4 – Quell’articolo di Beniamino Placido

Allora, nei primi mesi del 1995 ho scritto quattro capitoli di quello che diventerà Il quaderno delle voci rubate.
Avevo 38 anni (39 a settembre) ed ero, come ho già detto, rassegnato a non diventare scrittore, a non pubblicare, insomma.
Ma la scrittura era comunque un tarlo: leggevo Tuttolibri e Millelibri, ho ancora, nella cassettiera dei ricordi e delle cianfrusaglie, un articolo degli anni Ottanta dove si legge che GLI EDITORI LEGGONO TUTTO, ma il problema sono i govani, non sanno scrivere e pretendono di pubblicare e poi non leggono.
Invece, ben conservato in testa avevo un altro articolo: del 1988, di Beniamino Placido.
L’avevo letto in treno, andando da Vercelli a Torino, e non l’avevo dimenticato.
Placido, in quel pezzo, parlava di una trasmissione televisiva condota da Enza Sampò, Io confesso.
Dietro un vetro opaco, o comunque lavorato in modo tale da impedire ai telespettatori di identificare chi si “confessava”, ogni sera c’era un ospite che raccontava, anche la voce era resa irriconosibile, la propria storia.

Placido scrisse
Prendiamo questa settimana. Lunedì abbiamo ascoltato il segreto di un ex prete. Che si spretò vent’ anni fa, per sposarsi e avere due figli. E che adesso vorrebbe tornara al sacerdozio. Ha capito che era (che è) quella la sua vocazione vera. Ogni tanto lo fa. Che cosa? Prende un treno e va in un’ altra città. Qui si traveste da sacerdote, e va in giro fingendo di esserlo.

Io lessi e lo vidi quel prete spretato: salire su un treno, cambiarsi in bagno, scndere in un paesino, scambiar due chiacchiere orgoglioso del suo abito talare, poi risalire sul treno, vstire di nuovo gli abiti borghesi e, come un amante infedele, tornare dalla moglie e dai propri figli.
A parte questo, Placido scrisse anche una cosa che, dal 1988 a quella sera in cui iniziai a scrivere Il quaderno, ma anche ancora adesso, è rimasta scolpita nella mia mente.
Questa.

I nostri giovani narratori ansiosi (giustamente) di successo diano un’ occhiata a queste trasmissioni di segreti: quella radiofonica di Ciampa, questa televisiva della Sampò. Capiranno perché non riusciamo a leggere fino in fondo i loro romanzi. Pur sollevandone la copertina sempre con tanta buona volontà. Sentiamo confusamente (anzi sappiamo, adesso) che il mondo è pieno di storie straordinarie. Perché non ce le raccontano loro? Perché ci costringono a sintonizzarci sul televisore, ad accendere la radio?

A me era servita questa riflessione: per riflettere.
Per vedere con “occhi diversi”.
Cercare storie: per poi ri-modellarle (o anche no: ma questo è un problema di “dosaggio” di cui magari diremo)

E buona giornata
(PS: della trasmissione radiofonica di Ciampa io so niente)