Cosa vuol dire, oggi, essere uno scrittore?
Due risposte, la prima. Io scrivo, ho al mio attivo cinque romanzi e altro (poca cosa) ma mi sento scrittore solo da poco tempo: da quando, cioè, riesco a resistere, ad avere un mio numero, seppur ristretto, di lettori. Una volta essere scrittori significava aver pubblicato uno o due libri, oggi, che escono 170 libri al giorno, è scrittore chi resiste. Chi quindi pubblica ed è presente in libreria.
Ripeto: è quindi scrittore chi riesce resistere.
Ma c’è una possibile seconda risposta (che preferisco): è scrittore chi scrive, e basta. Chi ha un manoscritto nel cassetto, chi ha una storia in testa, sono scrittori anche certi blogger (solitamente quelli che se la tirano di meno).
Insomma, oggi la parola scrittore significa ben poco, nonostante gli scrittori si riempiano la bocca nel pronunciarla. C’è un’offerta grandissima (tutti che scrivono) e poca richiesta (legge più nessuno oggi). Mi spiego meglio: è un po’ come un a strada con tante prostitute (scrittori) e poche auto (lettori) che passano. C’è un cazzo (scusate ma il termine è appropriato) da fare.
Che tipo di messaggio ritieni di trasmettere ai lettori?
Scrivo storie del mio tempo e contro il mio tempo.
Poi mi interessano altre tematiche: la morte e il sucidio, in particolare. Ma anche la nostalgia del 1900, di quando non c’era internet, insomma, eccetera.
Gli scaffali delle librerie continuano a essere saturati da proposte insulse e banali, analogamente a quanto accade in televisione coi programmi spazzatura. Tale orientamento rispecchia davvero i gusti del pubblico?
Penso proprio di sì. Berlusconi, con la complicità della sinistra, è riuscito a rincoglionire un bel numero di persone. Oddio, ogni tanto mi domando: ma quelli che comprano Saramago lo comprano per leggerlo o perché fa fico?
Che spazio avrebbero, oggi, scrittori come Pavese, Calvino, Moravia, Pasolini, Gadda, Buzzati, Sciascia, Silone, Carlo e Primo Levi?
Certe case editrici come Marcos y Marcos oppure scrittori-editor come Luigi Bernardi (direttore di Perdisa Pop) e Giulio Mozzi (che collabora con Laurana) li pubblicherebbero, ne sono certo. Di altri non so dire, mai avuto nulla da spartire con Mondadori-Longanesi-Feltrinelli…
Esiste un modo differente dal compromesso per approdare alla grande industria editoriale?
Parlo di me, ora. Ho pubblicato con Mursia, Fernandel, Newton Compton, Perdisa inviando dei manoscritti in lettura, null’altro.
No un momento: ho anche speso un bel po’ di soldi per inviare manoscritti ad editori che non credo mi abbiano mai letto. Per farsi leggere, ma questo è comprensibile perché la case editrici sono sommerse da richieste, occorre che qualcuno ti presenti. Io stesso ho fatto segnalazioni alla Newton Compton, segnalazioni che poi son diventate anche libri. Ribadisco: a me non ha mai segnalato nessuno, quindi è sbagliato dire che l’editoria non legge le proposte editoriali. Diciamo che legge poco, che ne legge alcune, che legge in fretta. E che alcuni editori, magari piccoli, si fanno un bel mazzo per valutare i manoscritti. Insomma, è una situazione complessa quella dell’editoria.
La situazione stagnante dell’editoria italiana favorisce il proliferare degli editori a pagamento. Qual è il tuo parere in merito?
Che bisognerebbe cominciare a chiamarli stampatori a pagamento; gli editori son quelli che rischiano e che, nella peggiore delle ipotesi, non pagano le royalties.
