il 18 agosto, un’eccezione

Ci sono i miei ricordi cortonesi, i miei ricordi degli anni della fabbrica ma, in questo blog, sebbene io racconti di incontri o di scampoli delle mie giornate, in questo blog, dicevo, non parlo quasi mai della mia vita.
Questo blog è soprattutto un piacevole passatempo ed è anche un luogo virtuale che mi ha permesso, poi, di conoscere per davvero persone speciali.
Nacque, questo blog, per scherzo. Dissi a un mio cugino acquisito: Stanno per uscire due miei libri, fammi un sito.
Mi disse, Aspetta, e comincia a vedere come ti trovi con questa cosa qua.
Era il 23 marzo del 2006…
Dicevo, questo blog non è un diario.
Qui scrivo quel che mi passa per la testa…
Io, lo sapete, scrivo: articoli e libri (magari non per molto…).
Il 18 agosto del 2005 morì mio fratello Moreno, aveva trent’anni.
Scrissi una lettera (che prima apparve sul giornale che dirigo), che per me è una preghiera.
Da rileggere, da condividere, anche.
E’ nella sezione ricordi (il primo) di questo blog, si intitola Fratello fragile.
Questo blog non è un diario ma il 18 di agosto di ogni anno lo è, almeno un po’.
Solo per un giorno.

A 4 mani, 19° racconto: Andirivieni

Cara amica mia,
ho sempre l’impressione di non avere mai abbastanza tempo per te. Ti penso, mi dico che avrei voglia di vederti, e poi di colpo è trascorso un altro mese. Ho nostalgia di quando ragazzine avevamo quei lunghi pomeriggi per noi, le domeniche e le vacanze: quanto abbiamo parlato e quante cose ci siamo raccontate…ecco, oggi vorrei un po’ di quello che è stato e la lontananza non aiuta.
Da qualche giorno qui fa un caldo feroce e io sono più stanca del solito. Non riesco a concentrarmi né a trovare lo slancio per avanzare nel mio lavoro. Puoi immaginare la fatica di essere ripartita da zero e il ricostruirmi pezzo dopo pezzo. Tutto ciò ha assorbito gran parte delle mie energie e la solitudine mi pesa. Mi capita da un po’ di tempo di osservare le coppie che incontro per strada. Mi commuovono quelle di anziani che hanno ancora gesti di tenerezza e di affetto: una porta tenuta aperta nonostante il procedere incerto, mani scarne che si intrecciano, dita nodose che sistemano un colletto piegato male, un braccio offerto per attraversare una strada. Le guardo e penso che vorrei per me proprio quella cosa lì, adesso e anche fra quarant’anni, invece del deserto affettivo in cui vivo.
Ti abbraccio


Mia carissima amica,
mi colpisce l’espressione ‘deserto affettivo’. Sono le stesse parole che uso per riferirmi agli studenti che vedo vagare per i corridoi della scuola con gli occhi gonfi di pianto o con lo sguardo di sfida trepida. A casa un po’ se la ridono, un po’ alzano le braccia quando mi sentono ripetere questa accoppiata sostantivo-aggettivo. Forse avrebbero cominciato seriamente a preoccuparsi per la mia salute mentale, se l’altro giorno avessero sbirciato il mio commento in un inglese stentato all’intervento dell’esperto in Risoluzione costruttiva di conflitti a scuola sul blog School mobbing and emotional abuse. Tra le cause dei disturbi del comportamento menzionavo la nostra (posso dire nostra?) formula, spacciandola per emotional desert. Una bidella con il pallino della psicoterapeuta fa ridere e i miei non riescono a farsene una ragione. Scrivi dell’impressione di non avere tempo sufficiente per me. Ti devo smentire. Tu scrivi e in me cresce il desiderio di riprendere il filo dei nostri racconti infiniti. Non ce la facciamo proprio a vederci?

