Il signor Golem

Questa è un’intervista a Gialcarlo Caselli, il “signor Golem” insomma, che è anche il mio editore. Ci siamo parlati una volta, quando andai a Torino per definire l’uscita di Forse non morirò di giovedì, primo libro uscito con Golem, poi ci siamo incrociati a un salone del libro, poi solo mail di servizio. Ho avuto maggiori rapporti con Fabrizio Falchero, che Caselli cita nell’intervista, anche perché Fabrizio Falchero lesse il manoscritto di Forse non morirò di giovedì e poi mi contattò e poi l’ho visto e sentito altre volte, e con Paola Tombolini, che mi ha fatto da (paziente) editor per entrambi i libri che ho pubblicato con Golem: Forse non morirò di giovedì e La suora.
Non so se pubblicherò ancora con Golem, non so nemmeno se scriverò qualcosa, ora come ora ne dubito. Ma è mia intenzione intervistare persone (editori, editor, scrittori) e questa (che è stata pubblicata anche da Infovercelli24 e da Torinoggi) è la mia prima intervista.

Giancarlo Caselli e la casa editrice Golem, nata a Torino qualche anno fa e che ha sede in Piazza De Amicis.
Cominciamo con Giancarlo Caselli, psicologo e poi editore. Come nasce l’idea di vivere un’esperienza nel mondo editoriale?

Direi quasi per caso… sono sempre stato un grande appassionato di libri e nel 2012 ho avuto l’occasione di acquistare una libreria che era stata aperta da pochi mesi. Mi sono buttato nell’avventura che mi ha fatto venire voglia di essere artefice del prodotto che ho sempre amato e che avevo iniziato a vendere però mancava l’occasione che si è materializzata una sera con una persona che è entrata in libreria dicendomi di essere stato consigliato da qualcuno del Circolo dei Lettori di venirmi a parlare in quanto aveva scritto un libro e voleva capire come fare per pubblicarlo. Lui voleva diventare un autore, io un editore e il 5 dicembre 2013 entrambi abbiamo realizzato il nostro sogno.

Golem: perché questo nome e un po’ di storia della casa editrice.
Il Golem è un mito della tradizione e della cultura ebraica, difende gli oppressi e, oggi diremmo, i subalterni e noi fin da subito avevamo chiaro che il nostro obiettivo era fare un mix di intrattenimento e di cultura dando spazio a che ha dei valori da condividere ma, magari, fatica a trovare voce 
Tornando a quel 5 dicembre fu subito un piacevole successo anche grazie a Margherita Oggero che fu madrina di quella serata al Circolo dei Lettori in cui presentammo il nostro progetto editoriale. Sei mesi dopo eravamo al Salone del Libro, ancora con poche proposte ma di qualità. La svolta avvenne poi nel 2017 con l’inizio della distribuzione nazionale da parte di Messaggerie.

Golem vuol dire Giancarlo Caselli ma anche altre persone. Chi sono a cosa fanno?
Golem è una realtà in movimento che conta su una serie di collaborazioni diverse. Io rappresento, in qualche modo, il frontman ma le scelte sono sempre collegiali, condivise in primis con il mio socio Fabrizio Falchero ma spesso dettate dai giovani che rappresentano l’ossatura della casa editrice a partire da Carolina, Luigi, Valentina e le due Chiara che sono entrate come tirocinanti universitarie e in pochissimo sono diventate una risorsa importante. Un particolare ringraziamento poi va a Valentina Catto, la nostra grafica, che cura le copertine dei libri.

