Oriella Rimabon, meglio conosciuta come la Barbie di Valdobbiadene, per le curvilinee e biondochiomate somiglianze con la mitica bambolina, si stava guardando da circa un’ora le punte dei piedi, tra le lacrime e il mascara colati copiosamente sulle guance. Suo marito Daniele, invece, guardava, in alternanza fissa come se stesse seguendo un interminabile e noioso match di tennis, prima Oriella e poi la culla dove stava dormendo Omar, il loro primogenito. Senza parlare, gli occhi modulavano un pensiero a martello:
Non ci posso credere.
Undici mesi prima
Sparsi sul letto tutti i moduli della società Babybello©. Tutte le caratteristiche richieste in otto pagine di moduli minuziosamente compilati.
Babybello© as you wish.
Le vetrate opaline della sala riunioni emanavano una luce lattea che permeava di chiarore rassicurante i volti che si delineavano sullo schermo al plasma. Le possibili combinazioni, date le opzioni materne, si affacciavano paffute, tenere e rosee dal video. Gridolini eccitati interrompevano i sussurri di Oriella e Daniele. Il loro bambino sarebbe stato perfetto. Bellissimo e unico. Come soltanto avrebbe potuto essere il loro figlio.
Il sogno dei futuri Babybello© parents (clienti era una parola da evitare come un’anomalia genetica nelle brochure patinate della holding dei bambini perfetti che la Babybello© si vantava di essere) era a portata di mano. Beh, anche di portafoglio, diciamolo. Fortuna che Daniele era stato appena nominato junior partner nella DB&C corporation.
«La bellezza è un plusvalore… noi della Babybello© ne siamo perfettamente consci e la nostre scelte di marketing si basano proprio su questo principio. La società contemporanea è sempre più visiva ed oltre al quoziente intellettivo e a spiccate competenze relazionali gli individui nati grazie a Babybello© avranno una marcia in più, un valore aggiunto se vogliamo…»
La pr dell’azienda caracollava sui tacchi esibendo tette siliconate, un lifting altamente professionale e un guardaroba esclusivo, tutti frutti delle parcelle salate – guadagnatissime, certo – della compagnia specializzata in euprocreazione per la quale lavorava.
Oriella e Daniele pendevano dalle sue labbra – anch’esse accortamente ritoccate – e firmarono il contratto.
Prelievi, esami, analisi, un fuoco di fila di prosaiche operazioni per ottenere un rampollo degno delle migliaia di euro necessarie per metterlo al mondo.
Quando il test di gravidanza mostrò, nell’allinearsi inequivocabile delle barrette, che l’impianto era riuscito, che stava iniziando la fase 1 della produzione (così recitava il vademecum della Babybello©), Daniele e Oriella festeggiarono – niente alcool, per carità, niente cibi ipercalorici – nel miglior ristorante della città. Lui le regalò un giornata nel più esclusivo centro benessere e l’indomani si videro recapitare un biglietto pergamenato con i migliori auguri da parte della promoter di Babybello©. Anche la firma era al computer ma carini lo stesso, no?
Undici mesi dopo
Non ci posso credere.
Daniele era un uomo risoluto. Per questo Oriella l’aveva sposato. Per questo era diventato a soli ventinove anni quello che era nella sua azienda. Dopo essersi riscosso dal torpore dei primi giorni pensò che si dovesse fare qualcosa. Che qualcuno dovesse fare qualcosa. Il dottor Nirvani, per esempio.
I media diedero ampio risalto all’episodio. “Coppia benestante – articoli e titoli a caratteri cubitali in prima pagina, foto e commenti sul web, gruppi su Facebook – preda di un raptus di onnipotenza, tenta di effettuare un’operazione di chirurgia estetica al volto del proprio bambino di due mesi.” Sociologi, psicologi, criminologi di chiara fama, scuri in volto, abituati a frequentare salotti da esperti circensi mediatici, a cambiare maglioncini ed esprimersi su tutto lo scibile umano foss’anche il risotto di Vissani, chiosavano sul degrado dei costumi del nostro secolo, arroventando il dibattito in uno slalom di partecipazioni televisive, degno di un Tomba dei tempi d’oro.
Potremmo, infine, raccontarvi di come la polizia fece irruzione in sala operatoria. Potremmo narrare che c’era anche il giudice Santagata. Potremmo riferire le sue parole all’indirizzo dei perversi genitori – «Siete delle brutte, anzi bruttissime persone», dello sguardo offeso di Daniele e dirvi ancora del conseguente attacco isterico della Barbie di Valdobbiadene alla ricerca disperata di uno specchio che confermasse che non era vero.
Non era vero che erano brutti. Era il loro bambino a non esser venuto bene.
Ma temiamo di non essere creduti.
Spunti, riflessioni ed incubi scaturiti da qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=7823&ID_sezione=38&sezione