La mia cultura è piena di lacune.
Dovrei rileggere Tolstoj, le poesie di Rimbaud, a volte mi rimetto a studiare l’inglese che sapevo parlare e che ora ho quasi rimosso.I bimbi delle elementari lo sanno meglio di me.
Ho da leggere Cortazar, che mi hanno regalato e che so che devo leggere.
Invece di leggere noir e gialli dovrei ripassare la storia contemporanea, imparata troppo in fretta in università.
E Gramsci, stessa storia. E, e, e…
Ora comunque sto rileggendo Pasolini: mi serve per una cosa che devo scrivere entro febbraio. Un dramma teatrale (e quindi vorrei almeno rileggere la Poetica di Aristotele e alcuni drammi moderni…).
Stop, mi fermo.
Siamo in tanti ad avere un lungo, sterminato elenco di cose da studiare (non dico leggere, dico studiare).
Ho una cultura piena di lacune, dicevo, e non va bene, specie se si ha l’ambizione di stupire, scrivendo (se scrivo di un ippocastano, è bene che mi informi e che lo veda, ma per davvero e non tramite google).
E non mi consolo certo nel sapere che altri son messi come me: vorrebbero leggere tre, quattro libri a settimana, ne leggono (ne leggo, manoscritti compresi) quattro (in ferie no, raddoppio).
Discorso molto tortuoso quello della cultura.
Sicuramente Calvino ne aveva più di Fenoglio, questione di tempo: uno lavorava da mattino a sera tra libri e intellettuali l’altro no, sgobbava anche.
A mio avviso Calvino scrive molto meglio di Fenoglio. Sa dosare aggettivi e avverbi, ha talento, da ogni sua pagina (come da ogni pagina di Fitzgerald Scott) si può imparare qualcosa.
Fenoglio però ha saputo trasmettere più emozioni (credo). (Dico credo perché le emozioni che arrivano a me non sono certo il vangelo, anzi).
Torno a chi di cultura ne ha più di me.
Faccio alcuni nomi, ora.
Anfiosso.
Zena (Colfavoredellenebbie).
Stefania Mola.
A parte Stefania, che vedo una volta all’anno, fortuna che esistono – io mi dico sempre – persone come Anfiosso e come Zena perché stando con loro si impara.
E non ti dicono che “hanno cultura”.
Ecco, ricordo Anfiosso una sera della scorsa estate a Torino.
Gli dico. Per me il racconto più bello che ho letto è Il pescatore e la sua anima di Wilde.
Cavolo: non l’aveva letto.
Ricordo molto bene le sue parole. Disse: Quante cose devo leggere…
E Anfiosso – lo sa chi lo ha conosciuto (e chi non lo ha conosciuto si vada a leggere il suo blog) – legge e studia e studia e legge e se un giorno scriverà sarà qualcosa che resterà: nel tempo.
M’è successo, e m’è successo spesso, invece, di sentire da persone che hanno più o meno le mie conoscenze culturali delle critiche rivolte a chi non sa.
Quello è un ignorante. Quello non sa scrivere. Quello qui e questo qui.
Occhio, che prima o poi si inciampa.
Mesi fa beccai un erroraccio su un blog di un/una blogger che se la tira.
(Un errore succede a tutti).
Un anno fa sul blog di un editor che se la tira.
Uno che ogni tanto dice che gli scrittori non sanno scrivere in italiano.
(Poi ci son quelli che dicono che i giornalisti non sanno scrivere in italiano: provino loro a scrivere magari di corsa, alle dieci di sera, e con la vescica che è piena ma che piena deve restare altrimenti in tipografia urlano).
Occhio, quindi, che la scrittura nasconde varianti.
Se Fenoglio scriveva che la sua miglior pagina “usciva” dopo decine di penosi rifacimenti, non pensate che forse la causa poteva essere anche la stanchezza?
