Tormenti

In genere le scrittrici e gli scrittori – dico “in genere” perché non ne conosco tanti, tanti però li leggo sui social – sono persone tormentate.

O almeno, a me sembra che i musicisti, o gli attori, per non parlare poi degli elettricisti, dei muratori, dei coltivatori diretti, siano un po’ più sereni.

Un po’ è giusto che lo siano, tormentati. Senza tormenti non si scrive.

Ma accanto ai tormenti ci sono anche le insoddisfazioni, che son tante: vendite che non vanno o vanno così, mancati riconoscimenti (certo, tutti a dire “Vado per la mia strada, mica mi importa… eccetera eccetera. Anche perché fa male vedere altri scrittori che invece ottengono maggiori soddisfazioni.

In genere lo scrittore è un insoddisfatto: anche se vende, anche se viene premiato. Perché tutto dura un attimo, la vita è fatta di attimi (io sono un clown e faccio collezione di attimi: gran libro “Opioni di un clown” di Boll) e il mercato librario e fatto di proposte quotidiane che ingoiano quelle di ieri.

Ho scritto questo perché mi è venuta in mente questa canzone di Lolli: Ho visto anche degli zingari felici in piazza Maggiore A ubriacarsi di luna, Di vendetta e di guerra

(E comunque: il discorso fatto sopra vale anche per me, per i miei tormenti. Ogni giorno mi dico: ma non potresti fare altro? Sono 26 anni ormai che stai inseguendo qualcosa che nemmeno tu sai.

I tormenti, poi: senza scrittura forse ne avrei di più. Anzi, senza forse.

Il segreto della scrittura è amare la scrittura, amare il momento in cui si scrive, a prescindere dal resto.
Io ho un bel ricordo. Era il 2003, che fu un anno difficile per me. Problemi personali, mia madre che stava male. Io stavo scrivendo il mio secondo libro… Ricordo le notti a scrivere, con il gatto, si chiamava Miou Miou, che girellava sul tavolo, nonostante il fumo dei miei toscani. Fumavo, bevevo caffè per stare sveglio fino alle 4, le 5 (per poi dormire 4 ore) e scrivevo, guardando ora il pc (il primo che ho avuto) ora fuori, oltre la finestra. Un lembo di cielo sopra i tetti di un grande condominio….

I sogni scappano

Ho sognato di parlare con una donna anziana, la notte scorsa.
La cosa strana è questa: io, ripensando al sogno, non so chi sia quella donna. Nel sogno, però, le parlavo come si parla a una persona che si conosce. E mi trovavo bene, a parlare con lei.

«Vedo che tuo figlio cresce, mi raccomando, lascialo andare…»
«Ci sto provando, ma è lui che…».
«No, non è lui, sei tu. Sei tu che fai in modo che lui rimanga attaccato ai tuoi calzoni…».
«Hai ragione…».
«E la casa?»

Qui mi interrompo. Nei miei sogni, da anni, c’è una casa che ricorre. Anni fa, era in un certo modo e in una certa zona, adesso è un’altra. È arredata, io nel sogno so che è mia e che ci vorrei vivere.

«Quando ti deciderai, mi offrirai del tè nero?»
«Certo tu un tè nero e io un caffè».
Ma, ho pensato nel sogno, non è quello che stiamo facendo adesso? Tu stai bevendo del tè nero, io del caffè. Ma non ho voluto dirle niente. Non potevo, di fronte al suo sorriso. Adesso, però, non ricordo il volto di quella donna. Ricordo la voce, calda, e la sensazione piacevole di parlare con lei.

Anni fa, quando studiavo psicologia all’università presi l’abitudine a scrivere i miei sogni in un bloc notes. Non so se ce l’ho ancora. Si dimenticano, i sogni.

A proposito di sogni e di racconti. A me non piace rileggere le cose che scrivo. Questa no, la rileggo sempre volentieri. Un sogno e… il caso: