Avremo litigato cento volte, mandandoci a quel paese e anche oltre quel paese: pezzo di cornuto, pezzo di merda, stronzo; io a lui e lui a me, per mesi, anni.
Litigavamo per questioni sindacali, io e Angelo.
Lui, tra i cinquanta e i sessant’anni, faccia rugosa e abbronzata, la marlboro sempre penzoloni sulle labbra, salernitano, era il rappresentante sindacale della Cgil.
Io, poco più che ventenne, della Cisl.
Io ero per la lotta dura e senza paura. Lui anche. Però certe volte non gli andava di fare sciopero, e io mi incacchiavo, però spesso e volentieri faceva straordinari, e io gli dicevo che non doveva, che dovevamo costringere la fabbrica a fare nuove assunzioni, eccetera.
Io poi – erano gli anni Ottanta – avevo la fissa della riduzione di orario, quindi.
Lavoravamo insieme, stesso reparto, magazzino, io e Angelo.
Se non ci eravamo mandati a quel paese, spesso andavamo a prendere il caffè insieme, alla macchinetta. Offrivo io, lui mi dava una sigaretta. A volte ci raggiungeva uno dei suoi due figli, che, per la verità, non erano suoi figli ma era come se lo fossero.
Mi spiego: Angelo viveva con una donna che aveva avuto figli da una precedente relazione; ma quei ragazzi, anche se non portavano il suo stesso cognome, lo consideravano il proprio padre. Insomma, stravedevano per lui.
Un po’ anche io stravedevo per lui: era generoso e buono.
Certo, anche attaccabrighe e un po’ testa-di-minchia (a mio modo di vedere, ovvio).
Succede che un sabato mattina sono talmente a corto di soldi che pure io accetto di fare cinque ore di straordinari. Dalle 7 alle 12.
C’è anche lui (ti pareva), Angelo.
Ci sono, ma in altri reparti (ti pareva), anche due suoi figli.
Lavoriamo, scambiandoci meno parole possibile.
Tra le 10 e le 11 ci concediamo un quarto d’ora di pausa, tra gli scatoloni.
Ci raggiungono i suoi due figli.
Angelo, dal tascapane tira fuori tre panini, che porge a me e ai suoi due figli.
Sono con la frittata e la mozzarella, dice, tirando fuori anche una bottiglia con del vino.
Io mi sento in imbarazzo, e in effetti provo a dire che no, non ho fame…
Mangia stronzo, mi dice Angelo, che, improvvisamente, si alza e se ne va.
Mi lascia insomma col panino in mano e con i suoi figli che non sono figli suoi ma son come se lo fossero figli suoi che, un po’ sornioni, mi guardano e mi dicono: E mangia no?
Era chiaro: stavo mangiando (ero a disagio ma quel panino era davvero buono) il panino di Angelo.
Le persi di vista, quando lasciai la fabbrica.
Quando mi dissero che era morto ripensai a quel panino con la frittata, avvolto in un tovagliolo.
(Da allora adoro i panini con la frittata e la mozzarella; buoni come quello, però, non mi è più successo di mangiarne).
ciao remo, ti leggo.
ciao… delicato il tuo pensiero per Angelo e il panino con la frittata.
Sono Rossana Mauri, giornalista. vorrei parlarti puoi entrare in contatto con me.
al: mauri.giornalistinarranti@gmail.com
grazie e complimenti
Ciao Rossana
t’aspettavo, e.
e mi sento in imbarazzo, però.
lo so che non ho voce in capitolo, ma conservo gelosamente la prima.
forse perché, la prima, non si dimentica mai…
ciao, remo, e scusami.
un abbraccio
simonetta
Certo, sarebbe bello essere ricordati per cose come questa, quando non ci saremo più, è il senso vero del vivere: una carezza data, un pasto condiviso, una parola gentile, un silenzio opportuno.
Chissene frega quanti piani aveva la nostra villa (!) e quanti metri la nostra barca, conteranno le cose che avremo lasciato non depositabili da un notaio. Non c’è un modo migliore per ircordare il tuo amico.
Alle elementari la mia mitica, amata, indimenticabile Maestra, a metà mattina si mangiava un croccante dorato, bricioloso panino con la mortadella: le parole ovattate che uscivano dalla bocca piena e quel profumo delizioso sono impronte indelebili nella mia memoria infantile. E naturalmente nessun panino ha più avuto quel profumo preciso e fantastico.
Un caro saluto, Remo. E a tutti quelli che passano in questo sempre bel posto.
Mi hai fatto ricordare una lontana gita scolastica, la prima della mia vita. La mamma si era rassegnata a mandarmi anche se le sembrava troppo presto (ero in seconda elementare). Quel panino con la frittata nel parco del Valentino a Torino è stato il cibo più buono che io abbia mai mangiato perché aveva il sapore di una conquista. Grazie per il tuo ricordo, è bello condividere questi frammenti di memoria.
Annarita
stasera per cena. grazie per il consiglio.
Un partigiano, ‘Scricciolo’, mi raccontava di quando era sulla Serra, con tanta fame e tanti pidocchi, ogni tanto arrivava un pò di pane con la mortadella, quei panini erano così buoni . Ha fatto poi il ristoratore di un grande albergo, ma quei panini erano la cosa più buona che aveva mangiato durante la sua vita. Una volta avevano preso una lepre, festa grande, tutti pronti con l’acquolina in bocca, ti arriva un’altra squadra, il comandante ‘ Primula’ :” la lepre è per i nuovi arrivati che sono sfiniti “.