Lo stesso libro: 300 copie, poi 100mila

L’articolo che segue è di Luigi Bernardi, editore, scrittore, scopritore di talenti, traduttore. Ha scritto uno dei libri più belli usciti in Italia: Senza luce, edizioni Perdisa.
E’ un vecchio articolo, del 2002, ma Bernardi lo ha riproposto due giorni fa, sulla sua pagine di facebook.
Perché è sempre valido. A me ha fatto pensare, leggendolo, che la differenza tra un manoscritto dimenticato e un libro di successo la fa la fortuna.
Ho fatto il titolo del post pensando da giornalista. Ogni articolo, ogni post, ogni libro, cinema eccetera può avere un titolo più appropriato.
Ecco, penso che un titolo più appropriato poteva essere “la propensione alla leccaculaggine”.
Buona giornata e buona lettura.

Nel 1993 facevo l’editore, ero indipendente. Niente e nessuno condizionava le mie scelte, neppure il mercato perché ero bravo ad accontentarlo. Lo compiacevo con i prodotti giusti, loro mi restituivano la possibilità (i soldi) di togliermi i piccoli piaceri della professione. Per esempio, pubblicavo fumetti giapponesi e investivo i guadagni nel lancio di nuovi disegnatori e scrittori.
Nel 1993, quando facevo l’editore, pubblicai un romanzo di Giuseppe Ferrandino, si intitolavaPericle il nero ed era molto bello. Aveva uno stile e una storia, entrambi potenti. Con quel romanzo avrei sfondato anche nella narrativa, pensavo io, già reduce dalla pubblicazione di Carlo Lucarelli e Marcello Fois, Paco Ignacio Taibo II e Léo Malet. Macché: Pericle il nerovendette poco più di trecento esemplari ed ebbe una sola recensione, casuale perché non generata dal centinaio di copie inviate a giornalisti e critici. Nel 1998, quando la mia casa editrice era ormai fallita, Adelphi ripubblicò Pericle il nero. Era lo stesso testo di cinque anni prima. Vendette oltre centomila copie, i recensori fecero a gara per parlare del libro, lo osannarono, lo riverirono. Ne fecero il caso editoriale dell’anno.
Ho pensato più volte a questo fatto. L’indipendenza è una condizione forse necessaria, certo non sufficiente. Anche Adelphi è una società senza vincoli, nata proprio come gesto di rottura di alcuni collaboratori dell’Einaudi, che consideravano troppo monolitica, persino asservita, la politica editoriale dello «struzzo». Non è solo questione di indipendenza, c’è dell’altro, soprattutto quando la libertà di qualcuno va a cozzare contro l’assoggettamento di altri. Tornando al mio esempio, è chiaro che i giornalisti culturali, sottovalutando un testo proveniente da una piccola casa editrice, operarono una sorta di censura. O quantomeno un’equivalenza arrischiata: testo di piccola casa editrice = piccolo testo. I giornalisti sportivi la chiamano sudditanza psicologica, e la addebitano agli arbitri quando sono chiamati a giudicare le azioni di un calciatore di una squadra blasonata. La sudditanza psicologica spingerebbe gli arbitri a fischiare a favore della compagine più forte, mai di quella più debole. Non sempre è così, però la sudditanza esiste, forse ancora di più nel mondo culturale che in quello sportivo.
I critici che recensirono la ristampa di Pericle il nero, dopo averne ignorato la prima edizione, di sudditanze ne subirono addirittura due: la prima del marchio Adelphi, la seconda di quello Gallimard. Cos’era successo? Era successo che l’ufficio stampa Adelphi aveva lanciato la ristampa del romanzo di Ferrandino come conseguenza del grande successo ottenuto dalla traduzione francese del libro, pubblicata da Gallimard, Era una trappola per gonzi, i critici vi caddero come sprovveduti. Se c’è un nome che mette sull’attenti i giornalisti culturali è Gallimard, chiedete loro perché. Pericle il nero ai francesi l’ho venduto io. So che la pubblicazione di Gallimard è passata pressoché inosservata, avrà raggranellato poco più di mille copie. Altro che grande successo o caso letterario, altro che i soliti francesi che per primi scoprono gli italici talenti… Si è trattato solo di una campagna promozionale bene orchestrata, che ha messo a nudo il nervo scoperto del giornalismo culturale italiano: la predisposizione alla leccaculaggine. Così alla fine, forse, il problema non sta nell’indipendenza, quanto nell’intelligenza e, soprattutto, nell’onestà.

Luigi Bernardi
da Tribù astratte, 2002