Questa cosa l’ho scritta una decina d’anni fa, in questo blog. L’ho riletta e ho deciso di postarla perché c’è mia madre, dentro. Buon agosto a tutti.
Ho cambiato bar, ieri mattina.
«Desidera?»
«Un caffè ristretto, grazie.»
Poso un euro, in attesa del caffè, e mi giro verso i clienti, ai tavolini; ci sono sei sette persone, ma conosco nessuno penso, del resto, penso ancora, questo è un bar nuovo.
Mi ri-giro, e il caffè è servito.
Appena porto la tazzina alle labbra mi sento sfiorare da qualcuno, sulla spalla.
Qualcuno che, appena mi volto, mi dice: «E Luciana?»
A questo punto il… sogno è finito.
Era un sogno. Solo un sogno.
Il bar esiste. Io pure, ho il sospetto di esistere.
Di chi sia la voce che ha pronunciato “E Luciana?” non lo so.
Nei sogni a me capita spesso di vedere persone senza volto, oppure di ricordare un volto che sembra una foto terribilmente sfuocata.
E Luciana?
Esiste?
Quante ne conosco?
Nemmeno una, ho pensato ieri mentre andavo a lavorare.
Devo dire la verità: durante il giorno non è che ci ho pensato molto.
Prima di arrivare in redazione ho incontrato un avvocato (che non è il mio), poi, a parte due telefonate a due amiche, una che sta in Romagna e una che sta invece nella mia città, non ho fatto altro che lavorare, rispondere al telefono, rispondere alla posta elettronica, il mio solito giorno di lavoro, insomma, che inizia un po’ prima delle 11 di mattina e termina verso le 23 tra menabò, riunioni, titoli da passare.
E Luciana?, mi sto domandando ora, da un po’, che è notte fonda e il cane e il gatto, stranamente, stanotte dormono e non fanno avanti indietro dal giardino scambiandomi per il loro portinaio.
Forse so chi è Luciana.
C’è una Luciana nella mia vita, e forse è anche la donna più importante della mia vita.
C’è un ma:
ma io, questa Luciana, non l’ho mai vista.
Era duro il lavoro nei campi per i mezzadri. Una giovane copia, Franco e Nella, lavorano in podere con viti, ulivi, grano. Si sono appena sposati.
E’ il 1955.
Nella resta incinta. Ma lavora anche. Ha trent’anni, è da quando aveva sei anni che porta al pascolo maiali o pecore. Ed è una donna forte: sa sollevare da terra una balla di grano da un quintale e se la porta sulle spalle.
Roba da uomini: forti.
E’ incinta, certo, e un po’ si riguarda, ma deve comunque lavorare.
Non mangi se non lavori, quando sei a mezzadria.
Sotto il sole o la pioggia. C’è abituata, lei.
Una sera, però, si sente male. Franco corre, chiama il dottore che arriva, visita Nella e le fa una visita ginecologica, perché vede che ha perso sangue.
No, non ha perso sangue: ha perso la bambina.
La chiamarono Luciana, nata morta (e prematura: doveva venire al mondo a gennaio, credo, del 1956).
Era l’autunno del 1955 quando sotterrarono il corpicino di Luciana nel cimitero di Sant’Angelo vicino a Cortona.
Un anno dopo, settembre 1956, sono nato io.
Per caso.
Certo tutti nasciamo per un caso. Un incontro tra due persone.
L’incontro casuale delle due persone che mi hanno messo al mondo avvenne perché Luciana lo consentì, morendo prima del tempo.
Nasciamo tutti per caso.
Io per un caso, come tutti, e per Luciana.
Il mio fratellone mai nato non ha un nome.
Però mi capita di pensarci, che se lui non se ne fosse mai andato, prima ancora di venire al mondo, probabilmente non ci sarei io. O forse avrei un paladino in più a difendermi.
Chi lo sa…