Al mattino bevo almeno tre caffè. Tutti al bar. Li prendo schiumati, ma non vorrei, vorrei bere del caffè un po’ ristretto, che sia solo caffè, amaro. Ma se non li prendo schiumati mi viene maldistomaco, specie d’inverno.
Entro nei bar, in genere con il cane, ordino il caffè, lo sorseggio, esco. Pochi minuti, insomma.
I bar sono sempre stati per me, fin da quando ero ragazzo, fonte di ispirazione.
Ordinavo un caffè e spesso tornavo a casa con una frase, che mi aveva colpito. Oddio, non solo nei bar: anche in treno, anche camminando (ricordo l’ultimo dell’anno di qualche anno fa. Camminavo sotto la pioggia, davanti una donna, parlando al telefono, dice: “A me chi mi vuole, sono brutta…” E poi una risata).
Succedeva che io tornassi a casa con una frase, poi magari non ne facevo nulla. Oppure mi restava impressa e la elaboravo (è un po’ la storia del mio primo libro, Il bar delle voci rubate).
Succedeva, poi è arrivato il Covid. E quando entravo nei bar per sorseggiare uno dei mie tre caffé sentivo sempre le stesse cose: ognuno raccontava che vaccino aveva fatto (quelli che non lo hanno fatto non lo raccontavano a voce alta) oppure raccontava di essere stato contagiato, oppure malediceva chi non metteva la mascherina…
Andare al bar a leggere facebook era un po’ la stessa cosa.
Da tempo non si parla più di covid, o se ne parla poco. E per fortuna.
Da tempo i problemi sono altri: la crisi economica che avanza, il nuovo governo e, soprattutto, la paura di una guerra nucleare, il caro bollette, la possibile scarsità di generi alimentari…
Argomenti, questi, che probabilmente vengono discussi nei bar dove non vado io. In quelli in cui vado (li cambio, quindi tre a mattina, almeno) si parla di tutto: lavoro, casa famiglia, il calcio…, ma senza paure per i mesi che ci attendono.
Frequento bar particolari, io.