Incontri al Salone

Se non cambio idea, e potrei cambiarla, dovrei essere al salone del libro da metà mattinata a metà pomeriggio di giovedì 9 e lunedì 13, stand di Golem (o a prendere uno dei 6/7 caffè che bevo ogni giorno, oppure fuori a fumare).
Ricordo una volta che ero fuori a fumare. Era lunga, fumavo un mezzo toscano. A un certo punto vedo un bel po’ di gente come in coda per vedere qualcosa. Sarà Pablo Coelho, pensai. Non mi piace Coelho, ho letto due libri, stop. Ma volevo vedere se si atteggiava a superstar. Non era lui, era una bella ragazza che aveva la schiena nuda, con parte del fondo schiena anche lui nudo. Attrazioni del Salone.

Un’altra volta vidi Fassino, solo solissimo, aria triste e sconsolata (una vita fa, prima che diventesse sindaco), pochi minuti dopo, invece, attorniato da giornalisti, vedo Fausto Bertinotti. Lui sì, si atteggiava a diva. E spiegava ai giornalisti… i problemi della sinistra. Ma non acora anche i suoi?

Un fidanzato troppo giovane

Mia zia Gina, io, proprio non la sopportavo. Non sopportavo le sue sgridate, il fatto che facesse la spia a mia madre. L’ho visto, faceva a botte, era proprio lui.
Aveva 13 anni in più di mia madre ma sembrava più giovane. Truccatissima, le gonne corte. Era zitella, ma dalla vita amorosa burrascosa. Una volta un suo fidanzato la mollò, lei rubò una pistola, fortuna che se ne accorsero e la fermarono.
Mi son ricordato di una cosa, però oggi, parlando del celebre film Riso amaro. Mi dissero, ma non so se sia vero, che una comparsa, un bimbo piccolo, era stato un fidanzato di mia zia Gina. Stettero insieme parecchio, ricordo che lui veniva invitato agli interminabili pranzi di famiglia, per natele, pasqua eccetera. C’era un problema grande come una casa, però. Lui aveva qualcosa come 20 anni in meno, forse di 21, o 22.
Un giorno mia madre mi fa: Oggi dovresti andare con la zia, devi farle solo compagnia.
Non avevo scelta con mia madre: o obbedire o obbedire. Altrimenti eran cavoli.
Così andai con mia zina Gina.
Arrivammo così nella casa dove viveva il suo fidanzato. Ci fecero entrare e io, di quell’incontro, ho solo un vago ricordo, cos’avrò avuto, sette, otto anni?
Sono accanto a mia zia, che mi tiene la mano. Siamo in uno stanzone. C’è il suo moroso, ci sono poi altre dodici o più persone, uomini e donne piuttosto anziani. Fanno domande a mia zia, che risponde, ma è in difficoltà. Erano soprattutto le donne anziane a interrogarla. Alla fine zia Gina si alzò. Andiamo mi disse. Sulla via del ritorno non disse una parola.
Quel giorno il fidanzamento finì.
L’anello che lui le aveva regalato, mi pare di ricordare, glielo restituì.
Per anni e anni rividi quell’uomo, che passeggiava, o da solo sempre con altri uomini. Mi vedeva e mi riconosceva, ne ero certo, ma guardava da un’altra parte.
Sarà vero, come mi raccontò mia madre, che era stato una piccola comparsa preso in braccio da Silvana Mangano?
Non lo incontro più, da tempo, e mia zia, da tempo, non c’è più.
È riemerso questo ricordo, però, oggi, parlando… e ho rivisto quello stanzone in penombra, con le donne e gli uomini seduti accanto alla parete. E la mia mano, in quella di zia Gina.

S’incontrano strane storie, in carcere

Per il mio blog su Il Fatto quotidiano, ho appena scritto una recensione al bel libro di Carlo Barbieri (con prefazione di Ilaria Cucchi) “Al di là delle sbarre, al di qua del muro”, casa editrice Golem.
E così ho ricordato la mia esperienza, come docente volontario di un corso di scrittura, che tenni nella casa circondariale di Vercelli, a metà degli anni Novanta.
Prima impressione che ebbi, ma era superficiale, molto superficiale: credeva fosse peggio vivere qui dentro, pensai.
Vedevo infatti detenuti che parlavano tra loro di politica o di calcio o di grane con i loro avvocati, li vedevo che andavano in biblioteca, che cercavano un giornale, sapevo che alcuni di loro lavoravano. Qualcuno di loro scriveva. Ho, da qualche parte, un libro di poesie di un giovane…
Un giovane, già.
Provate a immaginare. Entrare in carcere, parlate con i detenuti del più e del meno. Poi si avvicina un ragazzo, avrà trent’anni. Mentre parla vi viene in mente un pensiero banale: potresti essere un pericolo per le persone che amo, potresti essere… una persona che amo.