Tanti scrittori inesperti cascano nelle grinfie di personaggi senza scrupoli, pronti a dissanguarli con promesse di servizi e promozioni che non potranno mai garantire: spesso non hanno neanche una rete distributiva. Nei casi più fortunati, l’autore ottiene delle copie che potrà rivendere ad amici e conoscenti, ma si renderà subito conto di aver buttato via i propri soldi. A volte, il libro non verrà nemmeno stampato. Molti scrittori noti ne sono a conoscenza ma, eccetto rarissimi casi (Umberto Eco ne “Il pendolo di Foucault”), preferiscono tacere. Non credi che “parlarne” sarebbe un modo efficace per arginare il fenomeno?
Parlarne bisogna, parlarne serve poco: se un ignorante-arrogante si crede Prosut c’è poco da fare.
Il filosofo-matematico Bertrand Russell annovera l’invidia tra le principali cause di infelicità che affliggono l’uomo e la considera un male endemico tra colleghi. È forse questo che rende gli scrittori affermati così indifferenti?
Non conosco scrittori affermati. Conosco dei bravi scrittori, che però so mica se son felici o indiifferenti. Posso dirti di me: sì, a volte sono stato invidioso.
Il problema, in verità, è più generale: una sorta di “nonnismo” diffuso nei confronti dei giovani – oggi dilagante attraverso nuove forme di sfruttamento (laureati assunti per tre mesi nei call center, contratti a progetto, etc.) – un fenomeno che riguarda non solo il mondo letterario, ma anche le professioni, il lavoro dipendente, la finanza, la ricerca (fuga dei cervelli), il giornalismo… Non pensi che i giovani potrebbero costituire una risorsa preziosa per il paese?
Allora, io conosco degli scrttori giovani che sono bravissimi (Sacha Naspini, Paola Ronco, Francesca Bonafini, Nadia Terranova) ma credo che essere giovani (o donna, o anziani) non voglia dire nulla. Il nonnismo io non l’ho mai toccato con mano. Piuttosto: ho la sensazione (e non solo…) che la case editrici tra un bel trentenne e un cinquantenne preferiscano il trentenne, ma questa è la diretta conseguenza del tempo che stiamo vivendo: siamo nell’era delle veline e del rincoglionimento, credo.
queste domande mi sono state inviate via mail da Pasquale Giannino di New Writing Factory
L’ottava domanda è troppo lunga.
penso proprio che tu abbia ragione francesca
Beh, secondo me va detta un’altra cosa importante. ovvero che l’editoria è oligarchia. La maggior parte delle case editrici sono state assorbite. Si è tirato a sorte sulle vesti, così il mercato viene nelle mani di pochi gruppi (direi non più di tre) che gestiscono fra l’altro giornali e distribuzione con la stessa meta prefissata.
Le loro scelte sono dettate dall’eventuale ritorno in scoop e in danaro. Non investono in autori promettenti ma in argomenti che possano dirompere, indurre all’acquisto. Poi, abbandonano l’autore al primo angolo, quando non fa più audience.
Ma di questo, pochi ne parlano…
Una volta sapevo perchè volevo fare lo scrittore. Ora non più. Ma continuo.
Dadati: correggo, grazie
Giusto remo, è scrittore chi scrive, ma se non pubblica rimane scrittore per se stesso, un onanista. Questo spinge molti a pagare la marchetta allo pseudo editore prostituta di turno, nell’illusione di trasformarsi da onanisti in playboys, ma, come succede spesso con le prostitute, la soddisfazione è poca e di breve durata.
Lo scrittore resiste e persevera!
Remo: il direttore editoriale di Laurana è Calogero Garlisi.
è scrittore chi scrive, e basta. Chi ha un manoscritto nel cassetto, chi ha una storia in testa, sono scrittori anche certi blogger (solitamente quelli che se la tirano di meno).
Insomma, oggi la parola scrittore significa ben poco, nonostante gli scrittori si riempiano la bocca nel pronunciarla.
Molto vero questo.
Oddio, ogni tanto mi domando: ma quelli che comprano Saramago lo comprano per leggerlo o perché fa fico?
E questo e’ un dubbio che mi assale spesso.