Ci sono oggetti a cui siamo legati, solitamente son ricordi.
Tra gli oggetti a cui son legato io c’è un libro, Vicolo Cannery, di Steinbeck.
Mi riporta a una mattina, di 27 anni fa. Sto studiando, devo dare un esame e il tempo è poco: anche perché il pomeriggio dovrò andare a lavorare.
Non solo. Sto studiando e devo pure fare da baby sitter a una bimba, Sonia, che ha due anni. Per mio fortuna è bravissima, ogni tanto canta, ma lo posso sopportare. Mentre studio, però, mi accorgo che è troppo buona, troppo silenziosa. Mi giro verso di lei: in effetti è indaffaratissima. Sta succhiando un mio libro, Vicolo Cannery di Steinbeck.
Sulla copertina, in alto, dove ci dovrebbe essere scritto il nome dell’autore, c’è la sua impronta: dei denti da latte.
Vicolo Cannery, comunque, inizia così.
Il vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità di luce, un tono, un’abitudine, una nostalgia, un sogno.
Buona domenica