Un giorno, mentre entravo, vidi una bella ragazza che usciva. Aveva scontato la pena. Sapevo di lei, perché tenevo 2 ore di lezione al maschile e 2 al femminile, ogni settimana. Sapevo che la sua famiglia non ne voleva sapere nulla. Dopo due ore di lezione la vidi di nuovo, era fuori, sola, seduta su una panchina. Pensai: prima o poi qualche camionista le darà un passaggio.

S’incontrano storie, in carcere.
Una detenuta, che è stata operata per un tumore, a giorni uscirà. Non ha casa, non ha parenti e amici. Non sta ancora bene. I volontari cercano, invano, qualcuno che l’accolga, ha bisogno di un tetto, non può certo dormire sotto i ponti. La soluzione arriva, dal carcere: una detenuta, una nomade, insomma una zingara, dice: può andare a casa mia, non c’è problema. E così fu. Pensai: solo una nomade può fare una cosa del genere. Noi, persone perbene, non rubiamo e non finiamo in carcere ma alle nostre cose siamo legati, e guai a chi ce le tocca…

(Il libro di Carlo Barbieri mi è piaciuto perché, almeno un po’, la realtà del carcere l’ho vista e vissuta).

Che domenica: storia di una moneta porta sfortuna

Tre sconfitte e una domenica da dimenticare (come tifoso e giornalista sportivo, anche)
Sabato perde la Pro Vercelli. Ieri, domenica, ha perso la squadra di basket di serie D, i Rices Vercelli e ha perso anche la squadra in cui gioca mia figlio, la under 14 dei Rices.
Quando è finita la partita mi ha visto rabbuiato. «Ho giocato male», mi fa. Gli rispondo: «Sono anche un po’ arrabbiato con te, sai? Succede di giocare male, ma tu non hai fatto qualcosa che sai fare e che avresti dovuto fare…»
Gli spiego, «Hai ragione» mi fa.
Quando ci avviamo per tornare a casa troviamo una sorpresa: la macchina bollata (Oggi mi attende il carrozziere.)
E pensare che la domenica mattina era iniziata bene. Con un auspicio.
Mentre io e Cico (o Libe, o Federico) andavamo a fare colazione, ci aveva fermati un ragazzo. «Avete 50 centesimi?»
Certo che sì.
Dopo pochi passi mio figlio aveva visto per terra una moneta… di 50 centesimi.
«Va che coincidenza… Ci porterà fortuna», avevamo detto.
Alla faccia.

Il sentiero, recensioni su Instagram

Quando meno te lo aspetti…
Quando la tua vita sta prendendo una strada in cui non ti ci ritrovi…
Quando tutto intorno a te sembra estraneo e alieno…
I tuoi passi ti conducono sempre in un luogo che inconsciamente cercavi …
Dove la tua anima può ricongiungersi con la tua mente e il tuo cuore e trovare finalmente la via di casa…
È il sentiero dei papaveri che il Capitano, vero e struggente protagonista di questo romanzo, ha già percorso…
Ma sarà allo Scrittore, suo alter ego, che consegnerà la storia di tutti i suoi amici, che alla fine si uniranno in una storia corale, in cui ognuno di noi ci si può ritrovare…
È un sentiero fatto di persone, storie che hanno lasciato tracce indelebili, che compongono un mosaico di vite, grandi e piccole, ma tutte a loro modo, preziose…
E noi lettori, assaporiamo ogni storia che il Capitano ha raccolto, come assaporiamo le sue frittate percorrendo le pagine come un sentiero che ci porterà verso l’ amore e la speranza …
Una scrittura coinvolgente e densa, piena di emozioni e sensazioni che fanno fatica a staccarsi dai nostri cuori…
Un autore come raramente se ne incontrano, e, quando succede, qualcosa di lui resta inevitabilmente dentro di noi, per cambiarci, per migliorarci…
Perché il sentiero dei papaveri è lì….
Tutti possono percorrerlo…
Basta vederlo…

Scrivere senza medaglie

Non vedo l’ora di andare in pensione ma in pensione per davvero: mettendo da parte quelle definizioni inutili, medaglie di cartapesta: scrittore, giornalista. Non vedo l’ora di dire che sono… che sono stato un ex operaio, figlio di contadini, insomma della povertà, che si è laureato lavorando ( studiando di notte) e che poi ha scribacchiato qualcosa (sempre di notte), niente di che. Stufo, insomma, delle medaglie di cartapesta.
Continuerò a scrivere, comunque, sempre. Ma si può scrivere anche senza… medaglie.

