimo: se quello che legge non fa domande e dice Bravo, sei fottuto.
Se quello che legge dice
Remo che cazzo hai scritto?
forse ci siamo
Raccontami una storia
dice lo scrittore a se stesso.
E va bene.
Poi aggiunge: Ma raccontamela bene.
E qui…. cambia tutto.
Il primo capitolo de Il quaderno delle voci rubate è ambientato in un bar.
Io quel bar l’ho visto.
Quanti tavolini, quante persone, ho visto le pareti, le ragnatele sfuggite al nonno di Luca Baldelli, il mio protagonista, i quadri appesi al muro, ecco, Remobassini-scrivente queste cose le ha viste sollecitato dal remobassini-lettore, ma poi, Remobassini-scrivente non ha scritto tutto tutto.
Ha dosato.
Alcune cose sì, altre no.
E questa “arte del dosaggio” s’impara in un solo modo: leggendo.
Leggendo altri libri altri autori si capisce che scelte hanno fatto.
C’è un altro aspetto
…. raccontami una storia
… ma raccontamela bene
ecco, io ricordo questo: nei giorni successivi alla prima stesura de Il quaderno delle voci rubate io cercavo vecchi bar; entravo dentro, e li scrutavo come non li avevo mai scrutati; e mentalmente de-scrivevo.
Feci così allora e faccio così oggi.
Uso gli occhi per vedere e mentre vedo, a volte, mentalmente de-scrivo.
Impiegai giorni e giorni a riscrivere quei primi quattro capitoli.
…. raccontami una storia
… ma raccontamela bene
Ho impiegato più di un anno a scrivere Il quaderno delle voci rubate, ma quando scrivevo un nuovo capitolo sapevo che i capitoli precedenti erano corretti, a posto.
Con gli altri libri no.
Ogni libro ha una sua storia.
Lo scommettitore: lo scrissi in 18 giorni. Poi, per mesi e mesi riscrissi.
Ma restiamo al Quaderno, a quei primi quattro capitoli.
E buona giornata