Ecco, vedi, cara e paziente amica lontana, quando scrivo ‘deserto affettivo’ penso a qualcosa di molto concreto. Quando tu esageri o ti preoccupi troppo, hai i tuoi accanto che ti riportano alla realtà, magari ridendo di te o sbuffando. Loro ci sono, sono una realtà e ti fanno da specchio, da argine, da sostegno, a volte forse da ostacolo. Li vedi, li senti, li tocchi, puoi persino annusarli. Io, invece, di specchio ho solo quello vero, davanti al quale mi faccio le domande e mi dò le risposte. E ci metto tutto, da sola: la comprensione, l’ironia, l’affetto, la severità… ma proprio non mi basta.
I ragazzi della tua scuola vagano nei corridoi presi da altri pensieri, credo. Noi adulti non possiamo certo sollevarli dai loro dolori e le nostre esperienze individuali non possono proteggerli dalle loro sofferenze. Questo del resto vale per tutti, ma troppo spesso ce lo dimentichiamo e pensiamo che gli altri debbano alleviare le nostre pene.
Ora ti saluto e vado a spasso con il cane. Gliela devo questa passeggiata mattutina nel bosco: è l’unico che si sempre è sorbito le mie elecubrazioni e inquietudini, senza mai dar segno di cedimento. Al massimo, ha mostrato il suo dissenso sbadigliando.
Ho tanta voglia di incontrarti, ma sarà in autunno o in inverno. Salutami la tribù.

E allora non sarà né l’autunno, né l’inverno del nostro scontento. Non vedo l’ora di vederti. La carta, anche quella virtuale, è troppo indulgente e insieme troppo opaca per quello che devo, che voglio, che posso dire solo a te. Qui non capirebbero, lo interpreterebbero come un atto di accusa nei loro confronti. So che tu avrai la pazienza di ascoltarmi e di aspettare…


Gentile Silvia,
vedo dall’elenco dei messaggi di mia moglie che quello inviato a lei è l’ultimo prima del suo malore. La prego di non allarmarsi, ma mi sento in dovere di comunicare a lei, per l’antica amicizia che vi lega, quello che le è successo ieri. Nel primo pomeriggio ricevo una chiamata dal cellulare di Verena. Qualcuno mi pregava di andarla a prendere in località Borghi. Può immaginare il mio stupore poiché il luogo dista chilometri dalla scuola dove lavora. L’ho trovata lì, incapace di dirmi come ci fosse arrivata. Al pronto soccorso, dove abbiamo atteso per ore, non sono andati oltre la formula generica di ‘stato confusionale’. Hanno comunque disposto un ricovero per accertamenti. Da mesi, ormai, Verena passa ore al pc, spesso con uno strano sorriso che tenta di nascondere quando mi avvicino a lei. Non so di che cosa si tratti; sono certo che comprenderà il divieto che ho imposto a Verena di usare il computer, ora che è in ospedale e in seguito, a casa. La saluto,
Saverio


Caro Saverio,
grazie di avermi informato delle condizioni di Verena. Anche se di lei so solo quello che Verena in tutti questi anni mi ha raccontato, sono sicura che saprà aiutarla al meglio. Mi permetta però qualche riflessione, proprio da vecchia amica. I medici parlano di ‘stato confusionale’. Io non sono in grado di fare diagnosi, ma forse si tratta più di uno smarrimento e di tanta stanchezza: da mesi mi scrive dei suoi pensieri ‘strani’, così come mi ha sempre scritto di lei e dei ragazzi, del lavoro, della sua vita, con realismo e buon senso. È una donna sensibile che coltiva il suo mondo interiore, ma è anche una persona concreta. Vietarle del tutto l’uso del computer, delle email e dei suoi amatissimi blog, è un po’ come tagliarle le ali. Le stia vicino, le dimostri che il ‘deserto affettivo’ di cui tanto ci siamo scritte non è per lei la realtà quotidiana, che intorno a sé ha persone in carne ed ossa che le vogliono bene e che non è sola.
Mi tenga informata e appena possibile riprenderò i contatti con Verena.
Silvia