Il problema vero

Il problema vero non è l’essere o meno uno scrittore, vendere tanti o pochi libri, avere tanti o pochi riconoscimenti, avere tanti o pochi maldipancia, avere tante e poche idee su cosa scrivere ancora e se scrivere ancora, il problema vero è che il tempo passa in fretta e porta via tutto, maldipancia e applausi, fiori e sporcizie varie, anche i ricordi delle colline che da ragazzo guardavi pensando che la storia, la tua storia, sarebbe stata una gran bella storia. Da raccontare. Forse per questo ti sei messo a raccontare…

Pubblicare con un piccolo e con un grande editore?

Una domanda che ogni tanto qualcuno mi fa: perché da un po’ di tempo pubblichi solo con la piccola editoria?
Ho due risposte.
La prima. Per i tempi.

Faccio un esempio per farmi capire. Una dozzina d’anni fa scrissi La notte del santo. Lo inviai a varie case editrici, grandi e piccine. Anche a Fanucci (che per me è medio-grande). Dopo qualche mese mi arrivarono delle proposte di pubblicazione da piccole case editrici. Dìssi di no, ma non perché fossero piccole. Perché non mi convincevano. Dopo 4 anni (ripeto 4 anni) arrivò la risposta positiva di Fanucci.
In genere (ripeto in genere) le case editrici più grandi hanno tempi lunghi. Una piccola casa editrice magari è più snella. Pubblicai in un batter d’occhio Lo scommettitore con Fernandel, pubblico adesso in fretta con Golem.
Pubblicare con una casa editrice, certo, vuol dire due cose: guadagnare qualcosa (ma con 1500 euro di anticipo non si diventa ricchi), vendere di più.
Cosa vuol dire, per un autore come me, vendere di più? Esempio chiaro: sulle 4mila copie per esempio con la Newton Compton (La donna che parlava con i morti), sulle 400 con Golem (La suora).
Quattromila è dieci volte tanto quattrocento, ma alla fin fine quattromila e/o quattrocento sono briciole.
Conosco autori che hanno venduto 20, 30mila copie e adesso fanno fatica a farsi pubblicare da un piccolo editore.

Secondo risposta. Con le piccole realtà editoriali in genere ci si trova meglio. Ho scritto “in genere”. In genere vuol dire questo: lavorare con passione e serietà.
Ho avuto la fortuna di lavorare e trovarmi bene con Perdisa e Luigi Bernardi (Bastardo Posto e Vicolo del precipizio), ho la fortuna di avere adesso una giovane e soprattutto brava editrice, Francesca Piazza di Golem. Magari non è esperta, ma lavora a testa bassa per proporre sul mercato dei prodotti validi. Non è un caso che de Il sentiero dei papaveri venga spesso elogiata la copertina, e la copertina è importante. Come mi disse un giorno (il giorno in cui lo conobbi) Raffaello Avanzini, ad della Newton Compton la fortuna di un libro è dovuta a tre fattori: la copertina, il titolo e soprattutto la distribuzione:
E magari, aggiungo io, la bontà del libro. E la fortuna, anche.

Prima ho parlato di briciole. Così è. Ma le briciole, comunque, devono lottare…
Mi spiego: le briciole che lottano appartengono a quella piccola editoria che piace a me.

