Più o meno due anni e qualche mese fa.
Un agente letterario mi dice: Devi cambiare stile, alleggerire i tuoi gialli. Un po’ come la “tal autrice” che vende.
L’ho letta la “tal autrice”, non mi è piaciuta e sono distante dalla sua scrittura.
Stesso periodo.
“La donna di picche” al mio (ex) editore era piaciuta un sacco. Me l’avevo scritto, lo aveva detto a Torino, al Salone, davanti ad altra gente (scrittori soprattutto). Ma “La donna di picche” è un libro che ha venduto poco. Eppure, quando gli dico (all’editore) che sto scrivendo un nuovo libro (La suora) lui mi dice: “Che sia bello come la donna di picche, mi raccomando”.
Un editore che ti dice “scrivi un libro bello come il libro che ti ho pubblicato (ma che ha venduto poco” a me colpisce.
Sergio Fanucci io lo conosco poco. Un primo incontro a Roma, quando firmai il contratto per La città del santo, diverse mail e poi un secondo incontro, al Salone, quando presentai La donna di picche. In realtà Fanucci organizzò una presentazione di tre libri e tre autori (gli altri due erano Angelo Marenzana e Corrado Pelagotti). Al termine della presentazione era prevista una cena con i tre autori e Sergio Fanucci, che però diede un’indicazione: sono ammesse anche le signore.
E mio figlio che mi porto sempre appresso?, domandai.
Niente, solo autori e signore, mi confermarono dalla casa editrice.
Allora niente, risposi.
Niente cena con l’editore, insomma, quella sera. Ma Fanucci è un editore che va preso così, e il ricordo di quella mancata cena a me fa solo sorridere, ma benevolmente.
La sue mail, comunque, sono un gran bel ricordo. Perché incontrare un editore che crede in te è cosa rara (che a me è capitata due volte: con Perdisa-Bernardi e con Fanucci, appunto).
E va bene così.