Un blogger o uno scrittore che ha tempo a disposizione ha più tempo per correggere, migliorare la sintassi, evitare svarioni.
Chi va di corsa è invece più soggetto a scivoloni.
Io comunque tante cose le ho imparate da gente che non legge nemmeno uno libro all’anno.
Mio padre per esempio.
Nemmeno i miei, legge, il mio vecchio: e non sa che un paio di storie che lui mi ha raccontato son diventate pagine di libri.
Altra nota autobiografica.
Da ragazzo uscivo poco e leggevo non tanto: tantissimo.
E di tutto. Libri, giornali, qualche fumetto (pochi).
Quando a vent’anni andai in fabbrica avevo un bagaglio di libri letti più pieno, rispetto ad altri ragazzi della mia età che, con tanto di diploma, lavoravano con me.
Quando decisi di andarmene lo feci anche perché quei sette anni di fabbrica mi avevano culturalmente (?) impoverito.
Parlavo semplice, troppo.
Parlo ancora semplice, comunque. Ma oggi ho il tempo di riempire quaderni e quadernetti di cose che imparo. E che non bastano mai. Perché nessuno diventa abbastanza imparato, diceva Socrate.
E comunque. Se due miei ex compagni di fabbrica volessero partecipare ai racconti a 4 mani direi loro che… non è opportuno.
Poca cultura avete, direi loro.
Ma è giusto – anche – scrivere “Poca cultura avete, gli direi”… no?
Come avrebbe scritto Socrate?
E se questi due ex compagni di fabbrica mi dicessero che per loro l’ultimo racconto postato è troppo difficile, cosa risponderei?
Che devono smetterla di farsi rimbambire dai giornali sportivi e dalla tv. E che leggere comporta anche il cercare di capire.
Mondi diversi e lontani, spesso.
remo: eh, no, eh?!
:D
guardi che nessuno sa più di me cosa vuol dire essere oberato di lavoro (o obeso?) mentre si vorrebbe fare tutt’altro. facci pure con calma. io sto quà.
:DD
lucypestifera, mi dia del tempo, mi faccia trovare la citazione adatta, la frase in inglese poco usata ma dotta, insomma voglio far bella figura. Dvo studiare, insomma (o in somma?)
bel problema, aver cultura senza perdere per strada il buon senso e l’umiltà
chissà perché a volte le cose che si imparano prendono una piega amara, invece di arricchire rendono secchi e legnosi
e a volte le cose che non si imparano pesano come zavorre e tengono sempre e solo rasoterra
eh, bel problema.
embé, proprio: e perché a me non risponde, remo? ma insomma.
ferrognonudo,
Esenin diceva che se lui era diventato il poeta più grande di tutte le russie lo doveva a sua nonna, analfabeta, che da piccolo gli aveva raccontato fiabe e storie.
Il mio post era rivolto a tutti – per dire quel che che penso – ma a nessuno.
mi scuso se non rispondo, ma il tempo in questi giorni con me è tiranno.
buone cose a tutti
non capisco perchè Remo non risponda al falconiere Marchetti Fausto. io ho pensato le stesse cose sue leggendo il Suo post Signor Remo. Sarà per un fatto culturale che Lei a me suggerisce la Maiuscola?
annalisa, ti ricordo il fattore tempo.
un giornalista può scrivere 5 articoli in un giorno, facendo altro, rileggendo in fretta.
a volte senza nemmeno rileggere una volta.
uno scrittore ha giorni, mesi, anni: e l’editor; e la redazione; e strafalcioni comunque.
non mettere la virgola tra una riga e l’altra è consuetudine giornalistica da inizi del 900 credo.
i due punti dipende, da testata a testata.
tutte le regole valgono fin che aiutano a capire, se sono cioè dei tratti distintivi. gli usato al posto del plurale e indifferentemente per femminile e maschile produce ambiguità quando c’è la concorrenza di un maschile e un femmnile o un plurale nelle vicinanze. l’ho visto fare ad uno scrittore ritenuto bravissimo che a me non piace punto, proprio perché non ha motivo di scrivere sgrammaticato, dal momento che non intende mimare alcunché.