Il Sentiero dei papaveri: recensione su Il Fatto quotidiano

Lunedì 18 marzo, recensione de Il sentiero dei papaveri su Il Fatto

“Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito e forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga”. Con queste parole di Albert Camus, pronunciate quando nel 1957 gli conferirono il premio Nobel, Remo Bassini riassume Il sentiero dei papaveri (Golem), Il suo nuovo romanzo. A differenza di molti narratori contemporanei che non vanno al di là del loro ombelico, Bassini, classe 1956, toscano di Cortona che vive e lavora a Vercelli, è uno che sa narrare molto bene le storie belle e dolenti di personaggi spesso perdenti, ma che si ostinano nel cercare di impedire, appunto, che il mondo si distrugga.
Tutto o quasi accade nel bar di un certo Capitano, in una città che può essere o non può essere Vercelli, dove si danno appuntamento donne e uomini che si raccontano le loro storie. E un’umanità di umiliati e offesi, accomunata però dalla consapevolezza che, in questa nostra sciagurata epoca, fatta di “social” e di infinite solitudini consumate al computer, “dobbiamo tornare ad ascoltarci e ascoltare le nostre storie, dobbiamo ribellarci alle macchine, le nostre menti vengono prima. Dobbiamo costruire nuove città”.
Così si snodano le vicende del Capitano, dello Scrittore, della Libraia, di Rosa, del Professore, del Piccolo Prete. Vicende di provincia, questo “bastardo posto”: una provincia che lo scrittore di Cortona sa rendere sempre con efficacia, e che indaga nelle sue poche virtù e nei tanti vizi. Le avventure dei personaggi di Il sentiero dei papaveri sono sbocciate ascoltando una sera, paradossalmente su Internet, il medico e psicanalista Emilio Mordini che parlava dell’era digitale. Diceva: “Sono le 10 di sera e stiamo dialogando davanti al computer. È una follia comoda. Pensate: dopo un viaggio, potremmo essere attorno a un tavolo davanti a una bottiglia di vino… Stiamo perdendo il ritmo della vita, e la vita è un po’ come la musica, che è fatta da suono, pausa e suono. Noi stiamo distruggendo la pausa, non c’è più un tempo delle cose e se non c’è un tempo delle cose siamo tutti morti”. Poi, rammenta Bassini, disse anche che “tutto questo sistema è costruito per portare a un continuo consumo. Ci stanno rubando il tempo, cosa fare?
Giornalista e scrittore di razza, già direttore del giornale storico di Vercelli La Sesia con cui si batté contro corruzioni e malefatte, Bassini ha pubblicato numerosi romanzi, spaziando da alcuni “gialli” non banali (La notte del santo, La donna di picche) a narrazioni di forte impegno civile come Forse non morirò di giovedì, tra i vincitori al Premio letterario internazionale città di Cattolica. Questo libro e un netto atto d’accusa contro il giornalismo comprato e venduto, i mercanti che strozzano la libertà di stampa per interessi politici ed economici, i direttori che uccidono o stravolgono le notizie per assecondare gli inserzionisti della pubblicità. Il sentiero dei papaveri conferma la bravura di Bassini e in particolare attesta la sua capacità di essere meravigliosamente inattuale in questa vergognosa attualità.
Massimo Novelli
Il Fatto quotidiano, lunedì 18 marzo 2024.

Il sentiero dei papaveri: tutte le recensioni

Il sentiero dei papaveri conferma la bravura di Bassini e in particolare attesta la sua capacità di essere meravigliosamente inattuale in questa vergognosa attualità.
Massimo Novelli su Il Fatto quotidiano
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Un autore come raramente se ne incontrano, e, quando succede, qualcosa di lui resta inevitabilmente dentro di noi, per cambiarci, per migliorarci…
Perché il sentiero dei papaveri è lì….
Tutti possono percorrerlo…
carta-fragile (su instagram)
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Un libro sincero di avventure della mente e dei sentimenti, in quella che un grande scrittore, 200 anni fa Honoré de Balzac, definisce l’umana commedia.
Guido Michelone su La poesia e lo spirito
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È una storia di atmosfere, di simboli, di metafore e di visioni oniriche che si snoda conducendo il lettore dentro un mistero, anzi, una serie di misteri.
Rosalia Messina su Letteratitudine
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La vicenda scivola lungo quel sentiero dei papaveri che nessuno sa di preciso dove sia ma dove arrivarci non è difficile, e si svolge nel bar di una periferia povera e violenta di una città senza nome, elementi questi che aiutano a creare un’atmosfera di magico che non ti so spiegare, come dice il protagonista.
Angelo Marenzana su CorriereAl
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E’ una storia-fiaba senza tempo, che potrebbe svolgersi in qualunque luogo, in cui prevalgono sentimenti, purtroppo spesso desueti, come la solidarietà, l’ascolto, l’accoglienza, il perdono e la gratuità al di là di ogni età, sesso, razza o ceto sociale:
Daniela Domenici su “Daniela e dintorni”
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Non vi diciamo dove si trova “Il sentiero dei papaveri”… Sul sentiero dei papaveri anche voi deciderete di “essere più forti della paura”.
Roberta Martini, La Stampa edizione di Vercelli
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Una storia intrisa di tante storie e il gusto di Remo Bassini per i bar di un tempo, per la gente e per le storie nascoste dietro i conventi.
Paola Rambaldi su Liberi di scrivere
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“ Il sentiero dei papaveri racconta di persone che vivevano come una volta. Ci ricordiamo ancora come si viveva anni fa senza smathphone e like su facebook? A prescindere dal ricordo: il mondo sta cambiando, ma noi, forse, ci limitiamo a subire, prendendo atto che non c’è un’ altra strada. O forse c’è: è il sentiero dei papaveri”
Maria Pina Ciancio su Lucaniart
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Ci ricordiamo ancora come si viveva senza smarthphone e senza like su Facebook? Quando, al risveglio, guardavamo la finestra per capire se era una giornata di sole o di pioggia?
Su Montecarlo News
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Personalmente lo ritengo un romanzo su come si può restare umani. Il “Grande fratello” è qui con noi da tempo, più subdolo e pervasivo che mai.
Gian Piero Prassi su Notizia Oggi
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Intervistato da Alessandra Rauti (dal minuto 5 e qualche secondo) a Incontri d’autore, su Radio Rai 1.
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