Si scrive (almeno io, quasi tutti i giorni), poi di quel che si scrive molto spesso se ne fa niente: basta premere elimina, e addio. Un esempio. Era l’idea di un libro, ora svanita.
Buona giornata
Mi hanno riempito di botte, calci, soprattutto. Mi succede spesso. Hanno cominciato con le palle di neve, poi però, quando hanno visto che me le facevo tirare e non facevo una piega, si sono innervositi, ci vuol poco a farli innervosire questi ragazzi: hanno tutto, donne, macchine, coca da sniffare. Hanno pure l’incazzatura facile. Se li mandi a quel paese – io lo faccio mostrando il medio – s’incazzano. Se non fai una piega s’incazzano lo stesso. Vedi stasera. Mi hanno detto «finocchio di merda», mi hanno detto «comunista bastardo», mi hanno detto «puzzi», mi hanno anche detto che ho una sorella che fa pompini e che se vedono mia figlia se la inculano.
Non mi hanno fatto male i loro calci. Mi è spiaciuto per un dente, questo sì, ora me ne sono rimasti sono dieci, sei sotto e quattro sopra, speriamo che tengano.
Erano un gruppetto, non ho perso tempo a contarli, saranno stati una dozzina, ecco sì, erano una sporca dozzina e con loro, questo mi è spiaciuto, c’era anche una ragazza carina, ma carina tanto, lei no, mica mi ha picchiato, mi guardava solo con aria di disgusto aggrappata al braccio del suo maschio, un ragazzotto con sciarpa e cuffia rosse, il più elegante di tutti, stivali di marca, è stato lui a mollarmi un pestone in piena faccia e farmi saltare un dente e farmi perdere sangue da un labbro, spaccato in due, come un tronco da ardere.
Sono anni che prendo botte, soprattutto il venerdì e il sabato, quando diventano loro i padroni della piazza.
Questa sera, però, sono andati oltre. Stanchi di mollarmi pedate han pensato anche di cavarmi calzoni e mutande.
«E questo sarebbe un cazzo?», ha detto uno che non ho visto, perché gli occhi non riuscivo ad aprirli.
Poi è arrivata un’auto della polizia o dei carabinieri, non ci ho fatto nemmeno troppo caso, i ragazzi se la sono filata, per me si è scomodata l’ambulanza.
Ora sono qui, in questo lettino, al pronto soccorso. Mi hanno ricucito il labbro, ho una coperta sopra le vergogne, sopra la cintola ho solo una canottiera bucherellata: mica me n’ero accorto, io, lo riconosco, sono stato distratto, insomma non mi sono accorto che mi hanno anche pisciato addosso, è stata l’infermiera, grassa e per niente carina, pure lei però aveva la stessa faccia schifata dell’unica ragazzina del branco, a dirmi che la camicia puzzava di piscio.
Va bene, però ora non so dove me l’hanno messa, cazzo. In questo momento infermieri e dottori stanno brindando al santo Natale, dicono che è nato Gesù Cristo 2002 anni fa, e quindi hanno diritto, ci mancherebbe, a cinque minuti di pausa.
Spero che si ricordino di questo vecchio che è vicino a me, con la figlia accanto che piange e bestemmia. Non fanno parte dell’alta società, questi due, contano niente, cazzo pretendono?, d’essere considerati?
Il mio posto è sempre lo stesso, nessuno sa perché mi siedo sempre lì, in piazza, sui gradini, fuori dalla Farmacia antica. Nessuno lo sa, ma nel vecchio palazzo di fronte, io, una cinquantina d’anni fa, presi per la prima volta Anna, che diventò poi mia moglie. Avevamo sedici anni, andavamo a scuola insieme. Fu lei a portarmi lì, in quella casa che stavano ristrutturando. Uno dei muratori era suo padre.
Ci parlo tutti i giorni io con Anna.