la virgola tra soggetto e predicato è assolutamente deliziosa: mmmmmmmmm! che meraviglia! è un errore sintattico. è perché la maestrina dalla penna rossa ha insegnato che le pause si segnano con una virgola. le pause tout court. e se uno è un bradipo, o deglutisce per l’ansia ad ogni parola? che fa? mette tutte virgole?
ma dico io.
“ci son quelli che dicono che i giornalisti non sanno scrivere in italiano”
Be’, ultimamente sono una di quelli. Perché ci sono cose che io pens(av)o talmente acquisite che, se una persona fa di lavoro lo scrivente, le deve avere dentro. Come se Schumacher, quando è di fretta e deve andare a far la spesa, si dimenticasse di pigiare la frizione.
Perciò io continuo a non perdonare i giornalisti per certi errori che cominciano ormai ad abbondare: a parte il “po’ ” con l’accento che, l’ammetto, è diventato per me un incubo da ulcera e non riesco a guarire, ultimamente stavo raccogliendo tutte le volte che vedevo una bella virgolona tra soggetto e predicato. E non era una licenza poetica, ma un bell’errore.
Io sono una che porterebbe i quotidiani a scuola, ma scritti così, no. Non parlo di stile sciatto o frettoloso, ripeto, parlo di errori.
Ultimamente, poi, ho notato sui quotidiani che leggo (Grandi e Nazionali) questa abitudine: nessun tipo di punteggiatura tra una riga e l’altra del titolo, quasi che il salto di riga sia di per sé un segnale. A volte ne escono titoli comici (perché li leggo come una frase sola e invece sono due), ma a volte mi ci arrabbio. Cos’è?, si cerca di risparmiare sull’inchiostro dei due punti o del punto fermo/lettera maiuscola?
Per il resto, so anch’io che la lingua si evolve e compagnia bella, ma fintanto che le regole (convenzionali) che permettono di capirci dicono una certa cosa, io cerco di osservarle e farle osservare. Perciò, in sostanza, quando parlo magari mi scappa “gli dico”, ma quando scrivo (o faccio scrivere i ragazzi) si torna al “dico loro” :-) Credo che Socrate approverebbe :-p
Caro Remo , ho letto e riletto, e sono d’accordo su quello che hai scritto, soprattutto su quanto dici di aver imparato da persone semplici come tuo padre.
La tua seconda nota autobiografica appartiene in parte anche a me, in parte perchè io dopo 7 anni di fonderia , ho scelto un lavoro notturno che di fatica fisica ne ha richiesta tanta(e anche di vescica piena) però mi lasciava tanto spazio da dedicare alla lettura e alla musica. Mi hanno disturbato un po’ le ultime righe , quelle in cui parli dei tuoi ex-amici di fabbrica, probabilmente dopo più di vent’anni li hai persi talmente di vista e sei convinto che si interessino solo di sport e di TV (rimbambiti), forse non sai , che negli alti e bassi della vita hanno trovato anche il tempo di studiare e magari conoscono la matematica più di te o la fisica o qualsiasi altra materia, e a proposito del racconto che non gli è piaciuto, ti rispondano che a loro sembra il tracciato sull’ asse cartesiano di una funzione algebrica dove i valori delle x e y delle ascisse e ordinate non coincidono con i loro valori, , e che pur essendo pulita, fine e disegnata benissimo quella curva a loro non piace. Puoi decidere di non invitarli più, ma ricordati che forse potresti sentire da loro storie come quelle che ti raccontava tuo padre.