Golem sta proponendo diversi libri all’anno. Quanti all’anno? Anche di qualità. Proposte editoriali di autori contemporanei, ma non solo.
Oggi siamo sui 50 libri all’anno, un numero esorbitante per una piccola casa editrice e che richiede uno sforzo considerevole. È vero, tendenzialmente pubblichiamo autori contemporanei italiani ma ci sono anche alcune eccezioni come quando andiamo a ripescare autori dimenticati come è stato il caso di Jarro che ha scritto nel 1850 forse il primo “giallo” italiano, anzi pre-italiano in quanto ancora ambientato nel Granducato di Toscana. Ora stiamo lavorando a una collana dedicata al giallo centro-sudamericano e la prima uscita sarà un libro di Amir Valle, il più importante giallista cubano mai pubblicato in Italia.
 
Romanzi, gialli, saggi. Anche raccolte di racconti? E la poesia?
Qualche raccolta di racconti e due di poesie ma i nostri gusti sono più orientati verso storie di lungo respiro e sia i librai sia i lettori oramai ci identificano con un certo tipo di scelte editoriali, ma mai dire mai.

Per le piccole e medie realtà editoriali c’è un grande problema, quello della distribuzione.

Sicuramente la distribuzione è uno dei nodi principali del mondo editoriale. Noi abbiamo scelto, e siamo stati scelti da Messaggerie Libri che ci consente di essere presenti, almeno potenzialmente, su tutto il territorio nazionale. Dico potenzialmente in quanto la scelta di quali libri tenere o non tenere è sempre ad appannaggio della singola libreria per cui tutti i librai possono avere i nostri libri ma, ovviamente, non tutti li hanno anche perché in Italia escono circa 200 novità al giorno e sarebbe impossibile per chiunque avere l’intera scelta. Ovviamente una distribuzione importante, con relativa promozione, ha dei costi elevati che sono molto più facilmente sostenibili da grandi gruppi che non da editori indipendenti. Ma il campo di gioco è questo e se vogliamo giocare…
 
Com’è il rapporto con la città di Torino?
Sono nato e cresciuto a Torino e quindi il rapporto non può che essere viscerale però fin da subito abbiamo cercato di smarcarci dall’etichetta di casa editrice locale, non per snobismo ma perché io non amo i confini e gli steccati (di nessun tipo) e quindi le scelte sono sempre state improntate alla ricerca della qualità più che della localizzazione geografica. Poi è naturale che attiriamo maggiormente autori piemontesi che si identificano con la nostra realtà ma se guardo all’anno che sta per chiudersi oltre il 50% dei nostri autori vengono da altre regioni.

Quando si parla di una casa editrice tanti aspiranti scrittori si chiedono: questa casa editrice accetta e legge i manoscritti?
Da un lato mi pare una domanda assurda: se una casa editrice non accettasse e non valutasse manoscritti cosa pubblicherebbe? Il problema deriva dal fatto che la quantità di proposte che si ricevono è esorbitante rispetto alla capacità di pubblicare, l’ordine di grandezza, nel nostro caso, è di 10 a 1 e quindi i tempi si allungano e, onestamente, diventa impossibile valutare attentamente tutte le proposte, Un consiglio agli aspiranti autori è di essere incisivi e sintetici nelle lettere di accompagnamento che rappresentano la prima chiave di accesso alla valutazione.

Un bilancio di questi primi anni. Le cose positive e quelle meno. E le prospettive.
La cosa più positiva è stata una crescita sostenibile e non centrata sui numeri ma sulle persone, ecco perché ci piace parlare di casa Golem. Il rammarico è di non poter fare abbastanza per tutti i nostri libri e, a volte, qualcuno viene magari un pochino trascurato ma stiamo lavorando proprio perché ciò non accada.
Confidiamo di proseguire nel nostro percorso di crescita, magari lento ma continuo, e per il 2023 abbiamo in animo di raddoppiare la collana di narrativa (Mondo) che è arrivata al numero 100 e quindi la differenzieremo in una più pop e una più profonda con un restyling delle copertine. E, come detto, avvieremo una collana di gialli centro-sudamericani.

