sulla rampa dell’ospedale

Ho cinquantamila problemi o cose da fare, ma, per evitare lo stress, uso, quando è possibile, la tecnico del rinvio.
Quarantanovemila997cose le farò a gennaio, febbraio, marzo, nel 2011.

Però certi giorni vado di corsa, giorni intensi, questi, al giornale.
Di notte, invece, leggo e, allo stesso tempo, mi occupo e mi preoccupo di un mio manoscritto.
Diciamo che i miei casini letterari sono comunque boccate d’ossigeno, nonostante le incazzature.

Comunque.
Vado all’ospedale della mia città, qualche volta, di questi tempi, ci vado per lavoro, ma tre giorni fa ci sono andato per ritirare degli esami.
Vado, prima di uscire prendo un caffè al bar interno, esco con gli esami, accendo una sigaretta, mi dirigo verso il giornale.
Faccio una ventina di metri, la giornata è bella.
Vedo due donne. Madre e figlia, suppongo. Perché una è sui vent’anni, l’altra sui quaranta, quarantacinque. Sono ferme, si guardano. Improvvisamente la ragazza scoppia a piangere e abbraccia la madre, che non ricambia: sembra una statua. Ha il volto duro, inespressivo: vedo che fissa il niente, abbassando gli occhi. Fa più male (vedere) il suo volto che le spalle della ragazza:  che, aggrappata alla madre, sembra non poterle controllare quelle spalle, scosse da singhiozzi violenti.
Passo accanto, guardo altrove.
La bella giornata non è una bella giornata davanti a un ospedale.
Infatti.
Attraverso la strada, e mentre ancora sto pensando alle due donne (e a un uomo: piangolo il padre-marito?, mi domando) vedo altro.
Vedo una donna scendere dalla propria auto: ha parcheggiato sulle strisce, ma non gliene frega niente di averlo fatto. Ha fretta, tanta fretta: non chiude, sbatte la portiera, forte, poi, invece di chiudere, quasi corre, in direzione della rampa che porta all’ingresso dell’ospedale. Correndo, quasi sbanda.
Lei procede spedita, sulla sinistra. Le altre due donne sono a destra, dall’altra parte. Ferme. Ci sarà un momento, nella salita che porta all’ospedale, che due dolori, forti, saranno come i punti di un segmento, di disperazione.

Vado al giornale.

18 pensieri su “sulla rampa dell’ospedale

  1. dario,
    lo sai bene che non lo faccio solo per amicizia. è una questione soprattutto ambulatoriale. sono rimasto senza pazienti, e certo è colpa mia, però… però come psichiatra amatoriale io AMO, amo il paziente smarrito e quasi sbranato dai commentatori che – sia chiaro – son tutti disumani. anzi, son tutti dei mostri borseggiatori. riposati un po’ in me dario. ripensa a quelle belle sedute quasi verticali, e poi ai ribaltamenti, all’orizzonte che si stendeva placido…

    un grande abbraccio.
    tuo nedo

  2. caro dario, lo sai che io ti difenderò sempre dai commentatori cattivi, che sono la maggioranza.

    tuo nedo

  3. (In effetti i miei commenti hanno sempre, sui blog wordpress, il muso dell’anfiosso, mentre il commento sopra ha una figurina di quelle autogenerate).

  4. Eccone un altro, il link alla mia dashboard c’era, ma non avevo visto che si trattava di uno dei commenti. Lo vedo adesso (peraltro ho letto questo ed altri pezzi, ma è un pezzo che non metto commenti, sto in genere commentando molto poco).
    Bassini, il commento a firma mia del 15 novembre (delle 3.35 del mattino!) è stato messo da qualcuno che si è loggato col nome del mio blog e *non sono io*.
    Mo te lo scrivo anche via mail.

  5. “un vero Signore”.
    un esempio di quando la stessa frase, detta con “tono” diverso va bene per due commenti differenti:
    la prima volta in senso ironico.
    la seconda volta nel suo senso più stretto.

  6. I dolori negli Ospedali sono linee incidenti. Sono rette, percorrono una traiettoria tale da incontrarsi e poi divergere. Io spiego sempre in geometria in questo modo: come sono due rette incidenti?
    E quasi tutti: CONVERGENTI!!!
    Poi, qualcuno ci arriva: sì, ma se non sono parallele, per poter convergere e sono rette, divergeranno totalmente, dopo. Così è la vita. Certi incontri sono incidenti, formano acuti angoli di dolore, ottusi angoli d’indifferenza e poi divergono, ognuno verso il suo buio personale o altra vita.

  7. ci ho passato anni nei pronto soccorso, di notte, per raccontare sul giornale il giorno dopo quello che accadeva. sembra strano dirlo ora. ma ai tempi persino Roma era una città dove raccontare di un ragazzino salvato per miracolo da un attacco d’asma, interessava e faceva notizia. a parer mio la farebbe ancora, sapendo raccontare e non scrivere pisciandosi addosso. basta eliminare tutto ciò che è demagogico e banale.
    ricordo una notte al san giovanni. non accadeva nulla se non qualche ubriaco o qualche prostituta menata dal pappone. poi arriva little tony con una crisi cardiaca. “scriverò – mi dissi – e se qualcuno titolerà il mio pezzo mettendoci dentro cuore matto, gli spacco il culo”.

  8. Hai ragione More, leggo anche con più attenzione. E per questo devo ringraziare una persona in particolare che tu conosci molto bene:)

    Qui ginni ho conosciuto belle penne. (come la tua) Remo sicuramente è tra i miei preferiti. Remo è anche una bella persona e questo lo posso dire anche delle altre persone (poche) che ho conosciuto vis à vis. E ce e sono alcune che non ho ancora guardato negli occhi ma so per certo che mi piacerebbero molto, perchè mi piacciono già. Non temo smentite.
    Questo (da Remo) è un bel luogo. Lo si dice sempre quando ci si incontra.
    Un giorno o l’altro incontreremo anche il padrone di casa.
    Buona Domenica a tout le monde.
    Sgnà

  9. una scena molto forte. scritta molto bene.

    ciao remo. domani è domenica 15 ;)

    @silvia: e leggi anche con molta più attenzione. non so se è ‘colpa’ (merito) di remo e della sua scrittura…

  10. Quanto mi piacciono questi tuoi squarci di vita!
    Sbang: venti righe e c’è un universo, di dentro e di fuori.
    Una cosa te la posso dire Remo. Da quando ti leggo con una certa assiduità, cammino e guardo e sto in mezzo alla gente con molta più attenzione. Ascolto frammenti di discorsi, osservo sguardi, gesti, situazioni e passo oltre. Spiando ancora un po’ fino a quando l’udito me lo permette. Senza morbosità. E’ un modo nuovo di percepire gli altri. E mi piace.
    Grazie, ciao:)
    Sgnà

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