Olivieri: scrivere rincorrendo il passato

Non ricordo bene l’anno (1985?), ricordo invece il posto (sull’autobus numero 56, fermo in piazza Castello, Torino, per un ingorgo) e più o meno ricordo le parole: le parole che uscirano dalla bocca di un ragazzo, accanto a me, che a una ragazza raccontava di aver fatto la comparsa nel film di Monicelli, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Diceva, quel ragazzo, dei grandi protagonisti di quel film, che non ho visto: Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. Di Tognazzi diceva che era pignolo, bravo, esigente; e che certe volte era dura sopportarlo. Di Alberto Sordi, invece, diceva l’opposto: una persona stupenda, mite. Buonissima.
Le cose che si dicono e si sentono sugli autobus fermi a un ingorgo son tante, possono essere vere oppure no. Specia se si parla a una bella ragazza.
Anni dopo, al cinema, vedo “I giorni del commissario Ambrosio”. Mi piace il film, un po’ meno l’interpretazione di Tognazzi, del resto non sono mai stato un grande estimatore del cinema italiano, preferisco i film francesi, Lino Ventura era il mio attore preferito.
Diversi anni dopo su una bancarella di libri usati, stavolta a Vercelli, vedo un libro di Renato Olivieri, è lui lo scrittore che ha inventato il commissario Ambrogio.
Lo prendo, costa poco, lo porto a casa con poca convizione: non mi esaltava, allora, leggere i gialli.
Tre, quattro giorni dopo mia madre mi chiede se di notte posso assistere mio padre, che ha subito un piccolo intervento chirurgico. Ci andai dopo aver fatto la chiusra al giornale, facendo prima un salto a casa per una doccia. Prima di uscire mi feci un panino e, poiché ero di fretta, afferrai Largo Richini, che avevo lasciato nell’ingresso, dal giorno dell’acquisto.
Lo lessi quella notte, accanto a mia padre, sforzando la vista, ché l’unica luce della stanza era quella che proveniva dal corridoio.
Iniziò così il mio interesse per i gialli: Renato Oliveri, poi Chandler, Simenon.
Ma a differenza di Chandler e Simenon i libri di Renato Oliveri non si trovavano in libreria, tutti o quasi fuori catalogo. Li ho tutti, ora, però: grazie alla bancarelle.
Ha un grande pregio, a mio avviso, la sua scrittura. E’ semplice, tanto semplice (non come Izzo o Manchette, ma ci siamo quasi) ed è tanto elegante, tanto elegante (quasi come Montalban, o elegante e musicale come Bernardi, Simi).

Questo è l’incipit de Il caso Kodra.

In effetti c’era qualcosa di strano nella morte della signora Kodra, travolta da un’automobile bianca, probabilmente una Fiat 132, la sera di martedì 6 gennaio alle ore diciotto e trenta, a Milano, all’angolo tra via Porpora e via Catalani. Morì meno di un’ora dopo al Policlinico. Una infermiera (Emanuela Quadri di trentadue anni) raccontò al medico di turno (il dottor Giuseppe Ancona di quarantotto anni) che la poveretta aveva sussurrato prima di morire una parola, forse un nome.

Due pagine dopo, compare il vicecomissario Ambrosio. Decide di occuparsi del caso per… nostalgia.

«Bonelli!» gridò. «Senti, esco per un paio d’ore, se mi cercano dì che torno alle cinque. Ciao».
Accese una Muratti, scese lo scalone della questura, in cortile aveva la sua Volkswagen Golf color erba (gli piaceva perché era una macchinetta di moda, come una volta la Mini, la R5). Faceva freddo, tre sottozzero secondo il Gazzettino Padano. Alzò il collo della canadese, poi salì in macchina.
“Sono anni che non vedo via Porpora” pensò.
Posteggiò di fronte a un bar, aveva voglia di un caffè.
«Lungo» disse. Era un uomo robusto, col viso segnato, i capelli folti tagliati corti, un’aria svagata,come se si portasse dietro un problema da risolvere, e pensasse a quello soltanto senza trovare la soluzione.
Uscì sulla strada.
Via Catalani non era cambiata, da come la ricordava. Camminava adagio guardando le case di un piano, colorate una diversa dall’altra. Un piccolo hotel (per fare l’amore al pomeriggio), una clinica (qui tolsero le tonsille a Guenzati, compagno di quarta ginnasio), la targa di un tosatore di cani.
Superò il numero 12 bis. Una cosa alla volta.
Guardò gli alberi neri di un giardino. In via Vallazze la nebbia era più fitta.
“Ci passavo in bicicletta” si disse.
Da quando Francesca l’aveva lasciato si raccontava le cose, da solo.

Insomma: l’indagine sul caso Kodra nasce perché Ambrosio rincorre il ricordo di una emozione: il ricordo di un bacio dato, una sera, in un portone di via Catalani, quando era ragazzo. Si chiamava Lisa, lei.
Solo un nome, adesso: da rimpiazzare vivendo.

Buona giornata