Pensieri disordinati (dopo un premio)

Nel giorno in cui mi comunicano che, con La suora, sono arrivato terzo al premio Augusto Monti – primo posto a Marco Griffi, con Ferrovie del Messico (Laurana), secondo a Giorgio Bona, con Da qui all’eternit(Scritturapura) – mi vengono in mente un po’ di pensieri, alla rinfusa.
Penso alle volte che ho partecipato a un concorso (non tantissime, le mie partecipazioni intendo) e non sono stato preso in considerazione. Succede, anche ai migliori.
O alle volte in cui un mio manoscritto è stato o rifiutato o è rimasto senza risposta: l’avranno letto, adocchiato, gettato via subito?
Certi rifiuti – ho anche pensato portando a spasso il cane – mi hanno portato anche bene. Come quella volta che, alle 3 di notte, inviai un manoscritto a un editore, il più solerte a rispondere. Alle 9 del mattino, insomma sei ore dopo il mio invio, vedo la sua mail e leggo: “Non mi interessa” (senza un crepa o un buona giornata in saldo speciale). Fortuna ha voluto che poi, due anni dopo, quel manoscritto (La notte del Santo) divenne un libro pubblicato da un editore prestigioso come Fanucci.
E’ la prima volta, altro pensiero, che La suora ottiene un riconoscimento, ed è la seconda volta che arrivo sul podio.
Evidentemente la piccola casa editrice Golem mi porta fortuna: primo al Concorso internazionale Città di Cattolica l’anno scorso, con Forse non morirò di giovedì, terzo quest’anno al Monti con La suora. Avrei preferito il contrario: terzo al Ciittà di Cattolica e primo al Monti.
Ci son libri a cui ci si attacca di più.
E’ comunque: vincere un premio è una gran cosa, vincere un premio significa niente.
Quello che conta è vivere. Saper vivere. La vita è bella la vita è dolorosa. La vita, che cerco di raccontare e di capire, scrivendo. Scrivendo, per esempio, di persone normali, vere, che amano restare in disparte… A volte sono eroi silenziosi.
Buone cose a tutti quelli che passano di qui.

Sensibili al potere

Come definire il suo lavoro?
“Sul nostro mestiere si fanno tante parole, e invece è facile da spiegare. Il nostro mestiere è quello di in- formare, raccontare, dire le cose come stanno. Tutto qui. Sta di fatto che a informare, raccontare e dire le cose come stanno ci riescono in pochi.”
Perché?
“Lei quanti uomini liberi conosce?”
Qualcuno… Le faccio un’altra domanda. L’orientamento politico dei suoi giornalisti interferisce o danneggia la libertà di informazione?
“Guardi, conta poco o niente che un giornalista sia anarchico oppure di destra. Il vero problema sono i giornalisti che sono sensibili al potere, quelli che quando hanno scritto un’intervista sperano di aver
soddisfatto la vanità del politico di turno. I sensibili al potere sono tanti e fanno danni.”
Lei è libero? La sua redazione è composta da persone libere?
“Questa domanda me la pongo ogni giorno.”

da “Forse non morirò di giovedì”, Golem edizioni

Amazon, le recensioni più belle e quelle più brutte

I miei libri su Amazon. Alcune recensioni dei lettori.

La Suora (Golem)

La più bella (di impressionidilettura)
Remo Bassini, con le sue storie malinconiche, con i suoi personaggi mai del tutto vincenti e mai del tutto sconfitti, non mi delude mai.
Romolo Strozzi, protagonista e voce narrante di questa storia di amori non vissuti e di amori possibili ma meno attraenti della solitudine, è di quelli di cui da lettrice mi innamoro.
Un mistero dai cupi risvolti si svela a poco a poco, senza improbabili effetti speciali da serie americana, con il passo lento delle storie vere, in cui la determinazione e la pazienza, se anche la fortuna collabora un po’, arrivano infine alla verità.
La provincia con le sue atmosfere, le sue malinconie, i conflitti sotterranei, le maldicenze e le prepotenze, non è un fondale, è una dei protagonisti della storia.
La più negativa.
Per ora non c’è. Qualcuno, comunque, ha messo le due stellette nelle opzioni di voto (che vanno da 1 a 5).

