il silenzio del mare e le cose belle della vita

Le cose belle della vita. Per esempio, essere bagnati fradici per colpa della pioggia e trovare riparo in una trattoria, che poi ci sorprende e della quale non avevamo immaginato, prima, la bontà della cucina e della gentilezza. E l’immagine di quella sera con la pioggia e quella delle tovaglie a scacchi rossi della trattoria si fondono, poi, in un ricordo che resta.
Può bastare molto meno, però.
Dissetarsi mangiando una mela, d’estate, sotto un albero.
Percorrere un sentiero senza pensare e, proprio grazie a questa assenza di interferenze, riuscire a sentire l’aria che entra dentro, fresca, nei nostri polmoni.
Può bastare un caffè di notte, possono bastare cinque minuti con una certa persona (te recuerdo amanda…), può bastare il sorriso di e di, un saluto di e di: le cose belle della vita.
Quelle vere insomma.
Tra queste, di sicuro, per me c’è – con la notte – anche la musica del mare, o il rumore del mare, oppure: il silenzio del mare.

3 pensieri su “il silenzio del mare e le cose belle della vita

  1. Impressionante il video, molto bella la canzone.
    La vita è la somma di brevi istanti, non di grandi cose. I momenti più belli, banale dirlo, sono quelli sereni in cui non sembra accadere niente di speciale. Il silenzio del mare, quando raccoglie le proprie forze o si prepara a una tempesta, o semplicemente riposa.
    E pure c’è qualcosa che eccede in questa somma di istanti. Il segreto sta forse in quei momenti in-significanti solo in apparenza.

  2. Ti descrivo, a mo’ di racconto, un momento di una mia cosa bella della vita.

    Sul ciglio del dirupo qualcosa di colpo adombrò il parabrezza. Sterzai bruscamente fermandomi ai margini dell’asfalto e poi capii. Era uno di quei “matti” che aveva appena spiccato il volo col suo deltaplano.
    Il gigantesco aquilone delineò lenti cerchi nell’aria sui tetti della contrada di Santi situata trecento metri più in basso, poi fece una lunga ascesa a spirale fino a ottocento metri sopra il paese di San Zeno. Allungato sotto la vela il pilota, poggiando e virando, tratteggiò un grande otto, poi volteggiò in discesa e passò qualche metro sopra le teste dei suoi due amici che mi stavano accanto gridando: «Fantastico lì sopra, ma poi ho perso il vento!» Ad ogni circonvoluzione il deltaplano veniva giù un pochino fino al momento in cui lo vidi soltanto da sopra: ormai del pilota si vedevano solo i piedi sotto la rossa tela gonfia, simile a un’ala di gabbiano.
    «Che spettacolo», dissi ai due ragazzi accanto a me.
    Uno di loro assentì con la testa. «Credo sia il migliore dei modi di volare. Meglio di un volo di linea! Nessuna fusoliera, nessun vetro, nessuna copertura. Il massimo della libertà!»
    Dalle pendici del monte Rotella gli amici del pilota scesero a fondo valle con l’auto e
    io, senza un perché, li seguii con la macchina attraversando il paese
    fino a un grande prato dove il moderno Icaro, atterrando a balzi e saltelli, si lasciò cadere soltanto alla fine. Mi era parso il goffo atterraggio di un comico uccello stordito. Corremmo tutti verso di lui che se la stava ridendo di gusto.

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