Non so se la tua nota fosse rivolta solo a quelli come me, mi sono preso l’impegno di scrivere e commentare,alla mia maniera, come la mia cultura poca o tanta mi da modo di fare, ma preferisco nemici sinceri che amici bugiardi e considero il silenzio di amici e nemici una cosa ipocrita e pericolosa, (mi ha fatto troppo male in questi anni).
Chiudo ringraziandoti per la nota, la posterò nelle mie casella “Perle” ne ho tante di queste cartellette, sono arrivato tardi sui blog ma a 57 anni si ha ancora tempo di crescere ed io ne ho tanta voglia.
Un caro saluto dal falconiere Marchetti Fausto
e io imparo.
“Scrivi in modo che ti possa leggere un lattaio dell’Ohio”.
Indro Montanelli.
uso “dir loro”, io, non foss’altro perché quando parlo dico “dir loro”.
danilo dolci.
il pedagogista remo fornaca raccontava che di notte certe volte danilo dolci, che appunto scriveva di notte, lo chiamava per un consiglio.
a volte per una virgola, se era il caso o meno di inserirla.
e remo fornaca era contento di questo b”onore”.
e in università diceva: Arriva a tal punto il rispetto che Danilo Dolci ha per il lettore… (da svegliare di notte un amico, aggiungo io)
una che non mi ha mai convinto, tra certe frasi fatte, che pur funzionano nella maggior parte dei casi, è questa: “signori si nasce!” variante: “si vede che sono signori da sempre!”. questo per distinguere le persone ammodo dai pidocchi rifatti che peccano solitamente in buon gusto e understatement. non mi ha mai convinto perché nella mia vita ho avuto contatti con persone di strati sociali diversi e ho appurato che le persone eleganti e fini si possono incontrare ovunque e sono più belle, ovvio, tra chi s’è fatto da sé e ha imparato modi e stili in modo personale. sono fini se non hanno dimenticato da dove vengono, se si guardano indietro e non hanno ripulsa per un passato di difficoltà, né nutrono sentimenti di rivalsa. mi è successo di trovare dei buzzurri, dei veri cafoni tra i nobili di antico lignaggio.
spostando il discorso sulla cultura: c’è chi ce l’ha, solida, strutturata, ed è avido di conoscere ininterrotamente: ma si comporta da snob con coloro con cui viene a contatto, quanto quello che fa sfoggio di quelle quattro acche raffazzonate: e viceversa.
un paio di giorni fa scrivevo (remo: hai letto) che non mi convinconcono nemmeno certi ritmi di lettura robotici. mi mancano tante letture, la mia lista è sempre lunghissima. mi guardo indietro e ne vedo una che si perde nella notte dei tempi: eppure non solo non ho finito, ma mi sento sempre come se ricominciassi da zero. il contatto con chi legge più di me mi dà due tipi di sensazione: una positiva, di scambio, da cui imparare, che alla fin fine è l’unica che mi interessa, e una, purtroppo sempre più frequente, di disagio che, se io dico, per esempio: bioy-casares, l’interlocutore annuisce e butta lì qualcosa; quando accade che lui citi qualcosa che non so, io invece ammetto di non aver letto e ne prendo nota. “hai letto, naturalmente…”, “no, non ho letto”. che significa questo bisogno di far vedere di sapere sempre una pagina più degli altri? cercare di approfondire è un dovere o un piacere, un must, una chiave di successo? che cos’è? io non me lo sono mai chiesto. leggo, cerco di trarre piacere e giovamento. stop. e cerco persone più in gamba di me: soprattutto humane. frega assai il loro quanto e il loro chi. comunque si trova sempre chi ti dà del deficiente pur non conoscendoti e pur essendolui/lei molto colto. come tra i “veri” signori. si fa per dire.
essere colti non è un merito non è esserlo non è un alibi.
(grande Fem)
Remo, io che non sono editor, a scegliere tra gli e loro ti dico, prova con “ci”.