La donna di picche (Fanucci)

La più bella (di Susanna Raule, scrittrice)
Premetto di non aver letto il titolo precedente (che ora mi procurerò), ma da questo sono rimasta colpita. Bassini usa gli stilemi del giallo per dar vita a una narrazione avvolgente, avvincente, centrata sui rapporti interpersonali e quasi priva di avvenimenti. Detto così non sembra un pregio, lo capisco, ma lo è. Nel libro, all’apparenza, non succede quasi nulla, se uno si aspetta la trama action e adrenalinica di certi gialli americani. Ma in realtà succedono un sacco di cose, che entrano nel cerchio della narrazione in modo naturale, tenendoti avvinto da una narrazione sempre di parte, che non si allontana mai dai personaggi per permetterci di guardare la storia dall’alto. Ed è così che è la vita, no? Non puoi allontanarti e guardare le cose dall’alto, magari. La donna di picche ti rapisce, ti fa venir voglia di continuare a leggere, scorre via e ti trascina nel flusso. Più vai avanti più hai voglia di entrare nell’universo personale di personaggi umanissimi, dolenti, ma anche pieni di una speranza nel futuro quasi recalcitrante. Davvero molto consigliato.
La più negativa (angela)
Romanzo globalmente accettabile, ma non mi ha coinvolto né la vicenda, né i personaggi.

Forse non morirò di giovedì (Golem)

La più bella (annarita)
Sono tornata volentieri a immergermi in uno scritto di Remo Bassini perché oramai lo segue da alcuni anni e attendo sempre con piacere ogni sua nuova creazione. In questo romanzo facciamo la conoscenza di Antonio Sovesci, direttore con la schiena dritta di un piccolo quotidiano di provincia. Ma questa storia nulla ha di provinciale nel senso più vieto del termine; attraverso gli occhi, le parole e i gesti di Sovesci entriamo nel mondo di un piccolo giornale in cui il temperamento del direttore fa la differenza, la notizia è sempre oggetto di attenta analisi e se degli errori si fanno, con Antonio sono sempre e solo in buonafede. Questa vicenda, che si dipana nell’intreccio tra l’intervista che con una certa ritrosia il direttore concede a una sua ex giornalista e i fatti del giornale, viene sviluppata con mano sicura ed esperta da Remo Bassini, forte della sua esperienza di giornalista, ma soprattutto con abile scavo psicologico dei personaggi, che ci conducono per mano fino all’epilogo della vicenda. C’è tutto un mondo in quella redazione in cui ogni giorno Antonio Sovesci lotta contro i tagli al budget dovuti all’ottusità dell’editore e del suo manipolo di azionisti; un mondo di provincia denso e umorale, in cui ogni componente della redazione viene fuori a tutto tondo con pregi e difetti. C’è amore, c’è sofferenza, c’è onestà, ma ci sono anche calcoli e tradimenti, colpi bassi e fughe. Insomma un bel romanzo sul giornalismo onesto e leale come il direttore Sovesci. Una bella lettura.
La più negativa (giuseppe riccardi)
Il titolo mi è stato consigliato da amici, avevo grandi aspettative ma non ho trovato interessante la storia, trita e ritrita, la scrittura e i salti temporali secondo me fuori tempo. Magari riproverò con un altro lavoro dell’autore.

