Sabato e domenica la squadra di basket in cui gioca mio figlio ha partecipato a un torneo all’aperto, nella vicina Novara.
C’ero anche io. Chiaro, lo seguo, ma la mia presenza è comunque appartata, quando gioca non urlo mai il suo nome, lui sa che ci sono, e non credo che i ragazzi – sto parlando di dodicenni – con genitori urlanti al seguito ne traggano beneficio.
Ma non è di basket che voglio parlare.
Allora, faceva caldo. Ed era tutta una coda. Coda all’unico bagno (uomini, donne, giovani atleti) per due, trecento persone, code al bar, code per la poche panchine all’ombra.
Per ammazzare il tempo la gente faceva due cose: parlava, ma soprattutto guardava lo smartphone.
Anche io. Leggevo i whatsapp, le mail, stop. Su facebook preferisco trafficare quando sono a casa, con il mac. E instagram lo uso poco. E non si sta male, pensavo sabato e domenica, lontani da facebook, che è una cosa strana, tanto strana.
Mi è venuto in mente il mio professore di storia del teatro Gian Renzo Morteo. Una volta andai a trovarlo in ospedale. Mi disse: Tra i ricoverati c’è un mio vicino di casa, sono quindici anni che ci incontriamo, magari aspettando l’ascensore, e ben che vada ci scambiamo un saluto. Qui ci siamo raccontati di tutto… potenza dell’ospedale.
Anche io ho dei vicini di casa di cui so niente. Nome, cognome, poco altro. Scambio due parole con chi ha il cane, come me. So molto di più di tanti vicini…. di facebook.
Certo, se un giorno facebook sparisse non saprei come rintracciare tutti quelli con cui, da anni, scambio like, saluti, messaggi privati.
Non avrei la loro mail, né il numero di telefono.
Il mondo di facebook già…
Domenica, secondo giorno di gare di basket, ho visto una cosa strana. Una giovane madre, sdraiata sul prato, leggeva un libro.
Un libro, centinaia di smartphone all’opera, tra una partita e l’altra, tra una coda e l’altra.
Rispetto a vent’anni fa siamo più liberi o abbiamo una “protesi” in più? E tra vent’anni?