Come Danilo Dolci che nei racconti siciliani fa parlare il suo pastore che dice “Il sole è il Signore. La luna è la Madonna. Ci prego.”
(questo per evitarti uno sproloquio sul contesto. e sulla forza del dire anche in barba agli “standard”. quando c’è, la forza. i tuoi operai, magari la possiedono.)
sì Remo, vedi, proprio ieri mia figlia di 7 anni mi ha chiesto che cosa vuol dire cultura… cavolo, io sono ‘na fisica e le ho detto che non lo so bene, ma che per esempio, la musica, l’arte, la letteratura sono cultura, insomma ho cercato di cavarmela con gli esempi. E lei mi ha detto perentoria “anche la matematica è cultura!” e io “sì certo”. Poi è arrivato suo padre che ha sempre lavorato per poter studiare e si è finalmente laureato a 46 anni proprio un anno fa in materie umanistiche, mi ha spiegato un po’ e quello che io ho capito è che la cultura dal punto di vista antropologico dipende dai popoli, (intermezzo, c’è qui mia figlia con due cappelli in testa legati da una molletta per i panni, un asciugamano a mò di tunica e in mano una bacchetta con un nastro rosso che mi spiattella sul naso e nell’altra mano il mio libro “La scuola raccontata alla mia gatta” e che mi urla nell’orecchio “guardate il dizionariooo!”) vabbè cerco di scrivere: quindi per una civiltà contadina anche sapere come si scelgono certe erbe per curare una malattia è cultura.
Una mia amica mi aveva una volta detto che la cultura è qualcosa che riguarda un gran numero di persone, se ad esempio, la scienza rimane dentro le quattro mura di un laboratorio e non esce nella società, non è cultura.
Adesso Elena è qui con due stivali di gomma, un cappello di lana peruviano, la giacca bianca, la sciarpa delle Winx e parla in cinese “kinoto kasceba ikebana” o no, forse è giapponese :-)
Viviamo tutti nello stesso mondo che è pieno di culture diverse, trovo che sia una ricchezza, no?
io sono a digiuno di tante cose e tante altre le conosco poco.
ogni giorno imparo cose nuove e sono d’accordo che non si deve leggere solo quello che già “è nostro”, che già conosciamo, ma dobbiamo cercare di migliorarci.
detto questo, se un racconto (o libro) è troppo pomposo, lo rimane anche dopo i ragionamenti.
questo per me. per altri no.
e meno male.
[Ah-hem, Remo, grazie per avermelo ricordato. Ogni tanto mi tornava in mente la sera in cui si parlò di Malombra, e non capivo come mai, o almeno come mai con tanta insistenza. Qualcosa dentro di me cercava di farmi tornare alla mente il racconto di Wilde, allora. (Wilde è da rileggere, credo, un po’ tutto)].
carissimo remo, sai, io la vita me la sono dovuta inventare, ma non sono un inventore.
ho molta ignoranza culturale, e spesso mi dico che è voluta, ché mi piace sentire cose che non so, quando gli altri parlano o scrivono.
quando leggo, perché non lascio tracce, ma seguo un po’ tutto, io spesso sorrido. ed è un sorriso che mi fa bene, perché vedo gente che si scanna per una virgola fuori posto, e allora penso al Vangelo e alla trave, e pensare alla Parola è come tornare a casa.
ho letto dei libri mangiandoli, altri bevendoli. altri, sentendoli. sai, di nessuno potrei dire che ricordo chi è lo scrittore, se non in un palmo di casi. forse questo perché non sono una scrittrice, e forse nemmeno lettrice. in fin dei conti, sono solo una che le cose le vuole vivere, e per viverle nella penna, qualcuno mi deve dare la sua anima.
ecco, tutto questo giro di parole, è per dire che tu la dai, anche quando metafori, oppure solo quando lo fai per. comunque tu, non lavori mai, nemmeno quando lavori, ché ci sento…
ciao, remo.
e grazie.
simonetta