A proposito di presentazioni

Non mi piace parlare in pubblico – anche se l’avrò fatto almeno cento volte – non mi piacciono le presentazioni dei libri. Però le faccio. Le faccio soprattutto quando mi trovo bene con la casa editrice che mi ha pubblicato, investendo su di me.
Le piccole case editrici fanno fatica a sopravvivere, parecchie aprono con entusiasmo e poi chiudono perché non ce la fanno.
Precisazione: a piccole case editrici do per scontato e sottinteso l’aggettivo “serie”.
Esempio di casa editrice senza questo aggettivo.
Si manda un manoscritto e ti rispondono che è ok, l’hanno letto, lo pubblicheranno. Ma visti i tempi che corrono ti chiedono di acquistare magari 200 copie a prezzo scontato…
E le altre che invece non chiedono nulla per assorbire i costi (stampa, telefono, ufficio stampa, editing eccetera) o che addirittura ti danno anche un piccolo anticipo (a me è successo, con Perdisa)?

Ho presentato La suora – Golem editore – tre volte, per ora: a Vercelli (1) al Circolo dei lettori, Torino (2), alla biblioteca di Cigliano, a 30 chilometri da Vercelli (3).

Poi. Firmacopie sempre a Vercelli, quando è uscito. Tre presentazioni online (Mondadori di Alessandria, Anticorpi letterari, diretta instagram: Set con l’autore).
Prossima presentazione, mercoledì 11 a Torino, ore 18, sarò ospite di Trama, in via Mazzini 44, per Eventi Feltrinelli.
E più in là, forse una presentazione a Firenze più varie ed eventuali.

Sulle presentazioni, ancora due cose.
Confermo, le faccio malvolentieri ma ce ne sono state alcune (a Sermide, per esempio, oppure a Bologna con Luigi Bernardi) che non dimenticherò. Contento, insomma, d’averle fatte.
E non mi spiacerebbe presentare La suora nei luoghi in cui è ambientata, Orta soprattutto (vedi foto sotto).
Le più belle? Solitamente nelle biblioteche, con un po’ di gente ma non tantissima: meno gente c’è e più c’è dialogo, magari al termine. Certo, si vende qualche copia in meno…

Un premio. E poi la fortuna o meno

Scrivo da vent’anni, in tutto ho pubblicato tredici libri, undici sono romanzi e due sono raccolte di racconti.
Per pubblicare, in genere è andata così: invio del manoscritto, risposta dell’editore magari dopo anni, oppure anche solo dopo un mese (per esempio con Mursia. Furono veloci a rispondere, poi però aspettai anni prima di vedere il libro pubblicato.)
Con la Newton Compton non andò così. Estate del 2006, il mio libro Lo scommettitore edito da Fernandel è libro del mese di Fahrenheit (Radio Rai Tre). Sul mio blog scrivo che sto scrivendo un nuovo libro. La Newton Compton mi contatta e firmo un contratto per un libro che è ancora da scrivere.
Titolo provvisorio: Uno di quei giorni. Uscirà con il titolo La donna che parlava con i morti.
Vent’anni di scrittura, pochi soldi guadagnati, tanti maldipancia (l’editoria è un bastardo posto, mi scrisse Luigi Bernardi) e un isolamento in parte volontario.
Ogni tanto qualche soddisfazione. Il mio nuovo libro, Forse non morirò di giovedì, Golem edizioni, è arrivato primo (ex equo) al Premio letterario internazionale di Cattolica.
L’altro libro arrivato primo lo ha scritto Maria Antonia Avati (figlia di Pupi Avati): A una certa ora del giorno, edizioni La nave di Teseo.
Vent’anni di scrittura, tredici libri e due riconoscimenti insomma. Fahrenheit nel 2006 e questo, in questo assurdo anno.
Non sono finalista allo Strega, insomma, né pubblicherò il prossimo libro con Mondadori o Feltrinelli o affini.
L’ho già scritto un’altra volta, mi pare.
Non penso di essere stato fortunato, perché forse (ma è anche colpa mia) non ho raccolto quanto ho seminato.
Ma penso anche di essere fortunato. Penso che ci siano altri scrittori che non hanno avuto la mia stessa fortuna nell’ottenere risposte dalle case editrici.